Noi artisti in Germania siamo censurati perché sosteniamo i diritti dei Palestinesi

Feb 15, 2021 | Riflessioni

di: Brian Eno,
The Guardian, 4 Febbraio 2021. 

Una risoluzione parlamentare del 2019 ha avuto l’effetto di raffreddare le voci critiche nei confronti della politica israeliana. Ora il settore della cultura ne parla apertamente.

Brian Eno alla sua mostra Light Music di Londra, 2018. (Yui Mok/PA)

Sono solo uno dei tanti artisti che sono stati colpiti da un nuovo maccartismo che si è sviluppato
in Germania all’interno di un clima crescente di intolleranza.

La scrittrice Kamila Shamsie, il poeta Kae Tempest, il gruppo musicale degli Young Fathers, il rapper Talib Kwelli, l’artista visivo Walid Raad e il filosofo Achille Mbembe sono tra gli artisti, accademici, curatori di mostre e musei ed altro ancora che sono stati coinvolti in un sistema di interrogazioni parlamentari, liste di proscrizione ed esclusioni, diffusosi in Germania in seguito all’approvazione di una risoluzione parlamentare del 2019. Negli ultimi tempi, tra i bersagli da colpire ci sono anche i critici delle politiche messe in atto da Israele nei confronti dei Palestinesi.

Recentemente una mostra delle mie opere d’arte è stata cancellata nella sua fase iniziale Perché io sostengo il movimento palestinese non violento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).
La cancellazione della mostra non è mai stata dichiarata ufficialmente, ma ho capito che è stata la conseguenza del fatto che gli operatori del settore della cultura temono che essi stessi e le istituzioni che rappresentano possano essere puniti per avere promosso qualcuno etichettato come “antisemita”. Questo è il modo di agire di una tirannia: creare una situazione dove la gente è sufficientemente spaventata da tenere la bocca chiusa, e così l’autocensura farà il resto.

Essendo la mia vicenda relativamente secondaria, vorrei parlarvi di una mia amica, la musicista Nirit Sommerfeld.

Nirit è nata in Israele e cresciuta in Germania, e mantiene forti legami con entrambi i paesi, compresi i suoi parenti in Israele. In qualità di artista, da oltre 20 anni parla delle relazioni tra Tedeschi, Israeliani e Palestinesi nelle sue canzoni, testi e performance, dedicando tutti i suoi spettacoli al dialogo internazionale ed interreligioso.

Tuttavia, ora Nirit non ha più la possibilità di svolgere liberamente la sua attività culturale. Quando ha fatto richiesta di fondi per artisti, i funzionari statali le hanno detto che era prima necessario valutare il suo lavoro; quando  ha provato a prenotare una sala concerti a Monaco di Baviera, la sua città, gli organizzatori le hanno detto che il suo spettacolo sarebbe stato cancellato, a meno che lei non avesse confermato per iscritto che lo show non conteneva alcun sostegno ai contenuti, argomenti e obiettivi della campagna BDS. Nirit è quindi stata di frequente oggetto di campagne diffamatorie.

Perché tutto questo è successo?

Perché lei ha parlato di ciò che ha visto coi propri occhi: leggi razziste di Israele contro suoi cittadini che sono però palestinesi; demolizioni di case, il muro di separazione, terre confiscate,
incarcerazioni di minori, soldati israeliani che umiliano e uccidono Palestinesi di tutte le età. È stata testimone dell’uso illegale di bombe al fosforo contro Gaza e dell’indifferenza – per usare un eufemismo – di tanti nella società israeliana.

Le ho chiesto cosa prova di questa situazione: “Dopo essere ritornata a Tel Aviv per due anni e dopo tante visite ai territori palestinesi occupati, mi sono resa conto che Israele non è all’altezza dei suoi tanto declamati standard morali. La lezione appresa dall’Olocausto è “Mai più!” Ma lo si
deve intendere solo per proteggere noi Ebrei? Per me “Mai più! deve significare mai più razzismo, mai più oppressione, e mai più pulizia etnica da nessuna parte – e ovviamente mai più antisemitismo”.

La musica di Nirit celebra il suo passato e presente ebraico attraverso la canzone. Come un’artista il cui padre è stato assassinato nel genocidio nazista, si sente assai amareggiata dall’essere sottoposta a censura e maccartismo da inquisizione da parte di istituzioni e funzionari tedeschi.

Nella visione di Nirit “quando i difensori di Israele insistono che le politiche di occupazione e apartheid sono fatte in nome di tutto mondo ebraico, sono loro che fomentano l’antisemitismo. Combattere l’antisemitismo non può e non deve essere fatto demonizzando la lotta per i diritti dei Palestinesi”.

