Secondo Israele, questo libro giustifica le espulsioni di Masafer Yatta. Ma l’autore non è d’accordo

Mag 26, 2022 | Notizie

di Yuval Abraham,

+972 Magazine, 25 maggio 2022. 

Un antropologo israeliano contraddice l’affermazione dell’Alta Corte secondo cui il suo studio avrebbe dimostrato che i villaggi palestinesi non esistevano quando l’esercito ha dichiarato una zona di tiro.

Le forze israeliane fanno un’esercitazione nei pressi e all’interno dei villaggi dell’area di Masafer Yatta, Cisgiordania, 3 febbraio 2021. (Keren Manor/Activestills)

Yaakov Havakook, antropologo ed ex membro del Ministero della Difesa israeliano, non aveva idea che un libro da lui scritto 40 anni fa avesse segnato il destino di oltre 1.000 palestinesi che oggi vivono nella Cisgiordania occupata.

All’inizio di maggio, l’Alta Corte di Israele ha stabilito che l’esercito può espellere i residenti di otto villaggi di Masafer Yatta, una piccola area situata nelle Colline a Sud di Hebron. La motivazione principale dei giudici si basa su uno studio etnografico scritto da Havakook che, secondo lo Stato, dimostra che non c’erano “abitazioni permanenti” a Masafer Yatta nel 1980, anno in cui il comandante militare israeliano l’ha dichiarata zona di tiro per l’addestramento dell’IDF. In base a questo, secondo lo Stato, l’esercito ha ragione ad espellere i residenti dall’area.

Tuttavia, in una recente conversazione con Havakook, l’antropologo stesso ha contraddetto la versione dello Stato. Quando gli ho detto che la sentenza del tribunale si basava, tra l’altro, sul suo libro, non ne sapeva nulla. Soprattutto, ha messo in dubbio l’interpretazione del suo studio da parte dello Stato e il suo utilizzo per giustificare le espulsioni.

Durante l’udienza dell’Alta Corte di aprile, lo Stato ha sostenuto che le mappe utilizzate da Havakook nel suo libro indicavano i villaggi palestinesi di Masafer Yatta come “insediamenti stagionali”, suggerendo che i residenti vi migravano temporaneamente solo per alcuni mesi all’anno. Lo stesso giudice David Mintz ha fatto riferimento proprio a queste pagine quando ha accettato la posizione dello Stato e ha autorizzato le espulsioni.

Perché tutto questo è rilevante? Perché secondo la legge militare israeliana, le “zone di tiro” non si possono fare dove ci sono residenti permanenti. Lo Stato ha sostenuto che, poiché Havakook aveva scritto che i residenti di Masafer Yatta non vivevano lì tutto l’anno, allora potevano essere espulsi.

Un avviso di avvertimento della “zona di tiro” militare israeliana vicino al villaggio cisgiordano di Jinba, situato nelle Colline a Sud di Hebron, 6 settembre 2012. (Anne Paq/Activestills)

Havakook non è d’accordo con questa interpretazione, in particolare sull’uso del termine “insediamenti stagionali”. Due decenni fa ha cercato di presentare un parere all’Alta Corte per conto dei firmatari della petizione contro le espulsioni. Ma il Ministero della Difesa, dove Havakook lavorava all’epoca, gli vietò di presentare una dichiarazione giurata e numerose fotografie da lui scattate che mostravano chiaramente l’esistenza dei villaggi negli anni Settanta e Ottanta. Allo stesso tempo, il Ministero ha utilizzato alcune citazioni del suo libro per sostenere che i villaggi non erano permanenti.

Inoltre, i giudici non hanno fatto alcun riferimento alle innumerevoli testimonianze dei residenti palestinesi di Masafer Yatta, che descrivono la loro presenza in questi villaggi molto prima che Israele occupasse la Cisgiordania nel 1967.

