Quattro motivi per cui Israele potrebbe farla franca con questo omicidio

Set 9, 2022 | Notizie, Riflessioni

di Amira Hass,

Haaretz, 6 settembre 2022. 

Di norma, gli israeliani non credono ai palestinesi e sono convinti che l’esercito abbia sempre ragione, ma nel caso di Shireen Abu Akleh la vittima non era anonima. Questo non ha impedito all’esercito israeliano di condurre un’operazione di insabbiamento.

Murale di Shireen Abu Akleh dopo la sua morte, Gaza, in maggio. Credit: Adel Hana/AP

L’esercito israeliano vuole farci credere che c’è “un’alta probabilità” che un suo soldato dell’unità d’élite Duvdevan si sia confuso e abbia pensato che la giornalista Shireen Abu Akleh fosse un palestinese armato (a causa dell’elmetto che aveva in testa e del giubbotto antiproiettile che indossava). Per questo motivo le ha sparato attraverso un mirino telescopico, che ingrandisce di quattro volte, dall’interno della jeep blindata in cui era seduto.

Da un punto di vista civile, non militare, due conclusioni emergono dalla nuova copertura dell’esercito israeliano (IDF), che è chiamata “un’indagine”. Una è che se un soldato si confonde tra giornalisti e uomini armati, e se i suoi comandanti gli permettono di continuare a sparare almeno 10 proiettili verso i giornalisti in questo stato di confusione, le condizioni in cui si trova l’IDF sono piuttosto gravi.

La seconda conclusione è che tale confusione è possibile solo perché l’IDF, i suoi comandanti e i suoi soldati, hanno un profondo e crescente disprezzo per la vita dei civili palestinesi. I soldati sono programmati per essere ‘confusi’ e commettere tali errori professionali, perché sono istruiti a credere di essere la vittima, mentre il criminale è la popolazione civile palestinese che è sotto il dominio straniero israeliano.

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas al funerale di Shireen Abu Akleh a Ramallah, a maggio. Credit: Nasser Nasser / AP

L’annuncio del Portavoce dell’IDF riguardo ai risultati della nuova indagine sull’uccisione della giornalista, esperta nel coprire le invasioni e le incursioni militari, ignora il fatto che, prima che il soldato sparasse e la uccidesse, lui o un altro soldato avevano sparato al giornalista Ali al-Samoudi, ferendolo alla spalla.

La dichiarazione del portavoce dell’IDF e i resoconti dei media hanno anche tralasciato il fatto che pochi minuti prima della sparatoria letale, il gruppo di giornalisti – con elmetti e giubbotti antiproiettile – è passato accanto ai soldati che si trovavano all’interno dei loro veicoli blindati.

“Abbiamo camminato in fila, mentre davanti a noi, a una distanza di circa 200 metri, c’erano alcune jeep dell’esercito. Volevamo che i soldati ci vedessero e ci riconoscessero come giornalisti”, ha spiegato il giornalista veterano al-Samoudi alla ONG israeliana per i diritti umani B’Tselem. Come la sua collega Abu Akleh, al-Samoudi aveva esperienza nella copertura di eventi di questo tipo e aveva imparato quali fossero le cautele necessarie per rimanere al sicuro.

Anche altri due giornalisti che si trovavano in quel frangente a Jenin e che hanno rilasciato la loro testimonianza a B’Tselem – Shatha Hanaysha e Mujahid al-Sa’adi – hanno sottolineato che il loro gesto significava assicurare i soldati nelle jeep che erano giornalisti. Se sul posto ci fosse stata una battaglia, non sarebbero sfilati davanti alle jeep con tanta sicurezza.

Secondo l’IDF, il soldato ha sparato circa 20 proiettili, di cui 10 nella “zona” in cui si trovava Abu Akleh. Secondo B’Tselem, i soldati hanno sparato circa 16 proiettili in direzione dei giornalisti. Uno dei primi sei colpi ha ferito al-Samoudi che si è affrettato a ripararsi dietro un’auto parcheggiata. Altri tre giornalisti, tra cui Abu Akleh, si sono ritirati da dove si trovavano. Poi sono stati sparati sette colpi nella loro direzione e uno ha colpito Abu Akleh alla testa, da dietro. Mentre un palestinese di Jenin cercava di portarla via, i soldati hanno sparato verso di lui altri tre colpi. Quindi, è stato un solo soldato a sparare o di più? Non lo sappiamo.

Ci sono cinque condizioni necessarie per far sì che l’uccisione o il ferimento di civili palestinesi da parte dei soldati dell’IDF avvenga in modo tranquillo e senza complicazioni mediatiche. Nel caso che riguarda l’uccisione di Abu Akleh, c’erano solo quattro delle cinque condizioni

La prima condizione è che il pubblico israeliano creda alle storie da cowboy di cui viene imbottito, come se i soldati dell’IDF venissero mandati in battaglia in Cisgiordania, magari battaglie simmetriche, contro forze nemiche altrettanto potenti che non avrebbero alcun motivo o giustificazione per resistere all’invasione militare del loro quartiere.

La versione mediatica più recente racconta effettivamente di un pesante fuoco verso le jeep blindate dell’IDF in cui si trovavano i soldati. È vero che molti giovani palestinesi, soprattutto nella regione di Jenin e nel campo profughi di Jenin, si sono procurati delle armi e hanno giurato di non permettere all’esercito di fare irruzione nei loro villaggi e quartieri senza opporre resistenza contro quei soldati che si comportano come se fossero cacciatori in un safari.

