Come un Ebreo profondamente religioso è diventato uno dei principali attivisti israeliani contro l’occupazione

Lug 3, 2021 | Riflessioni

di Judy Maltz,

Haaretz, 2 luglio 2021. 

Nel suo nuovo libro sul sionismo religioso, Mikhael Manekin sostiene che l’emergere di un movimento di supremazia ebraica all’interno della sua comunità mostra quanto essa si sia allontanata dall’essenza della Torah

Dice di essere di sinistra non malgrado le sue convinzioni religiose, ma a causa di esse. Emil Salman

Circa 20 anni fa, subito dopo lo scoppio della seconda intifada, Mikhael Manekin prestava servizio come ufficiale nella brigata di fanteria Golani. Lui e le sue truppe furono spedite a Salim, una città palestinese nel nord della Cisgiordania. Il loro compito era di tenere i Palestinesi lontani dalla strada che portava al vicino insediamento ebraico di Elon Moreh.

La prima cosa che fecero quando arrivarono fu cercare un edificio che potesse fungere come posto di avvistamento. Dopo aver trovato in paese una casa adatta alle loro esigenze, con finestre che davano sulla strada, ordinarono agli abitanti della casa –una donna anziana, una giovane coppia e i loro figli– di andarsene. La famiglia sfrattata ebbe la fortuna di trovare rifugio a casa dei vicini che stavano di fronte.

Un giorno, il bagno della casa che fungeva da base militare smise di funzionare. In mancanza di alternative migliori, Manekin uscì per liberarsi nel cortile sul retro, dove i suoi occhi videro una donna anziana che lo fissava dalla casa dall’altra parte della strada. Era la nonna della casa di cui aveva preso possesso.

Mentre lei lo osservava con occhi disgustati, Manekin ebbe quello che descrive come un momento di rivelazione. Se mai aveva commesso un atto di chilul hashem –profanazione del nome di Dio– quello lo era, come si rese conto mentre stava lì a urinare, la kippa ancora in testa, davanti agli occhi di quella vecchia donna che lui aveva resa senza casa.  

Era il momento che lo mise su una strada che avrebbe mantenuto per il resto della vita.

Dopo il suo congedo dall’esercito, Manekin, un importante esponente della sinistra israeliana, è stato attivamente impegnato nella lotta contro l’occupazione e nella promozione di una società arabo-ebraica condivisa, all’interno dei confini israeliani precedenti al 1967. È stato uno dei primi direttori di Breaking the Silence, un’organizzazione di ex soldati israeliani impegnati contro l’occupazione.

Successivamente, ha co-fondato e diretto Molad, un gruppo di ricerca progressista noto per i suoi studi sul movimento dei coloni e il suo impatto sulla società israeliana. Negli ultimi anni è stato direttore israeliano dell’Alleanza per il Futuro di Israele, una rete politica e un programma di fratellanza per leader arabi ed ebrei di diversi strati sociali.

Ciò che lo distingue dalla stragrande maggioranza della sinistra israeliana è la kippa in testa. In un paese in cui essere ortodossi va sempre di pari passo con l’essere di destra, sostenere il movimento dei coloni e avere poca tolleranza per i diritti dei Palestinesi, i tipi come Manekin sono una razza rara.

Quanto rara? Secondo recenti sondaggi, appena il 10% degli Israeliani che si identificano come religiosi appartiene alla sinistra politica. Manekin, 42 anni, tesserato del Partito Laburista, sostiene che tra le giovani generazioni di religiosi israeliani questa percentuale è più vicina allo zero.

Il primo ministro Naftali Bennett saluta i sostenitori durante una cerimonia sul monte Herzl lo scorso mercoledì. Ohad Zwigenberg

Scoraggiare l’abuso di potere

In “The Dawn of Redemption” [L’Alba della Redenzione], il suo nuovo libro in lingua ebraica, Manekin sostiene che non c’è nulla di religioso nell’ossessione religiosa sionista per il potere ebraico e nella volontà generata nei suoi seguaci di soggiogare altre persone e violare i loro diritti umani. Lo disturba ancora di più, scrive, perché lui si considera parte di questa comunità.

Il libro cita testi rabbinici e passaggi della Torah per mostrare che la violenza e l’aggressione non sono mai state caratteristiche ebraiche. Da Dio che non permise al re Davide di costruire il Primo Tempio perché era un guerriero, fino agli insegnamenti contro la guerra del rabbino Israel Meir HaKohen Kagan, noto come Chofetz Chaim, Manekin nota che la tradizione ebraica attraverso i secoli ha scoraggiato l’abuso di potere.

