Perché la CNN è più adatta dell’esercito israeliano a indagare sull’uccisione di Abu Akleh

Mag 27, 2022 | Notizie

di Haggai Matar,

+972 Magazine, 25 maggio 2022. 

Israele sta cercando di contrastare un’inchiesta della CNN sulla morte della giornalista palestinese con due argomenti principali, entrambi semplicemente falsi.

Palestinesi davanti a un murale per la giornalista di Al-Jazeera Shireen Abu Akleh nella città cisgiordana di Betlemme, 16 maggio 2022. (Wisam Hashlamoun/Flash90)

Un’indagine approfondita pubblicata giovedì dalla CNN indica che la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh è stata attivamente presa di mira dai soldati israeliani quando è stata uccisa l’11 maggio, mentre faceva un servizio su un raid militare nel campo profughi di Jenin. L’indagine –che incrocia le prove video con le testimonianze oculari, i suoni degli eventi e il materiale forense– è approfondita e vale la pena leggerla; arriva pochi giorni dopo che l’esercito israeliano ha annunciato che non avrebbe aperto un’indagine penale sull’omicidio.

Sebbene l’esercito non abbia escluso che Abu Akleh sia stata uccisa accidentalmente dal fuoco israeliano, continua a sostenere che potrebbero essere stati dei militanti palestinesi a spararle e che non può giungere a nessuna conclusione finché l’Autorità Palestinese si rifiuta di consegnare per l’esame forense il proiettile che l’ha uccisa.

Nonostante i dati ottenuti e i racconti dei testimoni oculari, l’articolo della CNN si mantiene cauto e professionale. I giornalisti si astengono dall’affermare con assoluta certezza che l’esercito ha ucciso Abu Akleh, limitandosi a dire che così sembra. Inoltre, l’inchiesta conclude che, sebbene la sparatoria sia stata intenzionale, non si può dire che i soldati abbiano aperto il fuoco per uccidere deliberatamente Abu Akleh; afferma piuttosto che gli spari non sono stati casuali e hanno mirato al punto in cui si trovava la donna, senza stabilire un movente.

In seguito all’uccisione di Abu Akleh, i politici israeliani, i media e l’opinione pubblica hanno sollevato due argomenti principali in risposta all’indagine della CNN: che i soldati israeliani non sparano deliberatamente ai giornalisti e che il rifiuto palestinese di consegnare il proiettile non solo impedisce un’indagine trasparente, ma suggerisce anche la responsabilità palestinese per la morte di Abu Akleh.

La prima affermazione è semplicemente falsa. L’esercito israeliano ha ucciso e ferito numerosi giornalisti a Gaza e costantemente arresta, picchia e spara contro i giornalisti in Cisgiordania. Alcuni giornalisti palestinesi hanno trascorso lunghi periodi nelle carceri israeliane per i loro reportage, hanno subito la chiusura dei loro mezzi d’informazione, la rottura delle loro attrezzature e spesso sono stati gravemente feriti. Proprio l’anno scorso, Israele ha ridotto in macerie, con un attacco aereo mirato, l’edificio che ospitava gli uffici dell’AP e di altri media a Gaza City.

Foto di giornalisti palestinesi uccisi dalle forze israeliane durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno a Gaza, vengono mostrate durante una veglia tenuta da cittadini palestinesi di Israele e attivisti israeliani in solidarietà con la popolazione di Gaza, Jaffa, 27 aprile 2018. (Oren Ziv)

Due settimane fa, pochi giorni prima dell’uccisione di Abu Akleh, abbiamo pubblicato un video del giornalista di +972 e Local Call Basil al-Adraa che veniva picchiato dai soldati israeliani nelle Colline a Sud di Hebron, nonostante sia lui che i palestinesi presenti all’attacco gridassero ripetutamente che al-Adraa è un giornalista. Ai soldati evidentemente non importava. Questa può essere una verità scomoda sia per gli israeliani che per i loro sostenitori, ma i fatti dimostrano che i soldati prendono ripetutamente di mira i giornalisti palestinesi.

La seconda affermazione si basa sull’idea che Israele abbia meccanismi affidabili e attendibili per indagare sulle uccisioni. Ma anche questo non è vero.

