Nella politica israeliana, la parola d’ordine è: la razza ebraica prima di tutto

Apr 3, 2020 | Riflessioni

di Odeh Bisharat

Haaretz, 31 marzo 2020

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Il primo ministro Benjamin Netanyahu in difficoltà spiega perché dovrebbe essere ancora lui a guidare il paese dopo che il suo campo politico ha ottenuto la maggioranza dei “voti ebraici” in Israele. Knesset, Gerusalemme, 4 marzo 2020. Emil Salman

Se i parlamentari del ”blocco dei 62” (Kahol Lavan, Yisrael Beiteinu, Labor-Gesher-Meretz e Joint List) fossero stati tutti di pura origine ebraica, Benny Gantz sarebbe ora occupato a distribuire gli incarichi ministeriali. Ma per sfortuna di Gantz, quasi un quarto del suo blocco è costituito da Arabi; anche se l’altro blocco ha solo 58 seggi, quattro seggi in meno, i membri di quel blocco sono tutti ebrei autentici.

Benjamin Netanyahu ha ben rappresentato la mappa razziale in Israele usando un pennarello blu: 58 seggi per la “destra sionista”, come l’ha chiamata lui, e 47 seggi per la “sinistra sionista”. Ha semplicemente cancellato i 15 seggi vinti dalla Joint List. L’intero sistema politico (eccetto il Labor-Gesher-Meretz) ha seguito questa matrice razziale.

È vero che Netanyahu ha parlato di Sionisti, presumibilmente in quanto seguaci di una ideologia, ma era chiaro che voleva dire Ebrei; dopo tutto, se stava parlando di Sionisti, avrebbe dovuto togliere dal blocco dell’ala destra i 16 seggi conquistati dagli ultra-Ortodossi, che sono anti-sionisti. Ma nella furia della segregazione razziale, chi sta lì a contare?

La domanda è: perché questa brutta cosa viene scoperta solo ora? È perché, fino a quando tutti quelli fuori dal recinto della razza erano ai margini, si poteva tollerare la loro presenza, e persino goderne. Ma quando il loro potere ha cominciato a crescere dappertutto, la destra ha rialzato la testa; e quando hanno cominciato ad esercitare il loro potere democratico nella società ebraica, tutte le valvole son saltate.

Che cosa? Gli Arabi vogliono decidere chi sarà il primo ministro? Eppure, negli Stati Uniti gli Afro-americani non solo hanno determinato chi sarebbe stato presidente, ma uno di loro è diventato presidente, e non c’è stato là nessun terremoto.

Al giorno d’oggi non è politicamente corretto rappresentare gli Arabi come un gruppo etnico di cui aver paura. Ecco perché la campagna contro la Joint List si è focalizzata sul diffamare i suoi membri come “sostenitori del terrore”. Solo loro. Come se i loro elettori fossero venuti dallo Zimbabwe. Ma non solo i parlamentari della Joint List: chiunque fosse un loro alleato era considerato un traditore.

A questo proposito è importante guardare cosa sta succedendo nel campo della “sinistra sionista”. Vediamo che tutti e tre i componenti del Kahol Lavan [il partito Blu e Bianco di Ganz] hanno adottato la divisione fatta da Netanyahu. Dapprima essi hanno parlato di un governo di maggioranza ebraica; più tardi se ne sono vergognati, e hanno cominciato a parlare di un governo di maggioranza Sionista. Lo slogan di Gantz, “Israele prima di tutto” era nei fatti “La razza ebraica prima di tutto”.

Ecco perché il problema non è solo Netanyahu; questo modo di vedere è una accurata traduzione dei fondamenti etici su cui è stato creato lo stato di Israele Si parla della Dichiarazione di Indipendenza come di un faro di luce, con la sua affermazione “con nessuna distinzione di religione, razza e genere”, ma se ci fosse stata una possibilità che persino l’uno per cento delle decisioni dello stato sarebbero state influenzate dagli Arabi, quella frase sarebbe stata cancellata. E la prova ne è il regime militare che è stato imposto sugli Arabi durante i primi anni dello stato, nonostante quella frase rinfrescante. Finché gli Arabi rimangono chiusi nel cortile dietro casa, gli slogan riguardanti l’uguaglianza e la fraternità possono inondare le pubbliche piazze. Ma metterli davvero in atto? Ben Gurion si sarebbe messo a ridere.

Nel frattempo, chiunque sia qualcuno in Israele e persino fuori di esso, continua a raccontarci che mago è Netanyahu. Che genere di mago? Saeed, il protagonista del libro “Il Pessottimista”, di Emile Habibi, perdeva sempre agli scacchi quando giocava contro suo padre, e pensava che suo padre fosse un grande campione. Ma suo padre raffreddò il suo entusiasmo quando gli disse “Tutti i miei amici mi battono, caro figliolo, è solo che tu sei una schiappa”.

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Ayman Odeh, capo della coalizione Joint List a predominanza araba, distribuisce pubblicità elettorale nella città di Taybe a nord di Israele. 21 febbraio 2020. AFP

Non vorremmo chiamare i rivali del primo ministro con attributi offensivi. Ma lasciateci dire che il problema non è solo Netanyahu, è l’intera visione della società. Una volta c’era davvero un leader coraggioso [Rabin] che cercava di infrangere questa visione, ma le tre pallottole che lo aspettavano quando scese dal palco sconfissero lui e l’intera campagna.

Quindi, qual è la conclusione di fondo di questo articolo? Che il sentiero verso il cambiamento è lungo e pieno di ostacoli. Il nostro ruolo qui, simile a quello “dei prigionieri e dei disoccupati” nel poema di Mahmoud Darwish, è quello di “accrescere la speranza”. La speranza, amici miei, non l’illusione.

Odeh Bisharat

https://www.haaretz.com/opinion/.premium-watchword-of-israeli-politics-the-jewish-race-before-all-else-1.8725968

Traduzione di Simonetta Madussi – Assopace Palestina

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