Albert Einstein, il socialista filo-palestinese

Lug 27, 2021 | Riflessioni

di Billy Anania,

Current Affairs, 21 luglio 2021. 

Il famoso fisico iniziò come sionista ma finì per opporsi all’occupazione della Palestina; oggi però tutti preferiscono parlare della sua scienza piuttosto che della sua politica.

Oltre a rivoluzionare il campo della fisica teorica, Albert Einstein fu un accanito scrittore di lettere. Sia che offrisse oculati consigli ai leader mondiali o che inviasse missive feroci ai giornali principali, il famoso fisico era un comunicatore ardente e influente. Intervenendo regolarmente su questioni importanti del suo tempo, la sua corrispondenza rivela una graduale radicalizzazione stimolata da momenti decisivi nella storia del XX secolo. Einstein era, infatti, decisamente socialista.  

L’eredità di Einstein, tuttavia, è stata ampiamente depoliticizzata. Questo per prevedibili ragioni: le università e i musei occidentali spesso scelgono di rappresentare figure storiche di sinistra come Helen KellerMark TwainMartin Luther King, Jr. e Pablo Picasso in un quadro filo-capitalista. Nel caso di Einstein, ci sono altri fattori in gioco: innanzitutto, era un eminente intellettuale ebreo che iniziò come sionista ma finì per essere fortemente contrario all’occupazione israeliana della Palestina. I suoi archivi, conservati online e a Gerusalemme, descrivono in dettaglio la sua presa di coscienza non solo sulla difficile situazione dei Palestinesi, ma sulla violenza del colonialismo d’insediamento e del capitalismo globale nel suo insieme.        

Questo risveglio coincise anche con il suo sostegno alla liberazione dei neri: fece amicizia con figure rivoluzionarie nere come Paul Robeson e W.E.B. Du Bois. Quando Du Bois fu accusato di essere una spia comunista, Einstein si batté per far chiudere l’indagine. Questi eventi portarono il Federal Bureau of Investigation (FBI) a tenere un fascicolo su Einstein di oltre 1.400 pagine.   

Nessuno di questi fatti torna comodo a una cultura politica occidentale che preferirebbe ricordare Einstein come un distratto scienziato tutto preso dalla fisica, con un accento stravagante e buffi capelli, che borbottava un sacco di ovvietà non politiche (molte delle quali mai dette da lui). Ma vale ancora la pena di esaminare il suo itinerario verso il socialismo, così come i suoi scritti politici che sono profondi e interessanti, soprattutto quando si tratta della Palestina. 

Einstein, che leggeva e pensava a molto più della sola fisica, aveva co-fondato il Partito Democratico Tedesco nel 1918. A quel tempo, era un dichiarato sostenitore di una patria ebraica in Palestina. Questo suo iniziale sionismo, tuttavia, deve essere visto nel contesto dell’esperienza ebraica dell’epoca. Einstein ha affrontato personalmente insulti antisemiti dopo aver ricevuto il premio Nobel per la fisica nel 1921, con altri due vincitori tedeschi del premio Nobel che hanno etichettato il suo lavoro come “scienza ebraica”. Nel 1922, Einstein e sua moglie Elsa viaggiarono in diversi paesi tra cui Stati Uniti, Giappone e Palestina, in parte per consentire ad Albert di tenere conferenze sulle sue teorie della relatività, ma anche per sfuggire ai timori di possibili violenze antisemite. Il loro amico Walther Rathenau, politico ebreo tedesco e ministro degli esteri della Repubblica di Weimar, fu assassinato poco prima della loro partenza. Un gruppo paramilitare di estrema destra chiamato Organisation Consul si prese il merito dell’omicidio di Rathenau, e molti dei suoi membri avrebbero continuato a servire nelle Schutzstaffel naziste (le SS).       

Gli Einstein tornarono in Germania per un altro decennio, solo per essere costretti a fuggire nel 1933 sotto la minaccia di assassinio. Hitler era appena salito al potere e Einstein era stato un aperto oppositore delle politiche naziste. I giornali tedeschi fedeli al nuovo regime affermarono che Einstein stava diffondendo propaganda comunista, mentre le forze governative bruciavano i suoi documenti di ricerca e confiscavano i conti bancari suoi e di Elsa. Gli Einstein cercarono rifugio prima nella campagna inglese, poi a Princeton, nel New Jersey, dove vissero il resto della loro vita.  

