I palestinesi non sono ‘i vicini’ di Israele: 11 correzioni per il discorso del premier Yair Lapid all’ONU

Set 24, 2022 | Notizie, Riflessioni

di Amira Hass,  

Haaretz, 24 settembre 2022.   

Il Primo Ministro non è il primo nella storia delle Nazioni Unite a tenere un discorso pieno di slogan e bugie. Nei rapporti delle Nazioni Unite che parlano del dominio di Israele sui palestinesi, i vari leader politici e i loro consiglieri possono trovare informazioni che lo confutano. Le osservazioni che seguono hanno lo scopo di aiutarli a navigare tra i dettagli.

Il Primo Ministro Yair Lapid tiene un discorso durante la 77esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) presso la sede dell’ONU, giovedì.Credito: STEPHANIE KEITH – AFP

Il Primo Ministro Yair Lapid non è stato l’unico giovedì, e non è stato il primo nella storia delle Nazioni Unite, a tenere un discorso davanti all’Assemblea Generale pieno di slogan, bugie, mezze verità, propaganda, distorsioni storiche, fantasie e affermazioni superate. Se c’era qualcuno che si aspettava un discorso originale, onesto e ispiratore da parte di Lapid, si è trovato di fronte a un bel problema.

Lapid non è nemmeno il primo politico israeliano –e non sarà l’ultimo– a usare inutilmente il ricordo dell’Olocausto, come se fosse l’arma di propaganda di maggior successo per Israele. Menzionare l’Olocausto è assolutamente prevedibile come strumento per tacitare, in anticipo, anche la più blanda critica al dominio di Israele sui Palestinesi.

Il problema è che ci sono troppi capi di Stato nell’Assemblea Generale disposti a credere, o a fingere di credere, alla propaganda secondo cui Israele è una democrazia amante della pace, e anche una vittima innocente di cospirazioni e terrorismo. Questa interpretazione salva questi Paesi dall’obbligo di rispettare le convenzioni internazionali e il diritto internazionale, e di adottare misure rigorose contro le violazioni israeliane della legge.

Prendiamo, ad esempio, il nuovo Primo Ministro del Regno Unito Elizabeth Truss, che ha già dichiarato di voler spostare a Gerusalemme l’ambasciata del suo Paese in Israele. Questa stessa dichiarazione è un altro premio assegnato a Israele per il disastro che ha causato alla Gerusalemme palestinese tagliandola fuori dal resto del territorio conquistato nel 1967, un altro premio per la sua politica coerente di acquisizione di terre nella città, per aver impoverito la maggioranza dei suoi residenti e per averne espulsi molti altri dai suoi confini.

Nei regolari rapporti delle Nazioni Unite che riguardano il dominio di Israele sui palestinesi, i leader politici, i loro consiglieri e i giornalisti stranieri possono trovare informazioni aggiornate e storicamente valide che confutano le ingannevoli pretese di Lapid. I commenti che seguono sono stati scritti per aiutare loro e tutti gli altri a orientarsi tra i molti dettagli e per chiarire il loro significato.

1. Cominciamo con le serre agricole della Striscia di Gaza, che sembra essere il pezzo di propaganda più bizzarro tirato fuori dalla soffitta per questo discorso. Oltre alla manodopera palestinese a basso costo, le serre dei coloni su terreni rubati fiorivano prima del disimpegno unilaterale di Israele da Gaza nel 2005 per tre motivi principali: una fornitura regolare di acqua buona da Israele e dall’interno della Striscia di Gaza, una fornitura continua di elettricità e l’accesso ai mercati e ai porti, tre condizioni che non esistono oggi per i Palestinesi nella Striscia di Gaza.

Israele impone un regime idrico autarchico alla Striscia di Gaza, come se fosse un’isola autosufficiente geograficamente, tagliata fuori dal resto del Paese. Dopotutto, sarebbe solo appropriato se Israele fornisse grandi quantità di acqua a Gaza –anziché le minuscole quantità che oggi vende all’enclave costiera– come compensazione per ciò che pompa e ruba ai palestinesi in Cisgiordania. Da più di 30 anni c’è stato un eccesso di pompaggio dalla quella sezione della falda acquifera che si trova nella Striscia di Gaza, con il risultato, nel migliore dei casi, di una salinità troppo elevata – per cui l’acqua non è adatta a molte colture – e dell’inquinamento dovuto all’infiltrazione di liquami e tossine.

L’interruzione della fornitura di elettricità è dovuta alle dispute interne tra gli stessi palestinesi, ai danni alle infrastrutture causati dai bombardamenti israeliani, alle limitazioni sulle quantità di carburante importato e al generale deterioramento economico causato dal blocco.

Bambini palestinesi riempiono contenitori d’acqua a Gaza City, nel 2021.Credito: MAHMUD HAMS / AFP

Ma l’ostacolo principale sono state le restrizioni draconiane sulle esportazioni di prodotti da Gaza ai mercati della Cisgiordania, di Israele e anche dell’estero, a partire dall’inizio della Seconda Intifada. Anche se gli agricoltori riuscissero a superare i problemi di acqua e di elettricità, rimarrebbero con un’eccedenza di produzione e subirebbero enormi perdite finanziarie.

2. “Deponete le armi”. Questo è stato detto dal capo di un Paese la cui forza economica e diplomatica dipende dalle sue industrie di armi e di spionaggio, che sono state sviluppate nel laboratorio più disponibile ed efficace del mondo: il territorio palestinese occupato, la cui popolazione resiste e quindi viene repressa con interrogatori, armi e arresti.

