È tempo di cambiare il discorso liberale su Hamas

Giu 14, 2021 | Riflessioni

di Ali Abunimah,

The Electronic Intifada, 10 giugno 2021.   

Membri delle Brigate Qassam, l’ala militare di Hamas, mostrano i loro razzi durante una parata nel nord della Striscia di Gaza, 30 maggio 2021. Nidal AlwaheidiImmagini SOPA.

La parlamentare USA Ilhan Omar forse pensava di fare un favore ai Palestinesi quando ha sfidato il Segretario di Stato Anthony Blinken in un’audizione al Congresso lunedì scorso.

Ma i suoi commenti su Hamas rafforzano solo la propaganda israeliana che delegittima la resistenza palestinese.

Purtroppo il ‘cerchiobottismo’ di Omar è una caratteristica comune del discorso anche tra i liberali apparentemente filo-palestinesi.

Omar ha pubblicato un video-clip del suo scambio con Blinken. Nel suo tweet ha scritto che “Dobbiamo esigere lo stesso livello di responsabilità e giustizia per tutte le vittime di crimini contro l’umanità”.

Ha inoltre affermato: “Abbiamo visto atrocità impensabili commesse da Stati Uniti, Hamas, Israele, Afghanistan e Talebani”.

Omar giustamente sfida Blinken per l’opposizione degli Stati Uniti all’indagine della Corte Penale Internazionale su questi presunti “crimini di guerra e crimini contro l’umanità”.  

“Vorrei sottolineare che in Israele e Palestina, questo include i crimini commessi sia dalle forze di sicurezza israeliane che da Hamas”, afferma. “In Afghanistan include i crimini commessi dal governo nazionale afghano e dai Talebani”.

Nei suoi commenti Omar omette in particolare i crimini commessi dagli Stati Uniti.

La risposta di Blinken –come molti hanno giustamente notato– è stata ipocrita e disonesta come previsto. Ha sostenuto falsamente che i Palestinesi possono chiedere giustizia in Israele.  

Nessuna equivalenza

Ma è profondamente preoccupante che Omar –che ha raccolto fondi per la sua campagna elettorale dal suo sostegno retorico ai Palestinesi– descriva la resistenza e l’autodifesa palestinesi come “crimini contro l’umanità” e li identifichi con la violenza coloniale di Israele.  

Questo è un modo economico e facile per dimostrare una falsa imparzialità, proprio come criticare Benjamin Netanyahu è diventato il modo politicamente accettabile per i politici statunitensi di apparire duri con Israele senza effettivamente sfidare il suo razzismo fondamentale.  

L’argomento politicamente più difficile da sostenere, sebbene sia quello corretto, è che non c’è equivalenza morale tra un popolo colonizzato che esercita il suo diritto internazionalmente riconosciuto di resistere con i mezzi che ha, e uno stato dotato di armi nucleari che usa armi avanzate per uccidere e terrorizzare coloro che ha sottomesso.

L’elenco delle atrocità di Israele è troppo lungo e noto per essere ripetuto qui. Oltre a espellere 800.000 Palestinesi al tempo della sua fondazione, Israele ha ucciso circa 100.000 Palestinesi e Arabi dal 1948, a partire cioè da decenni prima che fosse fondato Hamas nel 1988.  

L’attacco israeliano a Gaza del mese scorso ha comportato il deliberato prendere a bersaglio le abitazioni dei civili –spazzando via intere famiglie– e la distruzione su larga scala di aziende, uffici di mezzi di comunicazione e infrastrutture.  

L’orrore era così forte che persino il New York Times –la ditta ufficiosa di consulenza americana per l’immagine di Israele– non l’ha potuto più nascondere semplicemente sotto il tappeto.  

Se è ridicolo paragonare la violenza di Hamas –sia nelle motivazioni che nella quantità– a quella di Israele, è ancora più assurdo mettere il gruppo palestinese in compagnia degli Stati Uniti.

Dalla seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno lasciato un numero senza precedenti di morti e distruzioni in tutto il mondo.

Milioni di persone sono state uccise da guerre, colpi di stato e interventi statunitensi dal sud-est asiatico al Guatemala, all’Iraq e molti paesi intermedi.     

Ma quali sono le “atrocità” di cui Hamas è accusato da Ilhan Omar?

Razzi “indiscriminati”

Ci viene spesso detto che Hamas è colpevole di prendere di mira i civili perché ha lanciato “indiscriminatamente” migliaia di razzi verso le città e le risorse strategiche israeliane.