In qualche servizio mostrato alla TV, i giovani armati hanno in effetti un aspetto terrificante: volti mascherati, enormi fucili in mano. A volte riescono persino a colpire un soldato. Ma il fatto di essere visti come eroi tra i palestinesi, e la loro disponibilità a sacrificare le loro vite contro un nemico dotato di armi sofisticate e avanzate – tutto ciò non può sostituire lunghi esercizi di addestramento e lo sviluppo continuo di tattiche di combattimento in condizioni di guerriglia. E queste due cose naturalmente non ce l’hanno.

Fonti militari, che hanno riferito dell’ultima “inchiesta” e sono state citate dalla stampa, hanno raccontato di un fuoco massiccio, indiscriminato e pericoloso per la vita, diretto contro i soldati durante la battaglia. Nessuno può dubitare della paura soggettiva dei soldati, ma è possibile credere al racconto di una battaglia in cui i soldati dell’IDF sono descritti quasi come civili innocenti che si trovavano lì per caso?

I video filmati in tempo reale, ottenuti e trasmessi dai media internazionali – come la CNN e il New York Times – mostrano che non c’è stata alcuna battaglia né durante né prima dell’uccisione dei due giornalisti da parte del soldato ‘confuso’. Se dei proiettili hanno colpito le jeep, non è successo in quel momento. E allora di che battaglia ci stanno parlando?

La seconda condizione necessaria affinché la morte di un civile palestinese passi completamente sotto silenzio è l’automatica incredulità e il discredito da parte dell’opinione pubblica israeliana di qualsiasi testimonianza oculare palestinese e di indagini indipendenti, sia da parte di media stranieri che di organizzazioni per i diritti umani.

Se, anche dopo la pubblicazione di queste e altre indagini giornalistiche indipendenti, l’IDF può ancora nascondersi dietro termini come “per errore” e “alta probabilità”, questo è proprio perché si sente protetto dallo stesso discredito che gli israeliani hanno per qualsiasi affermazione palestinese.

La terza condizione è il disprezzo collettivo e coerente da parte degli israeliani per il crescente elenco di civili palestinesi uccisi o feriti da soldati dell’IDF o da agenti della Polizia di Frontiera, ciò che suggerisce un modello di regole di ingaggio molto indulgenti. B’Tselem documenta ogni caso, alcuni di questi raggiungono l’attenzione dei lettori di Haaretz, e questo è tutto. I numeri crescenti non fanno suonare alcun campanello d’allarme – né per il pubblico, né per la Knesset, né per il pubblico ministero, né per i tribunali. Quindi, perché l’IDF dovrebbe cambiare i suoi metodi e apportare modifiche ai suoi protocolli?

La quarta condizione è che l’opinione pubblica israeliana consideri naturale e normale la missione delle forze di sicurezza – esercito, intelligence, polizia – in quanto guardiani e protettori dell’impresa di colonizzazione. Poiché il progetto di insediamento si sta espandendo senza opposizione internazionale, sempre più israeliani ne beneficiano direttamente e indirettamente, un’apparente normalità che i palestinesi – anche i manifestanti disarmati – a volte disturbano.

E poiché quasi tutte le famiglie israeliane hanno un figlio-soldato con cui si identificano automaticamente, la capacità mentale di mettere in dubbio questa falsa normalità è compromessa e paralizzata. Il soldato ha sempre ragione. Ecco perché anche l’IDF ha sempre ragione. (A meno che, ovviamente, i comandanti non maltrattino i soldati o non diano loro del cibo immangiabile. Solo in questo caso i genitori strillano.)

La quinta condizione è l’anonimato delle vittime palestinesi. Quando un israeliano viene ferito in un attacco palestinese, viene immediatamente riconosciuto e reso noto al pubblico israeliano: con la storia della sua vita e in un contesto sociologico che si capisce senza tante parole.

Quando i morti e i feriti sono palestinesi – anche se i loro nomi vengono pubblicati – sono degli estranei, nessuno dei pochi dettagli conosciuti può suscitare associazioni di affetto e identificazione tra gli israeliani. Nel caso di Abu Akleh, questa è esattamente la condizione che non è stata soddisfatta. Era infatti sia una cittadina americana che un’icona mediatica per centinaia di milioni di spettatori del canale televisivo Al Jazeera. Ed è diventata famosa anche per chi prima non la conosceva.

Tuttavia, questo non è bastato perché l’IDF evitasse di mettere in atto un insabbiamento. È proprio il fatto che l’IDF abbia ignorato la documentazione video e le testimonianze oculari palestinesi, pubblicate da rispettati media internazionali, ciò che solleva domande sulla vera ragione dell’insabbiamento in questo caso.

Si è trattato veramente di un soldato (o due) che, confuso, ha commesso un errore, o di un “grilletto facile” che fa parte di una routine? Una routine che l’IDF non ha intenzione di cambiare perché è un mezzo di “governo” necessario per far avanzare l’impresa di insediamento.

https://www.haaretz.com/israel-news/2022-09-06/ty-article/.highlight/four-reasons-why-israel-can-even-get-away-with-this-killing/00000183-1222-d54c-af9f-ba2fff990000?utm_source=App_Share&utm_medium=iOS_Native

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

.

0 commenti

Trackback/Pingback

  1. riceviamo da zeitun.info e volentieri pubblichiamo | Pennatagliente's Blog - […] Quattro motivi per cui Israele potrebbe farla franca con questo omicidio […]

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Archivi

Fai una donazione

Fai una donazione tramite Paypal alla nostra associazione:

Fai una donazione ad Asso Pace Palestina

Oppure versate il vostro contributo ad
AssoPace Palestina
Banca BPER Banca S.p.A
IBAN: IT 93M0538774610000035162686

il 5X1000 ad Assopace Palestina

Il prossimo viaggio