In attesa dell’annessione

Lug 17, 2020 | Riflessioni

Che sia de facto o de jure, l’oppressione dei Palestinesi deve avere un prezzo.

di Hagai El-Ad

The American Prospect, 16 luglio 2020

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Jandoss Rothstein

È stato un giorno normale per i Palestinesi sotto il dominio di Israele. Ordinario, nel senso che i molti modi in cui Israele opprime i Palestinesi sono continuati come al solito, attraverso ordini militari, sentenze giudiziarie o violenza diretta dello stato.

Il 1° luglio era la prima data prevista per il lancio dell’annessione de jure israeliana di parti della Cisgiordania occupata. Ma è stato anche un giorno in cui Israele ha semplicemente continuato a fare quel che gli pare nei confronti dei Palestinesi di tutto il territorio: la sua infrastruttura di oppressione è ormai in funzione da decenni. Ma una cosa è certa e immutabile: quanto sia opprimente, umiliante e brutale questa realtà.

Lo stato israeliano ha di fatto annesso vite palestinesi. Che il 1° luglio alcune parti della Cisgiordania occupata non abbiano cambiato la loro condizione in una annessione de jure è stata un’altra decisione israeliana arbitraria, dimostrando in questo caso che la potenza occupante preferisce continuare a soggiogare i Palestinesi in un certo modo invece di usare un nuovo approccio. In modo ugualmente arbitrario, questa stessa decisione può ancora cambiare, oppure no.

Sebbene nulla sia cambiato sul campo, il terreno politico a Washington potrebbe essere in cambiamento.

Non all’AIPAC. Questo cosiddetto gruppo di pressione pro-Israele ha iniziato a “dire ai legislatori americani che possono sentirsi liberi di criticare gli incombenti piani di annessione israeliani – purché le critiche si limitino a questo”, stando a quanto riferito. Allo stesso modo, un appunto trapelato dai guardiani della Lega Anti-diffamazione offre punti di discussione analoghi: aprire “uno spazio ai leader locali e nazionali per esprimere le loro critiche alla decisione di Israele” mentre scarta “le proposte legislative anti-israeliane, ad esempio condannare e mettere sotto i riflettori il suo record negativo sui diritti umani o condizionare in qualche modo gli aiuti militari”.

In altre parole, sembra che il governo israeliano e alcune organizzazioni ebraiche abbiano letto la recente dichiarazione di circa 50 esperti delle Nazioni Unite, secondo cui “le lezioni del passato sono chiare: le critiche senza conseguenze non impediranno l’annessione né porranno fine all’occupazione.” Questi gruppi di Ebrei americani sembrano concordare sul fatto che le conseguenze reali potrebbero effettivamente fare una differenza, e stanno quindi lavorando diligentemente per mantenere il rumore a un livello insignificante, tale da consentire le critiche senza portare a conseguenze vere.

Tuttavia, grazie a tutta l’attenzione rivolta alla potenziale annessione de jure, ora possiamo vedere la differenza tra coloro che sono ancora impegnati ad esprimere “profonda preoccupazione” senza agire e quelli che si rifiutano di continuare con la solita complicità.

A Washington, DC, una lettera firmata da 191 parlamentari democratici “sollecita” il governo israeliano a “riconsiderare” i suoi piani di annessione. Il testo è impostato esclusivamente dal punto di vista degli interessi di Israele; non menziona i diritti umani dei Palestinesi o la loro oppressione passata, presente e futura. Si astiene anche dal suggerire che potrebbero esserci potenziali conseguenze se la loro sollecitazione venisse ignorata.

Ma questa acquiescenza del tipo ‘tutto come al solito’ è stata presto eclissata da un testo molto diverso, promosso dalle parlamentari Alexandria Ocasio-Cortez, Pramila Jayapal, Betty McCollum e Rashida Tlaib, e firmato, tra gli altri, dal senatore Bernie Sanders. Chiamando le cose con il loro nome, la lettera parla di un “percorso verso un sistema di apartheid”. Descrive in dettaglio le violazioni dei diritti umani, dalle limitazioni alla libera circolazione alle continue demolizioni di case palestinesi. E introduce possibili conseguenze serie, facendo leva sui 3,8 miliardi di dollari di finanziamenti militari statunitensi per Israele.

Anche in Europa si assiste a una simile diversità di atteggiamenti. Da un lato, la lettera firmata da più di un migliaio di parlamentari europei che chiedono “conseguenze commisurate” e risoluzioni,  in Belgio e nei Paesi Bassi, che chiedono l’intervento del parlamento. Dall’altro lato, gli articoli pubblicati dal capo della politica estera dell’Unione europea Josep Borrell e da diversi ambasciatori dell’UE in Israele. L’articolo di Borrell menziona a malapena i Palestinesi. Si sforza invece di spiegare agli Israeliani quello che sarebbe nel loro interesse (“L’annessione non è il modo migliore per fare pace con i Palestinesi e migliorare la sicurezza di Israele”), e fa di tutto per spiegare che, secondo Bruxelles, la strada da percorrere è fatta di carote, non di bastoni: “La pace non può essere imposta … La pace può anche portare nuove possibilità di crescita delle relazioni UE-Israele. L’Europa, internamente divisa –e umiliata– per le aperte alleanze di Israele con le crescenti forze autoritarie del continente, sembra finora incapace e non disposta a svegliarsi alla realtà – una realtà a cui si è giunti anche a causa del fallimento della politica estera europea fino ad oggi.

Il 1° luglio si è rivelato un giorno molto ordinario nella nostra realtà. Seguiranno altri giorni ordinari, in un percorso spianato dai bulldozer israeliani, sostenuto dai tribunali israeliani, calpestando case, diritti e dignità dei Palestinesi. Il discorso sull’annessione de jure potrebbe attirare l’attenzione globale, ma quell’attenzione potrebbe svanire se passano le settimane e Israele decide che il suo metodo preferito per opprimere ulteriormente i Palestinesi è attraverso l’annessione de facto ormai ben sperimentata, senza aggiungere ad essa un pizzico di de jure. In un modo o nell’altro, è il governo di Israele che controlla tutti e tutto tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano.

È importante che questa lezione non svanisca nel nulla e che la realtà dell’annessione de facto in corso non sia ulteriormente normalizzata. Non aspettiamo la legalizzazione formale o non tiriamo un sospiro di sollievo se questa possibilità è messa da parte, per ora. Impegniamoci in un rifiuto attivo dell’esistente, spaventosa, realtà sul terreno.

Hagai El-Adè direttore esecutivo di B’Tselem, il Centro informazioni israeliano per i diritti umani nei territori occupati.

https://prospect.org/world/waiting-for-annexation-israel-palestine/

Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina

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