Lo scopo principale di questi razzi è dissuadere Israele e imporgli un costo per la sua pulizia etnica e i suoi attacchi ai Palestinesi, sia a Gaza che a Gerusalemme.

La loro messa a punto è stata una risposta al tentativo di Israele di isolare fisicamente Gaza dal resto della Palestina, al fine di frammentare e indebolire i Palestinesi e facilitare il furto coloniale della loro terra.  

Come Yahya Sinwar, il leader di Hamas a Gaza, ha spiegato in una recente intervista a Vice News, se i Palestinesi usano razzi non guidati ciò non avviene per loro scelta. 

“Israele, che possiede un arsenale completo di armi, attrezzature e aerei all’avanguardia, bombarda intenzionalmente i nostri bambini e le nostre donne, di proposito”, ha detto Sinwar. 

“Non puoi paragonare Israele a gente che resiste e si difende con armi che al confronto sembrano primitive. Se avessimo le capacità per lanciare missili di precisione che possano prender di mira obiettivi militari, non avremmo usato i razzi che abbiamo usato”.

“Siamo costretti a difendere la nostra gente con quello che abbiamo, e questo è quello che abbiamo”, ha aggiunto.

In effetti, è raro sentire qualcuno di quelli che si lamentano che i razzi palestinesi sono “indiscriminati” esortare, ad esempio, gli Stati Uniti o l’Unione Europea ad armare i Palestinesi con armi di precisione, mentre invece armano Israele.

È vero, tuttavia, che i razzi non sono innocui per la vita dei civili.

Durante gli 11 giorni di violenza intensificata del mese scorso, 11 persone sono state uccise in Israele per il lancio di razzi e un soldato è stato ucciso vicino al confine tra Gaza e Israele da un’arma anticarro.

Secondo Sinwar, Hamas non ha utilizzato tutte le sue capacità nella recente escalation.  

Questa affermazione, se vera, indicherebbe che l’obiettivo del gruppo non era causare il massimo di morte e distruzione, ma usare la forza minima necessaria per raggiungere gli obiettivi di resistenza, deterrenza e autodifesa.

In contrasto, ci sono stati 250 Palestinesi uccisi a Gaza, inclusi almeno 67 bambini, mentre Israele bombardava il territorio notte e giorno con le sue armi di “precisione” allo scopo di schiacciare ogni resistenza al suo regime di apartheid.

Ogni vita è preziosa, ma equiparare la violenza coloniale israeliana alla resistenza palestinese, come fa Omar, oscura questi fatti.

La violenza inizia dall’oppressore

Per completezza, dobbiamo chiederci se le “atrocità” di Hamas menzionate da Omar si riferiscano agli attentati suicidi precedentemente compiuti dai Palestinesi a metà degli anni ’90, come una disperata risposta asimmetrica alla violenza dell’occupazione israeliana.

Le organizzazioni palestinesi hanno abbandonato quella tattica, che è stata ampiamente condannata dopo il 2008.

Una quota di violenza è sempre stata parte integrante della lotta anticoloniale, con i gruppi indigeni che cercavano di imporre ai loro colonizzatori un assaggio del terrore che i colonizzatori avevano loro imposto per primi.

Nelson Mandela –ora trattato come un santo dai leader politici occidentali che sostengono i massacri israeliani dei Palestinesi e condannano la resistenza palestinese– lo spiega nella sua autobiografia The Long Walk to Freedom.     

“È sempre l’oppressore, non l’oppresso, che detta la forma della lotta”, scrive Mandela. “Se l’oppressore usa la violenza, gli oppressi non hanno altra alternativa che rispondere in modo violento. Nel nostro caso si trattava di una legittima forma di autodifesa».

“Sta a voi, non a noi, rinunciare alla violenza”, Mandela ricorda di aver detto al regime dell’apartheid.

Durante i primi giorni della lotta armata, Mandela afferma che il suo African National Congress preferiva tattiche che non uccidessero le persone.

Ma chiarisce che “se il sabotaggio non produceva i risultati che volevamo, eravamo pronti a passare alla fase successiva: guerriglia e terrorismo”.

In Palestina, far esplodere bombe in mercati, hotel e altre aree civili è iniziato non come frutto della lotta anticoloniale, ma come una tattica coloniale introdotta dai coloni sionisti negli anni ’30 per terrorizzare i Palestinesi indigeni e impedire loro di esercitare il loro diritto all’autodeterminazione.