Di nuovo, è in questo contesto che deve essere compreso il primo sionismo di Einstein. Mentre erano in Palestina, gli Einstein, ospitati da leader sionisti che collaboravano con la Gran Bretagna, incontrarono diverse figure politiche ebraiche e arabe, viaggiando a Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa, nonché in diversi insediamenti agricoli. Questo tour lasciò una profonda impressione su Albert, risultando in anni di sostegno sionista. Una lettera al Manchester Guardian nel 1929 lo vede applaudire il “calibro intellettuale e morale” dei primi coloni. Sempre moralista, Einstein sviluppò una giustificazione etica basata su secoli di espropriazione ebraica. Sebbene altrove possa essersi opposto al colonialismo, mostrò una comprensione abbastanza limitata del fatto che uno stato israeliano avrebbe necessariamente significato la colonizzazione della Palestina.      

Undici anni dopo, tuttavia, la necessità di fuggire dall’occupazione nazista, cambiò le opinioni di Einstein sull’argomento. Aveva interpretato il sionismo pre-1948 nello spirito dei profeti ebrei, che sostenevano il chesed, una parola che rappresenta l’amore tra le persone e la pietà verso Dio. Il suo articolo del 1938 intitolato “Perché odiano gli ebrei?” discuteva del “legame che ha unito gli ebrei per migliaia di anni, e che li unisce ancora oggi… l’ideale democratico della giustizia sociale, unito all’ideale del mutuo aiuto e della tolleranza”. Questa concezione della natura fondamentale dell’ebraismo era in contrasto, si rese conto Einstein, con il progetto coloniale sionista post-1948, che conteneva elementi di quel fanatismo e nazionalismo a cui era appena sfuggito. Quello stesso anno, in un discorso tenuto al Comitato Nazionale Laburista per la Palestina a New York City, spiegò la sua paura di ciò che uno stato sionista avrebbe significato per l’anima ebraica:   

“A parte le considerazioni pratiche, il mio modo di concepire la natura essenziale dell’ebraismo resiste all’idea di uno stato ebraico con confini, un esercito e una certa misura di potere temporale, non importa quanto modesto. Ho paura del danno interiore che l’ebraismo subirà, specialmente dallo sviluppo di un nazionalismo angusto all’interno delle nostre stesse file, contro il quale abbiamo già dovuto combattere prima di avere uno Stato ebraico. Non siamo più gli ebrei del periodo dei Maccabei. Un ritorno a una nazione nel senso politico della parola equivarrebbe a voltare le spalle alla spiritualizzazione della nostra comunità che dobbiamo al genio dei nostri profeti».

A questo punto, Einstein rimase in un certo senso un sionista: sosteneva ancora una patria per gli ebrei in Palestina, ma solo una in cui si potesse coesistere pacificamente con i Palestinesi, non uno stato etnico ebraico. Quell’etnostato nacque tuttavia nel maggio 1948, e in una lettera del dicembre 1948 al New York Times , Einstein e più di altri 20 intellettuali ebrei espressero preoccupazione per la visita programmata del politico ultra-sionista Menachem Begin negli Stati Uniti, sostenendo che il partito Herut di Begin (o il “Partito della Libertà”, un predecessore del nazionalista Likud di estrema destra) stava promuovendo “una commistione di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale”.    

Lo stesso Begin aveva una storia particolarmente brutta: era strettamente associato all’organizzazione paramilitare Haganah e aveva scalato i ranghi del gruppo terroristico sionista Irgun, che si era guadagnato una reputazione attaccando le autorità del mandato britannico in Palestina. Anche l’Irgun e la banda Stern, guidata da Yitzhak Shamir, uccisero centinaia di Palestinesi nel massacro di Deir Yassin dell’aprile 1948. “È inconcepibile”, dissero Einstein e altri nella lettera al Times, “che coloro che si oppongono al fascismo in tutto il mondo, una volta ben informati sulla situazione politica e sulle prospettive di Mr. Begin, possano aggiungere i loro nomi per sostenere il movimento che egli rappresenta”.    

Begin e Shamir avrebbero poi ricoperto diversi mandati come Primo Ministro; il tipo di nazionalismo violento e razzista che Einstein denigrava era una parte fondamentale e accettata della politica israeliana. Nel 1952, il primo ministro David Ben-Gurion offrì effettivamente ad Einstein la presidenza di Israele dopo la morte del suo primo presidente, Chaim Weizmann. Tra le ragioni di Einstein per rifiutare l’offerta c’era il fatto che avrebbe dovuto “dire al popolo israeliano cose che esso non vorrebbe sentire”. Queste “cose” probabilmente includevano la convinzione di Einstein che l’occupazione della Palestina fosse fondamentalmente antitetica alla natura del giudaismo.       