L’aver escluso i racconti dei residenti, insieme al fatto che la sentenza è stata emessa dall’Alta Corte di uno Stato occupante che ha condotto i suoi procedimenti in una lingua estranea alle persone che ne sarebbero state colpite, è parte integrante del quadro coloniale in cui si è svolto il processo. Inoltre, la storia di Havakook rafforza l’idea che, in questo contesto, le voci degli esperti israeliani ricevono peso legale solo se servono gli interessi dello Stato.

“Era chiaro a tutti che questo era il loro villaggio”.

Nel suo lavoro di antropologo, Havakook ha studiato la vita degli abitanti delle grotte palestinesi nelle Colline a Sud di Hebron, vivendo con loro tra il 1977 e il 1981, all’incirca nel periodo in cui l’esercito dichiarò la Zona di tiro 918 sulla terra di Masafer Yatta. Per questo motivo, il suo parere ha un enorme peso legale ed entrambe le parti della petizione hanno citato il suo libro “Life in the Caves of Mount Hebron“.

A parte Havakook, sembra che non ci siano altre persone che abbiano condotto una ricerca sul campo altrettanto seria sulle condizioni dei villaggi di Masafer Yatta durante quel periodo. L’importanza delle sue informazioni sta anche nel fatto che i giudici dell’Alta Corte si sono rifiutati di commentare qualsiasi prova relativa agli anni precedenti o successivi al 1980, anno in cui fu dichiarata la zona di tiro.

Mohammad Youssef Abu Arham, padre di quattro figli, nella sua grotta residenziale all’interno del villaggio cisgiordano di Jinba, situato nelle Colline a Sud di Hebron, il 6 settembre 2012. (Anne Paq/Activestills)

Ad esempio, nella sentenza finale, il giudice Mintz non ha dato alcun peso alla prova che uno dei villaggi comprendeva case in pietra risalenti agli anni ’60, sostenendo invece che questo fatto “non ci dice nulla sullo stato delle cose nel 1980”. Ha poi osservato che un’antropologa che ha visitato i villaggi negli anni 2000 ha scritto di non essersi “basata su visite del luogo fatte in tempo reale”, ma in un “periodo successivo”.

Seduto sul balcone di casa sua, Havakook mi ha raccontato che negli anni ’70 e ’80 aveva visitato più volte i villaggi ora destinati all’espulsione.

“Ho cercato di sperimentare la vita quotidiana con i residenti”, ha ricordato sorridendo. “Le persone, anche quelle che erano sospettose nei miei confronti, hanno accettato di aprirmi le loro case. Ho mangiato con loro, ho dormito nelle loro case, mi sono vestito lì, ho ascoltato le loro storie, ho partecipato ai loro conflitti, sono andato al pascolo con i loro figli. Le cose che ho imparato negli anni trascorsi con loro non le avrei potute imparare in nessuna università”.

Havakook segnò questi villaggi su una mappa che aveva disegnato per il suo libro. Jinba, ad esempio, appare sulla mappa, insieme ad altri villaggi che oggi si trovano nella zona di tiro, come Fakheit, Taban e al-Markaz. Nel libro e sulla mappa sono definiti “insediamenti stagionali”. Ho chiesto ad Havakook cosa intendesse con questa dicitura.

“Le famiglie vivevano in quei villaggi per sei-otto mesi all’anno, durante la stagione del pascolo, e poi tornavano al loro villaggio “madre”. Per ogni luogo che ho segnato sulla mappa del libro, ho anche specificato che in quel posto c’era un consistente gruppo di famiglie che vivevano in grotte abitate e che, per quanto mi riguarda, costituivano un insediamento. Se c’era una particolare collina dove vivevano solo una o due famiglie, non la includevo nella mappa”.

Havakook non dice nulla di nuovo: a pagina 56 del libro scrive: “Ogni anno, durante la stagione del pascolo, quelle famiglie frequentavano le grotte. La stagione del pascolo, che coincide con l’inverno, inizia di solito in ottobre-novembre, con le prime piogge, e continua fino a fine aprile e inizio maggio”.