Anche se i Palestinesi stavano solo emulando i Sionisti, sembra improbabile che gli attentati suicidi degli anni ’90 e dei primi anni 2000 siano le “atrocità” a cui si riferiva Omar.

Innanzitutto, come già detto, la tattica è stata abbandonata da tempo.

In secondo luogo, gli attentati suicidi non sono stati compiuti solo da Hamas, ma anche da altri gruppi palestinesi, inclusa la fazione Fatah di Mahmoud Abbas, il leader dell’Autorità Palestinese sostenuto dagli Stati Uniti, che rimane uno stretto alleato di Israele e con il quale Blinken è ansioso di riallacciare legami affettuosi.     

In terzo luogo, non si può dire che le vittime di tali attentati non abbiano avuto accesso alla “giustizia” – o a ciò che potrebbe essere più propriamente chiamato vendetta.

Israele ha effettuato numerose esecuzioni extragiudiziali, apparentemente in risposta ad attacchi precedenti, tra cui l’uccisione dello sceicco Ahmad Yasin, il fondatore di Hamas,  che era cieco ed era costretto a una sedia a rotelle fin dall’infanzia.

Nel 2003, l’anno prima di assassinare Yasin, nei suoi attacchi di vendetta Israele ha ucciso più “malcapitati” che “terroristi o sospetti terroristi”, secondo il governo degli Stati Uniti.  

Questo, tuttavia, non è considerato “terrorismo” dagli Stati Uniti.

Israele tiene incarcerato dal 2002 il leader di Fatah Marwan Barghouti. Lo accusa di essere uno dei leader della “campagna terroristica palestinese di attentati suicidi e attacchi a fuoco contro cittadini israeliani” durante la seconda intifada dei primi anni 2000.  

In un processo in cui Barghouti si è rifiutato di partecipare o difendersi, Israele lo ha condannato per il suo ruolo in attacchi che hanno ucciso cinque persone e lo ha condannato a cinque ergastoli.  

È da notare che anche giudici israeliani –che Barghouti ha paragonato a “piloti che guidano aerei e sganciano bombe” sui Palestinesi– lo hanno assolto per mancanza di prove dal coinvolgimento in dozzine di altri atti violenti.

Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno approvato innumerevoli leggi “anti-terrorismo” che puniscono collettivamente Palestinesi e Palestinesi americani nei tribunali statunitensi per atti di cui accusano Hamas.  

Al contrario, i Palestinesi non possono ricorrere ai tribunali statunitensi per i crimini di Israele sponsorizzati dagli USA e diretti contro di loro.

Come giustamente sottolinea Ilhan Omar, gli Stati Uniti ora cercano di negare ai Palestinesi l’accesso alla giustizia anche presso la Corte Penale Internazionale.

Allo stesso tempo, ogni forma di resistenza in cui i Palestinesi si impegnano –dalla lotta armata ai boicottaggi non violenti– è regolarmente condannata dalla cosiddetta comunità internazionale.

“Vittime ben educate”

Uno degli stratagemmi politici più facili in Occidente è demonizzare soprattutto Hamas –tra gli altri gruppi palestinesi– come covo di fanatici religiosi con gli occhi iniettati di sangue, votati a seminare morte e distruzione per il gusto di farlo, o a causa del loro odio irrazionale verso gli Ebrei.

Questo è sempre stato il messaggio di propaganda di Israele, e purtroppo è uno di quelli alimentati dai commenti di Omar, che lei lo voglia o no.

Fin dalla sua fondazione, e specialmente negli ultimi due decenni, Hamas è entrato nell’ambito generale della politica nazionale palestinese.

Ha affermato la sua indipendenza dai Fratelli Musulmani, l’organizzazione transnazionale fondata in Egitto un secolo fa, e ha accettato i confini del 1967 come base per uno stato palestinese al fianco di Israele.

Inoltre ha ripudiato esplicitamente il linguaggio di alcuni dei suoi documenti precedenti che riecheggiavano i classici cliché antisemiti europei.

Questi cambiamenti sono stati confermati in un documento che ne delinea i principi guida, pubblicato nel 2017.  

“Hamas afferma che la sua lotta è contro il progetto sionista, non contro gli Ebrei e loro religione”, è scritto nel documento. “Hamas non fa una lotta contro gli Ebrei perché sono Ebrei, ma fa una lotta contro i Sionisti che occupano la Palestina. Eppure, sono i Sionisti che identificano costantemente l’Ebraismo e gli Ebrei con il loro progetto coloniale e la loro entità illegale».