“Sembra sempre strano dire cose del genere, ma credo che questa sia la visione di Dio”, ha detto in un’intervista, aggiungendo che lui è di sinistra non malgrado le sue convinzioni religiose ma a causa di esse.

Il suo libro è tempestivo per motivi che Manekin potrebbe non aver previsto quando ha deciso di scriverlo. La sua pubblicazione ha coinciso infatti con la recente marcia annuale della bandiera a Gerusalemme, dove alcuni dei volti più spaventosi del movimento religioso sionista erano in mostra, compresi adolescenti che brandivano bandiere e cantavano “morte agli Arabi” fuori dalla Porta di Damasco, con le loro immagini trasmesse in tutto il mondo.  

Bezalel Smotrich parla ai deputati alla Knesset del suo partito, all’inizio di quest’anno. Ohad Zwigenberg

Una spaccatura nel sionismo religioso

Sebbene i sionisti religiosi rappresentino solo il 10% circa della popolazione, Israele ha oggi per la prima volta un primo ministro che indossa la kippa, Naftali Bennett, un orgoglioso membro di questa comunità. Non sarebbe potuto succedere se non fosse stato per la recente scissione ideologica nel movimento, che ha permesso a Bennett di sfruttare gli scarsi sei seggi (su 120) del suo partito alla Knesset per farsi strada nella carica più importante del paese.

Il partito Yamina di Bennett rappresenta l’ala più liberale nel movimento religioso sionista, mentre il partito Sionismo Religioso (sì, questo è il suo nome) di Bezalel Smotrich rappresenta la fazione fondamentalista. La scissione è avvenuta quando Bennett ha deciso di unirsi a un governo di unità nazionale che includeva un partito arabo e partiti sionisti di sinistra, con grande indignazione di Smotrich. 

Pur riconoscendo le differenze tra le due fazioni religiose sioniste, Manekin afferma di non essere entusiasta di nessuna delle due. “Sono tutti miei avversari dal punto di vista teologico”, dice. “La mia visione per un leader politico religioso –cioè, uno di cui potrei essere orgoglioso– è di qualcuno che sia apertamente contro la superiorità ebraica, in ogni senso”.

Lo rattrista, aggiunge, che gli Israeliani progressisti siano diventati così delusi dai sionisti religiosi da lasciarsi eccitare da uno come Bennett che, nonostante abbracci la corrente più progressista dell’Ortodossia, rimane un convinto sostenitore del movimento degli insediamenti e vede poco di sbagliato nell’occupazione.

Manekin non si è allontanato molto dalle sue radici. Anzi, per niente. Suo padre è nato in America, sua madre è israeliana, e lui è cresciuto in una casa “molto religiosa e molto di sinistra”. Non c’era molta tolleranza in quella casa per la mentalità macho israeliana.

Come racconta Manekin nel suo libro, ogni volta che litigava con un compagno di classe e tornava a casa stravolto, suo padre gli ricordava le parole del grande saggio Maimonide: “Sii tra i perseguitati e non tra i persecutori, tra gli offesi e non tra gli offensori.”

Suo padre una volta ha persino scherzato sul fatto che, insistendo su questo messaggio, probabilmente avrebbe trasformato suo figlio in “un ottimo Ebreo ma solo un Israeliano così-così”.

Sposato con tre figli, Manekin vive in un quartiere di Gerusalemme dove dice che ci sono molte persone che la pensano allo stesso modo, quindi non è un lupo solitario. Manda i suoi figli alle scuole religiose e ai movimenti religiosi giovanili, ben consapevole che saranno esposti a punti di vista molto diversi da quelli che sentono a casa. Ma lui pensa che sia una buona cosa.

“C’è qualcosa di positivo nell’essere nella minoranza, e preferirei che fosse una minoranza politica piuttosto che una minoranza religiosa”, dice.

Anche nel suo stesso campo politico, Manekin è una specie di anomalia, considerando che è ancora un forte sostenitore della soluzione a due stati per il conflitto israelo-palestinese, un’idea a cui un numero crescente nella sinistra israeliana sta rinunciando.

“Non è una soluzione che sia stata provata e abbia fallito”, dice. “Quindi, anche se sono d’accordo che probabilmente ci vorranno molti anni per porre fine all’occupazione, ciò non significa che ci sia qualcosa di sbagliato nell’idea che sta alla base della soluzione a due stati”.

https://www.haaretz.com/israel-news/.premium.HIGHLIGHT-how-a-deeply-religious-jew-became-one-of-israel-s-leading-anti-occupation- attivisti-1.9961036

Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina

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