Oltre ad esser convinto dell’immoralità dell’occupazione, Einstein sembrava anche pensare che essa si sarebbe rivelata insostenibile a lungo termine. Come prova, si veda un recente articolo per il Middle East Monitor, in cui Yvonne Ridley indica un’altra lettera del 1948 che Einstein scrisse agli American Friends of the Fighters for the Freedom of Israel. Il gruppo aveva scritto a Einstein per chiedere il suo aiuto nel legittimare lo stato israeliano dopo il massacro di Deir Yassin. In un breve telegramma, Einstein rispose: “Se una catastrofe reale e definitiva dovesse capitarci in Palestina, il primo responsabile sarebbe la Gran Bretagna e il secondo responsabile sarebbero le organizzazioni terroristiche sviluppatesi [la Ridley, autrice dell’articolo citato, aggiunge qui un “sic” perché Einstein fa un piccolo errore di inglese e scrive ‘build up’ invece che ‘built up’ NdT] nei nostri stessi ranghi. Non sono disposto a incontrare nessuno che sia associato a quelle persone fuorviate e criminali”.     

Ridley sostiene che questa brusca condanna funziona come una previsione dell’eventuale caduta di Israele. “Lo scienziato ebreo più famoso della storia sapeva che un Israele nato da un concepimento macchiato di sangue e gestito da zeloti di destra armati non era praticabile”, ha osservato. “Non ci sarebbe voluto un genio per dircelo.”

Negli ultimi anni della sua vita, allargando le sue vedute anche oltre Israele, Einstein sosteneva che il colonialismo genera fascismo e il capitalismo prospera sul sacrificio umano. Queste idee sono espresse al meglio nel suo saggio intitolato “Why Socialism?” che apparve nel primo numero della rivista socialista indipendente Monthly Review. Nel saggio, sosteneva che il mondo sviluppato esiste in gran parte grazie a una “conquista” e che l’economia occidentale si sostiene manipolando il consenso. Scriveva:   

“L’anarchia economica dell’odierna società capitalista è, secondo me, la vera fonte del male. Abbiamo davanti a noi un’enorme comunità di produttori i cui membri si sforzano incessantemente di privarsi reciprocamente dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza, ma -nel complesso- nel fedele rispetto delle regole stabilite dalla legge. A questo proposito, è importante rendersi conto che i mezzi di produzione, vale a dire l’intera capacità produttiva necessaria per produrre beni di consumo e beni strumentali aggiuntivi, possono legalmente essere, e per la maggior parte sono, proprietà privata individuale”.

Ha poi portato queste affermazioni un passo avanti, affermando che la “società socialista del futuro” deve andare oltre questa “fase predatoria dello sviluppo umano”. La scienza può introdurre nuove idee e i mezzi per realizzarle, ha detto, ma non può “creare fini”, dimostrandosi così insufficiente quando si tratta di affrontare questioni sociali. “Per questi motivi”, sostiene, “dovremmo stare attenti a non sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani, e non dovremmo presumere che gli esperti siano gli unici ad avere il diritto di esprimersi sulle questioni che riguardano l’organizzazione della società”.

Questa è un’affermazione significativa per uno scienziato che lavora all’interno di un discorso che propaganda la supremazia dell’oggettività, e si pone in netta opposizione ai neoliberisti di oggi che promuovono il loro impegno per la scienza mentre si oppongono a una radicale ristrutturazione della società. L’assunto di base da parte loro è che la scienza dovrebbe lavorare per mantenere l’ordine capitalista dominante, nonostante qualsiasi prova che possa minare la sua legittimità. 

Richard Dawkins, nello spirito di Milton Friedman, ha sostenuto che la selezione naturale è un processo intrinsecamente individuale e quindi una società non competitiva non potrebbe mai esistere. Neil deGrasse Tyson, nel frattempo, critica regolarmente la filosofia e la religione mentre apparentemente evita una critica strutturale dell’economia. Quello che è necessario, dice, è semplicemente più ricerca:         

“Ogni volta che gli scienziati non sono d’accordo, è perché abbiamo dati insufficienti”, dice Tyson. “Poi possiamo accordarci sul tipo di dati da ottenere; otteniamo i dati; e i dati risolvono il problema. O ho ragione io, o hai ragione tu, o abbiamo torto entrambi. E andiamo avanti. Quel tipo di risoluzione dei conflitti non esiste in politica o religione”. 

