Benvenuto in Israele, Presidente Biden. Nella mia qualità di deputata nella Knesset, ho da farle una richiesta: dobbiamo parlare del popolo palestinese, anche se lei preferirebbe non farlo.

Lug 14, 2022 | Notizie

di Aida Touma-Sliman,  

The Independent, 13 luglio 2022.   

Il presidente Joe Biden pronuncia un discorso al suo arrivo in Israele. (AFP via Getty Images)

Il Presidente Biden visiterà Israele questa settimana, prima di proseguire per l’Arabia Saudita venerdì.

Biden probabilmente elogerà la potenza tecnologica e l’abilità militare di Israele. Probabilmente farà una dichiarazione pubblica sul legame inviolabile tra Stati Uniti e Israele e celebrerà Israele come una fiorente democrazia liberale.

Ma Biden probabilmente non ha mai sentito parlare di Ahmed Jundeya, del piccolo villaggio di Tuba a Masafer Yatta, a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata. Né lo incontrerà.

Quando Ahmed era solo un bambino, è stato espulso con la forza dalla sua casa per fare spazio a una zona di sparo dell’esercito israeliano, insieme agli altri abitanti del suo villaggio. Dopo aver fatto ricorso alla Corte Suprema di Israele, è stato permesso loro di tornare temporaneamente alle loro case, fino a quando la Corte non ha emesso la sua decisione finale. Il 4 maggio 2022, la Corte Suprema ha stabilito che l’esercito può evacuare i residenti dalle loro case e sfollare oltre mille palestinesi.

Per Biden, come per il primo ministro israeliano Lapid, i palestinesi come Ahmed Jundeya sono invisibili.

Come la maggior parte dei politici israeliani, dai messianici di destra a quelli erroneamente chiamati “blocco del cambiamento”, il presidente americano preferisce promuovere fantasie di “pace economica” piuttosto che una vera giustizia per i due popoli che condividono questa terra. Nel suo editoriale di questa settimana sul Washington Post, il Presidente Biden si è vantato di aver ricostruito le relazioni tra Stati Uniti e Palestina e di aver ripristinato circa 500 milioni di dollari di aiuti per i palestinesi. Non ha avuto nulla da dire sull’occupazione di Israele o sui diritti dei palestinesi.

Come i suoi omologhi israeliani, il Presidente Biden sembra convinto che la situazione nei territori palestinesi occupati possa essere “gestita”, come se oggi esistesse uno status quo vivibile che potrebbe – e dovrebbe – essere mantenuto. Questa fantasia si basa su l’erroneo presupposto che la questione palestinese possa essere in qualche modo elusa per favorire un’alleanza regionale tra Israele e paesi arabi come gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, calpestando i più elementari diritti del popolo palestinese, che vive sotto un regime di apartheid. Ma Ahmed Jundeya, come il resto del popolo palestinese, non ha intenzione di andarsene.

L’attuale amministrazione continua a dare il via libera all’espansione degli insediamenti illegali di Israele, all’atroce assedio della Striscia di Gaza che dura da 15 anni, alle demolizioni in massa di case e alla violenza sfrenata nei Territori occupati. Il Presidente Biden ha taciuto quando Israele si è autodefinito uno Stato esclusivamente ebraico, su entrambi i lati della linea verde; quando ha continuato a sfollare i suoi cittadini arabi nel Negev; e quando ha approvato le leggi razziste sulla cittadinanza e sullo Stato-nazione, che sanciscono e codificano legalmente la supremazia ebraica.

La triste verità è che oggi la maggior parte dei politici ebrei-israeliani non pronuncia nemmeno la parola “occupazione”, e tanto meno parla di porvi fine. Senza il silenzio assordante della comunità internazionale e il sostegno attivo degli Stati Uniti, Israele non oserebbe violare così palesemente il diritto internazionale e non potrebbe sostenere il suo regime di segregazione razzista, dove esiste una legge per gli ebrei e un’altra per i palestinesi.

Signor Presidente, quando discuterà con il premier Lapid del boom dell’economia high-tech israeliana o parlerà con il dittatore dell’Arabia Saudita Mohammed Bin Salman della realizzazione di un patto di sicurezza regionale per contrastare l’Iran e garantire l’egemonia americana in Medio Oriente, si dovrebbe ricordare dei residenti di Masafar Yata, come Ahmed Jundeya. Questi residenti rischiano l’espulsione per far posto a una zona militare israeliana, che -come ci insegna l’esperienza- è spesso il preludio allo sviluppo di insediamenti. Si ricordi anche della coraggiosa giornalista palestinese-americana Shireen Abu-Akleh, uccisa da un cecchino israeliano a Jenin, la cui morte non è stata indagata né dagli Stati Uniti né dalle autorità israeliane. Si ricordi di Hajar e Mustafa Ka’abaneh di Ras a-Tin, che si dice siano stati picchiati fino a farli svenire da 15 coloni ebrei mentre si trovavano all’interno del loro accampamento familiare.

L’occupazione non può e non deve essere “gestita”. Patti di sicurezza regionali che ignorano deliberatamente le legittime richieste dei palestinesi – autodeterminazione, indipendenza e diritti umani – non porteranno alla pace, alla democrazia o alla giustizia, né per gli israeliani né per i palestinesi. Stabilire uno Stato palestinese indipendente sui confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale, e vivere pacificamente fianco a fianco con Israele, non è solo un interesse palestinese. Non ci sarà mai pace, né una vera democrazia, senza smantellare l’apartheid. Nessuna alleanza militare regionale o accordo di normalizzazione con gli Stati del Golfo potrà mai cambiare questo semplice fatto.

La deputata Aida Touma-Sliman rappresenta Hadash/Joint List nel Parlamento israeliano, dove presiede il Comitato permanente per le donne e l’uguaglianza di genere.

https://www.independent.co.uk/voices/israel-biden-knesset-aida-touma-sliman-palestinian-b2122382.html

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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