Il documento afferma anche il diritto dei Palestinesi di resistere militarmente a Israele, ma afferma che l’azione militare è un mezzo per raggiungere obiettivi politici e nazionali, e non un fine a se stesso.

E non è nemmeno il mezzo preferito, come ha spiegato il leader di Hamas Sinwar nella sua intervista a Vice News.  

“Sappiamo che non vogliamo la guerra o il combattimento, perché costa vite umane e la nostra gente merita la pace”, ha detto Sinwar.

Riferendosi probabilmente alla Grande Marcia del Ritorno del 2018 –alla quale Israele ha risposto ordinando ai cecchini di sparare ai bambini– Sinwar ha aggiunto: “Per lunghi periodi di tempo, abbiamo tentato la resistenza pacifica e la resistenza popolare”.    

Ma invece di agire per fermare i crimini e i massacri di Israele, “il mondo è rimasto a guardare mentre la macchina da guerra dell’occupazione uccideva i nostri giovani”, ha detto Sinwar.

“Il mondo si aspetta che siamo vittime ben educate mentre veniamo uccisi, che ci lasciamo massacrare senza fare rumore?”

Una valutazione delle politiche di Hamas basata sui fatti smentisce la propaganda razzista e mente quando dice che è semplicemente un’organizzazione assetata di sangue, così intenta alla violenza che usa persino i bambini palestinesi come scudi umani.  

Il negazionismo statunitense e israeliano

Per molti anni, la strategia politica e militare di Hamas è stata quella di emulare il percorso politico seguito da altri movimenti di liberazione nazionale e anticoloniali, in particolare lo Sinn Fein e l’Esercito Repubblicano Irlandese.

Quei gruppi irlandesi, a lungo demonizzati come “terroristi” dai Britannici, facevano comunque parte dei negoziati che portarono all’accordo di Belfast del 1998, che pose fine a decenni di violenza nel nord dell’Irlanda.  

Quell’accordo stabiliva anche i termini politici in base ai quali i nazionalisti irlandesi potevano raggiungere il loro obiettivo di abolire l’Irlanda del Nord, lo staterello diviso creato dagli Inglesi per proteggere il potere e i privilegi della comunità coloniale prevalentemente protestante.  

Se Hamas e altre fazioni palestinesi continuano la loro resistenza militare, è perché Israele e i suoi sponsor americani ed europei hanno rifiutato tutte le offerte palestinesi, generose e di vasta portata, per un accordo con gli Israeliani.

Anche Hamas alla fine ha acconsentito alla cosiddetta soluzione dei due stati, in cui i Palestinesi accettavano uno stato sul 22 per cento soltanto del loro paese.  

La risposta di Israele è sempre stata un rifiuto totale, insistendo sul fatto che Israele deve mantenere il possesso permanente, il controllo e la supremazia ebraica in tutta la terra tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.  

In effetti, questo rifiuto è così estremo che, mentre gli Stati Uniti negoziano direttamente con i Talebani con i quali stanno combattendo una guerra, rifiutano qualsiasi contatto con Hamas, che non è mai stata in guerra con gli Stati Uniti.

Gli accordi di normalizzazione mediati dagli Stati Uniti che vari regimi arabi hanno firmato con Israele durante l’ultimo anno hanno dato a Israele un ulteriore via libera per intensificare la sua pulizia etnica a Gerusalemme.  

Ciò ha costretto le fazioni della resistenza palestinese a Gaza a rispondere militarmente in difesa dei Palestinesi di Gerusalemme abbandonati al loro destino dal resto del mondo.  

Porre la violenza dei gruppi della resistenza palestinese nella stessa categoria di quella dell’occupante coloniale o degli Stati Uniti significa diventare complici di una riprovevole equivalenza morale. Non è diverso da quelli che gridano “Tutte le vite sono importanti” [anziché “Le vite dei Neri sono importanti”] quando si confrontano con la realtà del razzismo sistematico e della violenza della polizia contro i Neri negli Stati Uniti.

Sì, le vite di tutti gli esseri umani contano, ma la responsabilità della violenza che prende quelle vite non è equamente condivisa.

Senza una chiara diagnosi di dove risieda la responsabilità –e in Palestina la causa principale di tutta la violenza politica è la colonizzazione sionista– non può esserci speranza per una pace giusta che la porti alla fine della violenza.  

Ali Abunimah è il direttore esecutivo di The Electronic Intifada.

https://electronicintifada.net/content/its-time-change-liberal-discourse-about-hamas/33376

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina

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