Un nuovo leader palestinese sorge in Cisgiordania. È molto impopolare.

Lug 19, 2022 | Notizie

di Patrick Kingsley,

The New York Times, 15 luglio 2022. 

Hussein al-Sheikh è considerato un possibile successore di Mahmoud Abbas, 87 anni, presidente dell’Autorità Palestinese. Ma, essendo incaricato del collegamento con Israele, alcuni critici lo definiscono un “portavoce dell’occupazione”.

Hussein al-Sheikh è al centro di un dibattito tra i palestinesi sulla visione e la legittimità dei loro leader. Samar Hazboun per il New York Times

RAMALLAH, Cisgiordania – Per anni, Hussein al-Sheikh ha supervisionato i difficili rapporti quotidiani tra i palestinesi della Cisgiordania occupata e l’esercito israeliano, un ruolo che lo ha reso impopolare presso l’opinione pubblica, ma che lo ha avvicinato al leader palestinese Mahmoud Abbas.

Poi, a maggio, Abbas, il presidente dell’Autorità Palestinese, ha nominato al-Sheikh a una delle più alte cariche del suo movimento politico.

Pur avendo 87 anni, Abbas non ha mai designato un suo erede alla guida dell’Autorità Palestinese, che amministra parti della Cisgiordania e i 2,7 milioni di palestinesi che vi abitano. Ora, l’improvvisa ascesa di al-Sheikh ha portato analisti e diplomatici a chiedersi se questo personaggio non stia ricevendo una preparazione a diventarne il successore.

Allo stesso tempo al-Sheikh, che di recente si è incontrato per una rara intervista con il New York Times, è diventato il centro di un dibattito tra i palestinesi sulla visione e la legittimità dei loro leader.

Le sue rapide promozioni, la sua regolare interazione con i funzionari israeliani e la sua ricchezza –la sua famiglia possiede una lucrosa attività immobiliare e commerciale– hanno reso al-Sheikh un bersaglio delle critiche palestinesi. Un meme che è circolato sui social media mostrava una fotografia falsificata del suo volto attaccato al corpo di un generale israeliano.

La didascalia in arabo recitava: “Portavoce dell’occupazione”.

I sondaggi suggeriscono che al-Sheikh farebbe molta fatica a vincere le elezioni. Solo il 3% dei palestinesi vuole che diventi il loro prossimo leader, secondo il sondaggio più recente. Un’altra indagine suggerisce che quasi tre quarti dei palestinesi erano contrari alla sua promozione, avvenuta a maggio, alla posizione numero due dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, il gruppo che controlla nominalmente l’Autorità Palestinese.

Palestinesi vicino alla barriera di separazione israeliana nella città di Betlemme, in Cisgiordania, ad aprile. L’ufficio di al-Sheikh lavora con Israele per esaminare le richieste palestinesi di permessi di lavoro israeliani. Samar Hazboun per il New York Times

Ma per i suoi sostenitori, al-Sheikh è l’uomo giusto per un momento difficile: un pragmatico che può migliorare la vita quotidiana dei palestinesi, in un’epoca in cui il grande obiettivo di avere uno Stato indipendente sembra più lontano che mai. Nell’intervista ha dichiarato di non ritenere che Israele sia seriamente intenzionato a porre fine all’occupazione, per cui i palestinesi non hanno altra scelta se non quella di continuare a lavorare nell’ambito dell’attuale sistema.

La fine delle relazioni con Israele o lo scioglimento dell’Autorità Palestinese potrebbero portare a un vuoto di sicurezza che lascerebbe i palestinesi in una situazione ancora peggiore di quella attuale, ha affermato parlando nel suo ufficio nella città cisgiordana di Ramallah.

“Se dovessi smantellare l’Autorità Palestinese, cosa succederebbe?”. Ha detto al-Sheikh. “Al suo posto ci sarebbe la violenza, il caos e lo spargimento di sangue”, ha aggiunto. “Conosco le conseguenze di una simile decisione. So che i palestinesi ne pagherebbero il prezzo”.

Tra i suoi vari ruoli, il suo ufficio collabora con Israele per esaminare le richieste palestinesi di permessi di lavoro israeliani e coordinare il passaggio di merci tra Cisgiordania, Gaza, Israele e Giordania. Entrambe le cose forniscono un reddito molto necessario ai residenti della Cisgiordania.

Sebbene sia stato nominato, non eletto, alla sua nuova posizione, al-Sheikh ha dichiarato che il suo background e i suoi precedenti gli conferiscono la legittimità di far da guida.

È nato a Ramallah nel 1960, quando la Giordania controllava la Cisgiordania. La sua famiglia, che proveniva da un villaggio vicino a Tel Aviv, era tra i circa 700.000 palestinesi che fuggirono o furono espulsi dalle loro case durante le guerre che seguirono la creazione di Israele nel 1948, uno sfollamento di massa che i palestinesi chiamano nakba ossia catastrofe.