Pastori che pascolano le loro pecore vicino al villaggio cisgiordano di Jinba, sulle Colline a Sud di Hebron, 26 gennaio 2013. (Oren Ziv/Activestills)

In contrasto con l’interpretazione del suo libro fatta dallo Stato, Havakook stesso ha affermato che queste famiglie vivevano nei villaggi nel 1980. Ha spiegato che alcuni dei residenti mantenevano uno stile di vita migratorio tra due case: sei-otto mesi nelle grotte, nei villaggi dell’area di Masafer Yatta, e il resto dell’anno nei loro villaggi “madre”.

“Le famiglie arrivavano regolarmente, sempre nella stessa grotta, e quando non c’erano, nessuno entrava in quelle grotte”, ha detto. “Non erano abbandonate né invase senza motivo. Era chiaro a tutti che quello era il loro villaggio e che una grotta era quella di una certa famiglia”.

Ha proseguito: “C’erano casi, anche nei ruderi che ho segnato sulla mia mappa, di residenti che rimanevano tutto l’anno. Tutti questi insediamenti erano in via di costituzione. È un processo naturale”, ha detto Havakook, che deriva dal fatto che “non c’era più spazio per vivere o pascolare” nei villaggi-madre trasformati in città, che si trattasse di Yatta, Dura o As-Samu’. Di conseguenza, i residenti più giovani rimanevano nei villaggi di Masafer Yatta tutto l’anno, e non solo durante la stagione del pascolo.

Divieto di deposizione

Lo Stato, tuttavia, ha presentato le osservazioni di Havakook in modo diverso. La risposta dello Stato alla petizione degli abitanti del villaggio contro l’espulsione recitava: “Il libro di Havakook dimostra che non c’è alcun fondamento per l’affermazione dei firmatari di aver vissuto nella zona di tiro alla vigilia della sua dichiarazione come zona militare chiusa. Al massimo, è possibile che alcuni di loro frequentassero la zona di tiro di tanto in tanto e temporaneamente, per due-cinque mesi all’anno”.

Nella sua sentenza, il giudice Mintz ha scritto che “il libro di Havakook non sostiene la tesi dei firmatari secondo i quali il loro centro di vita, anche prima del 1980, era nelle grotte della zona di tiro”. Il giudice ha indicato la pagina 27 del libro, dove si dice che i residenti dei villaggi “mantenevano legami con i loro villaggi ‘madre'”, e la pagina 34, dove si dice che Jinba era un “insediamento stagionale”.

Eppure, durante la nostra conversazione, lo stesso Havakook ha sottolineato che i villaggi esistevano già negli anni ’70 e che le famiglie vi vivevano in modo permanente o per lunghi periodi di tempo. Il loro legame con questi luoghi, ha detto, era indiscutibile. “Quella era la loro casa. Mi sono seduto con loro, ho condiviso la loro vita quotidiana e tutto ciò che c’è intorno”, ha detto. Havakook ha raccontato di aver girato per le Colline a Sud, di Hebron, in particolare nell’area che sarebbe stata conosciuta come Masafer Yatta, con due macchine fotografiche.

Famiglie di residenti e loro sostenitori palestinesi protestano davanti alla Corte Suprema israeliana a Gerusalemme durante l’udienza finale riguardante i piani di Israele per l’espulsione di oltre 1.000 residenti di Masafer Yatta, nel sud della Cisgiordania, il 15 marzo 2022. (Oren Ziv/Activestills)

Nel 2000, l’avvocato Shlomo Leker contattò Havakook e gli chiese se avrebbe accettato di presentare una deposizione all’Alta Corte sugli anni in cui aveva vissuto nell’area, per aiutare coloro che avevano presentato una petizione contro l’espulsione. Havakook accettò immediatamente. È lecito supporre che la sua deposizione avrebbe aiutato i residenti palestinesi dei villaggi. Ma Havakook all’epoca lavorava al Ministero della Difesa e quindi dovette rivolgersi al procuratore generale israeliano per chiedere l’autorizzazione alla deposizione.