L’esperienza di Nirit è un esempio della situazione kafkiana nella quale stiamo andando tutti: una donna ebrea, il cui lavoro è tutto storia, memoria, giustizia, pace e dialogo, viene falsamente accusata di antisemitismo dalle istituzioni della Germania. L’assurdità dell’accusa chiarisce una cosa: che in realtà tutto questo non ha nulla a che fare con l’antisemitismo, ma si mira piuttosto a limitare la nostra libertà di discutere la situazione politica e umanitaria in Israele e Palestina.

E allora come si è giunti a questa situazione?

Nel 2019 una risoluzione parlamentare, non vincolante e scritta in maniera vaga, è stata approvata in Germania, ponendo falsamente sullo stesso piano il movimento BDS e l’antisemitismo. In breve tempo, questa risoluzione ha spianato la strada a un’atmosfera di paranoia, alimentata da disinformazione e opportunismo politico.

Il BDS è un movimento pacifico che ha l’obiettivo di fare pressione su Israele perché terminino le violazioni di diritti umani dei Palestinesi e si rispetti la legge internazionale. Ha come modello i precedenti movimenti sui diritti civili negli Stati Uniti e il più celebre movimento anti-apartheid in Sudafrica. Va contro ogni complicità nei confronti di un regime ingiusto e ne colpisce le istituzioni,
ma non gli individui o l’identità ebraica. Il BDS sensibilizza l’opinione pubblica su di uno status quo insostenibile e profondamente ingiusto, mobilitando forme di azione per porre fine ad ogni coinvolgimento e sostegno a questa situazione.

Tuttavia i direttori di festival, organizzatori e istituzioni che ricevono finanziamenti pubblici stanno sottoponendo gli artisti a verifiche di tipo politico, controllando se essi hanno mai criticato
la politica di Israele. Questo sistema di sorveglianza e autocensura si è creato in quanto le istituzioni culturali si sono trovate sotto attacco da parte di gruppi anti-palestinesi ogni qual volta hanno invitato un artista o un accademico che ha una visione dell’occupazione israeliana da loro ritenuta inaccettabile.

Per fare un esempio tra i tanti, il direttore del Museo Ebraico di Berlino, Peter Schäfer, è stato costretto a dimettersi dopo un tweet del museo che rimandava all’articolo di un quotidiano tedesco a proposito di una lettera aperta di 240 studiosi ebrei ed israeliani, compresi alcuni tra i maggiori
esperti di antisemitismo, che era critico nei confronti della risoluzione parlamentare contro il BDS.

Ma adesso, con un’azione senza precedenti, rappresentanti di 32 tra le maggiori istituzioni culturali della Germania, compreso il Goethe Institut, hanno parlato apertamente tutti assieme, esprimendo preoccupazione per la repressione delle voci critiche e minoritarie in Germania, come conseguenza della risoluzione parlamentare anti BDS.

Il loro comunicato dice: “Basandosi su questa risoluzione, vengono rivolte accuse sbagliate di antisemitismo per far tacere voci importanti e distorcere le posizioni più critiche.” Alcuni giorni dopo, più di 1000 artisti ed accademici hanno firmato una lettera aperta, in appoggio alle proteste delle istituzioni culturali.

In un momento storico in cui vengono contestate le eredità del colonialismo, discutere questo particolare esempio di colonialismo tuttora in atto sta invece diventando un tabù. Ma discuterlo non è mai stato così urgente: la situazione dei Palestinesi che vivono sotto apartheid peggiora di settimana in settimana.

Dovremmo essere tutti allarmati da questo nuovo maccartismo. Gli artisti, come tutti i cittadini, devono essere liberi di parlare ad alta voce e intraprendere azioni significative, compresi boicottaggi di principio, contro un sistema di ingiustizie. Se lasciata incontrastata, l’operazione di mettere a tacere le voci dissenzienti e marginalizzare i gruppi minoritari non cesserà mai, ne’ nei confronti dei Palestinesi, ne’ di coloro che li sostengono.

Brian Eno è un musicista, artista, compositore e produttore.

https://www.theguardian.com/commentisfree/2021/feb/04/artists-censored-germany-palestinian-rights?CMP=Share_iOSApp_Other&fbclid=IwAR3n5cLVBVtWMqKAo1eVolbZ4EcMBDp4wDJNMM8oaSpGNejnz3TRjuGGnKc

Traduzione di Gennaro Corcella – AssopacePalestina

1 commento

  1. Claudio Lombardi

    Centratissimo, non una parola di troppo.

    Rispondi

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