L’unica autorità che indaga sull’esercito israeliano è l’esercito stesso, e lo fa molto male. Di tanto in tanto ci sono casi di alto profilo che suscitano una pressione internazionale tale da non poter essere ignorati, soprattutto se il soldato in questione è di basso rango e fa parte di una comunità emarginata all’interno della stessa società israeliana, come nel caso di Elor Azaria. Ma in generale, la Divisione Investigativa Criminale della Polizia Militare, meglio conosciuta con l’acronimo ebraico “Metzah”, che indaga sulle morti dei palestinesi per mano dell’esercito, serve a sbiancare le azioni dell’IDF.

Non è un caso, allora, che il gruppo per i diritti umani B’Tselem abbia deciso di smettere di collaborare con l’esercito. Né è un caso che un altro gruppo per i diritti umani, Yesh Din, abbia pubblicato un rapporto che descrive nei dettagli quanto questo “meccanismo investigativo” interno sia davvero pessimo. Anche noi di +972 e Local Call abbiamo pubblicato un’intera serie di articoli sui casi che riguardano il Metzah, per denunciare gli stessi meccanismi usati per coprire gli omicidi di palestinesi da parte dei soldati.

Nel caso di Abu Akleh, l’esercito non si preoccupa nemmeno di aprire un’indagine vera e propria, dicendo che lo fa per non turbare l’opinione pubblica israeliana. Invece, l’esercito sta conducendo un’inchiesta interna guidata dal comandante di quei soldati che erano sul campo a Jenin quel giorno. Il capo dell’indagine ha chiaramente un interesse personale a difendere se stesso e i suoi uomini, e potrebbe anche permettere ai soldati sotto inchiesta di coordinare le loro deposizioni e falsificare la realtà.

I soldati israeliani affrontano i giornalisti mentre manifestanti palestinesi, israeliani e internazionali marciano nella città cisgiordana di Hebron chiedendo l’apertura di Shuhada Street, il 20 febbraio 2019. (Oren Ziv)

Oltre a tutto questo, è fondamentale sottolineare che l’uccisione di Abu Akleh è avvenuta nel contesto di un regime di apartheid militare che ha ormai più di mezzo secolo. Nei Territori occupati, questo regime concede privilegi agli ebrei, che sono cittadini, e lascia i palestinesi, che sono soggetti apolidi, privi dei diritti fondamentali. L’esercito può andare quasi ovunque in Cisgiordania e ha il potere di arrestare o uccidere chiunque voglia. I soldati sul campo sanno anche che non dovranno affrontare alcuna conseguenza per le loro azioni peggiori, a patto che non vengano riprese dalle telecamere (ma anche in questo caso, raramente i soldati sono costretti a pagare un prezzo). Questo sistema di impunità provoca la resistenza, sia non violenta che armata, che l’esercito poi reprime con forza brutale e indiscriminata.

Non meno significativo è il fatto che l’occupazione israeliana si accanisce contro coloro che documentano i suoi crimini, soprattutto se sono palestinesi. Lo Stato sa che l’apartheid non solo è un’immagine negativa, ma può anche far sentire in colpa alcuni civili israeliani, anch’essi responsabili di questo regime. È proprio per questo che l’esercito mente sistematicamente sulle sue azioni: per oscurare, seminare confusione e, in ultima analisi, aiutare coloro che vogliono fingere che “noi non spariamo ai giornalisti” e che le indagini interne dell’esercito sono “legittime”. “

Sapendo tutto questo, perché mai i palestinesi, o chiunque altro, dovrebbero fidarsi di un esercito che li occupa e li opprime, che diffonde costantemente falsità e sbianca le proprie indagini, e che affida un’inchiesta sull’uccisione di alto profilo di una giornalista di fama mondiale al comandante dei soldati che potrebbero averla uccisa?

Haggai Matar è un pluripremiato giornalista e attivista politico israeliano, che ricoprire il ruolo di direttore esecutivo di “+972-Advancement of Citizen Journalism”, l’associazione no-profit che pubblica la rivista +972.

https://www.972 mag.com/cnn-abu-akleh-army-investigation/    

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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