Il mondo fisico è solo diventato più misterioso grazie al lavoro di Einstein e molte delle domande fondamentali della fisica rimangono irrisolte. Nel frattempo, i problemi della politica e della religione non sono stati risolti, ignorandoli come “irrazionali”. Contraddicendo la presunta mentalità liberal-capitalista “razionale”, Einstein ha esemplificato come una visione del mondo socialista sia radicata nelle virtù non scientifiche della compassione e della moralità, e ha fatto grandi sforzi per correggere i suoi errori sulla base di nuove informazioni morali. 

Questo è stato particolarmente vero dopo che aveva contribuito a influenzare lo sviluppo del Progetto Manhattan, una decisione ampiamente pubblicizzata di cui finì per pentirsi. Secondo la storia, nel 1939 il collega scienziato Leo Szilard visitò Einstein nella sua residenza estiva di Long Island e spiegò la possibilità che Hitler sviluppasse una bomba atomica. Szilard scrisse quindi una lettera al presidente Franklin Delano Roosevelt, co-firmata da Einstein, con queste preoccupazioni. I nazisti non sono poi riusciti a produrre un’arma nucleare (anche se non per mancanza di tentativi), mentre gli Stati Uniti hanno provato la loro nuova potenza di fuoco sugli abitanti di Hiroshima e Nagasaki. Einstein considerava questi bombardamenti in Giappone come un’inutile esibizione, scrivendo nel suo libro del 1950 Out of My Later Years: “Se avessi saputo che i tedeschi non sarebbero riusciti a costruire una bomba atomica, non avrei mai mosso un dito”.         

Con Albert Schweitzer e il collega socialista Bertrand Russell, Einstein fece pressioni per fermare i test nucleari e il futuro sviluppo di bombe atomiche. Giorni prima della sua morte, firmò il Manifesto Russell-Einstein, una dichiarazione che invitava i leader mondiali a perseguire soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali (una dichiarazione che ha anche portato alle conferenze Pugwash sulla scienza e gli affari mondiali, che sono ancora in corso): “Ci aspetta, se lo vogliamo, un progresso continuo nella felicità, nella conoscenza e nella saggezza”, si legge nel manifesto. “Oppure vogliamo invece scegliere la morte non potendo dimenticare i nostri litigi? Come esseri umani facciamo appello ad ogni essere umano: ricorda la tua umanità e dimentica il resto. Se puoi farlo, la via è aperta verso un nuovo Paradiso; se non puoi, hai davanti a te il ​​rischio della morte universale”. 

Il tempo ha esercitato la sua influenza sulla storia di Einstein, sintetizzando la sua eredità nella nostalgia per un singolare genio scientifico. La Guerra Fredda e gli ideologi neoliberisti hanno anche fatto in modo che la storia del socialismo rimanesse confusa nella cultura americana. Ma il modello di pensiero umanista di Einstein, permeato dal suo ebraismo, parla del tipo di rivelazioni politiche che possono avvenire attraverso la fede e la compassione. In “Perché il socialismo”, Einstein ha scritto:

“L’individuo è diventato più consapevole che mai della sua dipendenza dalla società. Ma egli non vive questa dipendenza come un bene positivo, come un legame organico, come una forza protettiva, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali, o anche alla sua esistenza economica… Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società, soffrono di questo processo di deterioramento. Prigionieri inconsapevoli del proprio egoismo, si sentono insicuri, soli e privati ​​del godimento ingenuo, semplice e non sofisticato della vita. L’uomo può trovare un senso alla vita, per quanto breve e pericolosa che sia, solo dedicandosi alla società”. 

Alla fine, sembra che Albert Einstein credesse che l’indagine scientifica deve avere la sua controparte in un amore disinteressato per gli altri. In ogni discussione sulla sua carriera e la sua eredità, è fondamentale notare che la sua politica rimane inseparabile dal lavoro della sua vita.

https://www.currentaffairs.org/2021/07/albert-einstein-the-pro-palestinian-socialist/?fbclid=IwAR17PtkkWOh8hzFbolGDoc7QcGVg3j_HbM65NECd89ZhOq3LZUkrlwlppVw

Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina

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1 commento

  1. Guido Rizzi

    splendido articolo, quanto mai attuale

    Rispondi

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