“Qualche giorno dopo, ho ricevuto una telefonata dal procuratore generale del Ministero della Difesa”, ha detto Havakook. “Un avvocato mi ha parlato e mi ha detto che mi era vietato presentare una deposizione e che se l’avessi fatto senza approvazione sarei stato soggetto a un’azione disciplinare. Ero un dipendente statale, non volevo essere danneggiato”.

Quando gli è stato chiesto perché il ministero gli ha impedito di condividere con il tribunale ciò che ha visto nei villaggi, Havakook ha detto di non saperlo. “Forse erano preoccupati per la validità delle loro argomentazioni, e forse hanno dato un’occhiata al mio libro e hanno capito quello che hanno capito”.

Michael Ben Yair, che ha ricoperto la carica di procuratore generale di Israele a metà degli anni ’90, ha dichiarato a +972 Magazine che non permetteva ai dipendenti statali, come Havakook, di testimoniare o presentare deposizioni ai tribunali che si opponessero alla posizione del governo. Tuttavia, questo non è vietato dalla legge, ma è solo rimesso alla discrezione del procuratore generale, e in alcuni casi fare deposizioni può essere permesso.

Havakook si è rammaricato. “Se entrambe le parti si basano su un libro e ne traggono conclusioni diverse, e al tempo stesso c’è la possibilità che l’autore spieghi le cose alla corte, sarebbe opportuno che ciò avvenisse”, ha detto.

Criteri occidentali di Tel Aviv o Ramat Gan

Quando ho detto ad Havakook che lo Stato aveva affermato, sulla base di fotografie aeree, che i villaggi non avevano le caratteristiche degli insediamenti consolidati, come strade asfaltate, una scuola o strutture costruite, lui si è messo a ridere. In effetti, nei villaggi non c’erano edifici di questo tipo, perché i residenti vivevano sottoterra nelle grotte. Ma per Havakook, lì c’erano assolutamente dei villaggi.

Un bulldozer israeliano demolisce un capannone agricolo palestinese nell’area cisgiordana di Masafer Yatta, 27 febbraio 2020. (Wisam Hashlamoun/Flash90)

“La prima volta che sono andato ad a-Tuwani, non mi ero accorto che lì c’erano delle abitazioni. All’improvviso, a pochi metri da me, è spuntata da terra una donna con un foulard bianco”, ha raccontato. “Dopo un po’ ho capito la vera natura del luogo. Ho visto che quelle che all’inizio mi sembravano alcune pietre sparse sul posto, erano in realtà una sorta di recinzione che gli abitanti avevano realizzato. Ho imparato che l’apertura della recinzione, che circonda la casa, non è mai di fronte all’apertura della grotta, per mantenere la privacy”.

“Non c’è un solo modo di classificare questa comunità”, ha detto Havakook. “Non tutto è definito secondo i criteri occidentali di Tel Aviv o [del suo quartiere degli affari] Ramat Gan, con le tasse di proprietà e l’elettricità e l’acqua e i documenti. Il giurista, con tutto il rispetto, è seduto in una grande stanza illuminata dal neon. Sa leggere le clausole legali ed è bravo a formulare le cose in un linguaggio contorto, ma non vive in quei posti lì. Non ha respirato l’odore del fumo dei falò all’interno della grotta, non è stato preso a calci da una capra… Giudicare uno stile di vita con gli occhi di un’altra cultura fa sembrare strano e incomprensibile ciò che si vede, ed ecco che l’interpretazione che ne deriva può essere del tutto falsa”.

Havakook non è comunque sorpreso dalla decisione dello Stato di espellere gli abitanti del villaggio. Nel 1999, 700 persone sono state caricate sui camion ed espulse dall’area; le autorità hanno permesso loro di tornare solo dopo aver presentato una petizione all’Alta Corte. Ora, lo Stato ha dato all’esercito il via libera per trasferirli ancora una volta con la forza.

Questo articolo è stato pubblicato in collaborazione con Local Call.

https://www.972mag.com/anthropologist-masafer-yatta-firing-zone/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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