3. La politica di chiusura, o in altre parole le severe restrizioni ai movimenti, è stata imposta alla Striscia nel gennaio 1991, prima degli attacchi suicidi, dei razzi di Hamas e dell’istituzione dell’Autorità Palestinese. La politica di chiusura ha subito una serie di cambiamenti da allora, ma la ragione di fondo era e rimane politica, piuttosto che militare o di sicurezza: separare la popolazione della Striscia di Gaza da quella della Cisgiordania, al fine di sventare la possibilità di uno Stato palestinese basato sui confini del 1967.

4. “Abbiamo smantellato le basi militari a Gaza”. Ma non in Cisgiordania. Proprio come Israele ritiene di avere il diritto di bombardare in risposta a un bombardamento su Nahariya o Ashkelon (anche se i suoi leader vivono tra Cesarea e Gerusalemme), così Hamas si considera in diritto e persino in obbligo di rispondere ai danni causati da Israele ai palestinesi della Cisgiordania. Per nostra fortuna, Hamas non ha così tanti razzi per rispondere a tutti gli attacchi israeliani contro i corpi, la salute, la terra, l’acqua, la libertà e le proprietà dei palestinesi.

5. E cosa accadrà se deporranno le armi? La pretesa che Hamas sia un avversario militare alla pari di Israele ne salvaguarda gli scopi politici e l’immagine, ma non libera la Palestina. Al contrario, aiuta la propaganda israeliana.

6. False notizie e immagini su Instagram della ragazza morta. Occorre una grande mancanza di autoconsapevolezza, disinteresse e ignoranza per entrare in questo regno di notizie false sulle operazioni militari e sui civili palestinesi “non coinvolti” che sono stati uccisi nei bombardamenti, nei cannoneggiamenti e nelle sparatorie israeliane. L’esercito, i suoi soldati e comandanti, e non i social media, hanno molte volte falsificato i fatti relativi alle vittime palestinesi. Si correggono solo quando la persona uccisa è famosa e americana come Shireen Abu Akleh o quando ci sono video che confutano le prime affermazioni. Dati precisi sulle numerose vittime civili tra i palestinesi sono disponibili sul sito web di B’Tselem.

7. I Palestinesi non sono i “vicini” di Israele. Sono il popolo indigeno che è comparso, ha vissuto e ha sviluppato la terra tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo molto prima dell’immigrazione sionista. Tralasciando le circostanze storiche che hanno portato alla sua fondazione, Israele è stato istituito a loro spese attraverso l’espulsione di oltre la metà di loro e la creazione di un sistema politico che fin dall’inizio intendeva escluderli.

Membri delle Brigate Ezzedine al-Qassam, l’ala armata del movimento palestinese di Hamas, fanno la guardia intorno ad un modello di drone ‘Shehab’ eretto su una rotatoria a Gaza City, questa settimana.Credito: MAHMUD HAMS – AFP

8. Israele è una democrazia per ebrei. In altre parole, non è una democrazia. Quasi due milioni di Palestinesi sono oggi cittadini di Israele, discriminati per legge nell’assegnazione delle risorse e nelle opportunità di lavoro e di studio. Sono espropriati delle loro terre e della loro storia e sono oggetto di atteggiamenti e azioni razziste, sia a livello individuale che politico. La Polizia di Israele e il servizio di sicurezza ShinBet sono in grado di determinare l’identità di un palestinese che ha ucciso un’anziana donna ebrea nel giro di un’ora, ma non trovano e arrestano i cittadini palestinesi di Israele che hanno ucciso centinaia di altri cittadini palestinesi. Questo dato da solo riassume la discriminazione istituzionalizzata e il mancato rispetto per i palestinesi.

9. Tutte le conquiste, in diverse aree, dei cittadini palestinesi di Israele sono il frutto di una lotta civile lunga e determinata, e non un favore che Israele sta facendo loro.

10. Quasi 5 milioni di Palestinesi vivono da 55 anni sotto il dominio dell’esercito israeliano e dello Shin Bet; in modo diretto, come nell’annessa Gerusalemme Est e nell’Area C, in modo ibrido (diretto e indiretto) come nelle enclavi dell’Autorità Palestinese, o in modo totale come nella Striscia di Gaza. Il governo di Israele determina quasi tutti i parametri significativi della loro vita: controlla i confini, le risorse idriche e il territorio di cui si appropria secondo i propri desideri, la libertà di movimento e quindi anche l’economia, i legami familiari e sociali. Tutto questo mentre i palestinesi sono privati di qualsiasi diritto civile e non possono partecipare al processo di elezione del governo che determina le loro vite.

11. “Due Stati per due popoli”. Ripetere a pappagallo questo vuoto slogan è la dichiarazione a parole richiesta nei forum internazionali. Ma non possiamo accusare Lapid e i suoi consiglieri per aver fatto questa mossa ipocrita. Qui la colpa è delle nazioni europee e arabe, che negli ultimi 30 anni hanno permesso a Israele di ritagliare il territorio destinato a uno Stato palestinese e di trasformarlo in piccole enclavi disgiunte, circondate da blocchi di insediamenti in costante espansione.

Come i suoi predecessori, quando Lapid blatera di “soluzione a due Stati”, in realtà intende la soluzione a sette Stati: il Grande Israele e i sei – o forse più – bantustan palestinesi.

https://www.haaretz.com/israel-news/2022-09-24/ty-article/.premium/palestinians-are-not-israels-neighbors-11-corrections-for-pm-yair-lapids-un-speech/00000183-69d2-d4b1-a197-efdfd6dd0000

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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