Aveva 6 anni quando Israele conquistò la Cisgiordania e la Striscia di Gaza nella guerra del 1967. Da adolescente si unì a Fatah, il principale gruppo militante palestinese dell’epoca. Di conseguenza, ha trascorso gran parte degli anni ’80 nelle carceri israeliane, il che gli è valso la credibilità di cui gode presso la gente della strada.

Dopo l’istituzione dell’Autorità Palestinese negli anni ’90, è diventato colonnello dei servizi di sicurezza palestinesi, appena costituiti nella speranza che i palestinesi fossero sul punto di diventare uno Stato.

“State parlando con una persona la cui intera storia riguarda la lotta del popolo palestinese”, ha detto al-Sheikh. “So esattamente come condurre il mio popolo sulla strada giusta”.

Nel 2007 è stato nominato principale referente palestinese presso l’esercito israeliano. Un anno dopo è entrato a far parte del consiglio direttivo di Fatah, la fazione che domina l’Autorità palestinese e l’OLP.

Senza un parlamento che funzioni, Mahmoud Abbas, il leader palestinese, scrive leggi e fa nomine per decreto. Chang W. Lee/Il New York Times

Nel decennio successivo, mentre la ricerca dell’indipendenza palestinese vacillava, al-Sheikh si è avvicinato ad Abbas, unendosi spesso a lui negli incontri con i leader stranieri.

Mohammed Daraghmeh, un veterano giornalista palestinese, ha detto che l’approccio di al-Sheikh è l’unico possibile al momento attuale: riconoscere che non c’è alcuna possibilità immediata di uno Stato palestinese e fare il possibile per impedire che le cose peggiorino.

“In queste circostanze, cos’altro può fare?”. Ha detto Daraghmeh. “I palestinesi sono deboli e divisi, dagli israeliani non ottengono nulla, il mondo non li aiuta”.

Molti palestinesi apprezzano almeno in parte il suo operato.

Un sondaggio di giugno ha mostrato che quasi due terzi dei palestinesi sostengono le recenti misure per rafforzare la fiducia tra Israele e l’Autorità Palestinese, in parte coordinate da al-Sheikh.

È stato elogiato da funzionari israeliani e americani, ha dichiarato Daniel B. Shapiro, ex ambasciatore americano in Israele e membro del Consiglio Atlantico, un gruppo di ricerca americano.

“È una persona seria, con la quale i funzionari statunitensi hanno scoperto di poter lavorare”, ha dichiarato Shapiro. “I funzionari israeliani sono arrivati alla stessa conclusione”.

Ma alcuni palestinesi non lo sopportano proprio per questo, sostenendo che le loro istituzioni in Cisgiordania sono diventate un subappaltatore della potenza occupante piuttosto che un movimento per l’autodeterminazione nazionale. I servizi di sicurezza palestinesi aiutano silenziosamente le agenzie di intelligence israeliane a prendere di mira i palestinesi accusati di attività militanti.

Per i rivali, la promozione di al-Sheikh –senza discussione pubblica e per decreto presidenziale– rispecchia questo deficit democratico nella politica palestinese.

“Non è stato eletto”, ha dichiarato Samer Sinijlawi, leader di una fazione ribelle di Fatah. “La sua unica fonte di potere è Abbas. Sparirà con la scomparsa di Abbas”.

Un insediamento israeliano visto dal villaggio cisgiordano di Walaja, a gennaio. Samar Hazboun per il New York Times

L’Autorità Palestinese non ha indetto elezioni nazionali dal 2006, anche perché Abbas teme di perdere contro Hamas, il gruppo militante islamista che ha già strappato la Striscia di Gaza al controllo di Abbas durante una breve guerra civile nel 2007.

Le divisioni di lunga data tra i palestinesi hanno impedito una spinta unitaria per l’indipendenza, riducendo le prospettive di uno Stato autonomo al livello più basso degli ultimi decenni.

I negoziati di pace con Israele sono finiti nel 2014. Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono più consolidati che mai. Le pressioni degli Stati Uniti su Israele per uscire dall’impasse sono scarse e la solidarietà degli altri leader arabi si è ridotta, soprattutto dopo che tre Paesi arabi hanno stretto legami diplomatici con Israele nel 2020.

Ma molti palestinesi ritengono che la loro stessa leadership rimanga uno dei maggiori ostacoli. Un sondaggio di giugno ha chiesto ai palestinesi quale fosse il loro problema più urgente: un quarto ha risposto che si trattava della corruzione dell’Autorità Palestinese.

Senza un parlamento funzionale, Abbas scrive leggi e fa nomine per decreto, compresa quella di al-Sheikh.

Lo scorso settembre, 14 agenti di polizia palestinese sono stati accusati di aver picchiato a morte un attivista anti-corruzione, Nizar Banat, detenuto per aver pubblicato online critiche all’Autorità Palestinese.

“È una dittatura”, ha dichiarato Nasser al-Kidwa, ex ministro degli Esteri palestinese, che ha rotto con Abbas lo scorso anno e che ora vive in esilio. “Una situazione così penosa non si vedeva dai tempi della Nakba”.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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