Criminalizzare la resistenza palestinese: le nuove condizioni dell’UE in materia di aiuti alla Palestina

Feb 5, 2020 | Riflessioni

di Tariq Dana

Al-Shabaka, 2 febbraio 2020

Il Primo Ministro palestinese Mohammad Ishtayeh alla cerimonia dell’Europe Day, nella città cisgiordana di Ramallah il 9 maggio 2019. Foto Ufficio del Primo Ministro.

L’UE ha recentemente notificato alla rete delle organizzazioni non governative palestinesi (PNGO) nuove condizioni per erogare il suo aiuto, vale a dire che le organizzazioni della società civile palestinese sono obbligate a non trattare con individui o gruppi designati come “terroristi” dall’UE. Ciò include personale, appaltatori, beneficiari e destinatari degli aiuti. La mossa non solo limita ulteriormente la libertà della società civile palestinese, ma criminalizza la resistenza palestinese anche nelle sue forme più pacifiche.

Cosa ha motivato il cambiamento, quali effetti avrà sulla società civile palestinese e cosa possono fare i palestinesi al riguardo? Al-Shabaka ha parlato con l’analista politico Tariq Dana, un professore assistente presso il Center for Conflict and Humanitarian Studies presso il Doha Institute of Graduate Studies, sul filo di alcune domande e su questioni relative agli aiuti internazionali alla Palestina in senso lato.

L’UE ha affermato che la nuova clausola non è nuova, poiché è coerente con la politica che l’UE ha adottato fin dal 2001 per evitare il finanziamento di gruppi classificati come “organizzazioni terroristiche”. È questo il caso?

È importante distinguere tra la politica dell’UE e le politiche dei diversi Stati membri che non riflettono necessariamente il parere dell’UE su specifiche questioni. All’inizio degli anni 2000, quando USAID ha iniziato a imporre la clausola di “antiterrorismo” nei confronti delle ONG palestinesi, alcuni stati europei hanno seguito il percorso americano e hanno imposto requisiti più severi alle organizzazioni palestinesi. Tuttavia, all’epoca l’UE non era direttamente coinvolta in questa controversia e ha preferito enfatizzare la professionalità, la trasparenza e l’efficacia delle domande presentate dalle ONG come principali criteri per ricevere fondi e attuare progetti, piuttosto che concentrarsi sull’identità politica delle organizzazioni e del loro personale. La tempistica della recente mossa UE di finanziamenti condizionali e di attacco politico alla società civile palestinese è ampiamente sospetta perché arriva in un momento molto difficile per i palestinesi.

Cosa ha portato a questo cambiamento, allora?

Il cambiamento deve essere situato nel contesto della colonizzazione israeliana in corso e della capacità della sua impresa coloniale di inventare nuovi meccanismi di controllo. L’ultima mossa dell’UE è stata il risultato della costante pressione israeliana sull’UE di astenersi dal finanziare molte organizzazioni palestinesi, in particolare quelle impegnate nella rivelazione e nella segnalazione di pratiche coloniali israeliane, di violazioni dei diritti umani e di altri crimini.

Israele ha infatti adottato una vasta gamma di misure aggressive per limitare lo spazio della società civile nel territorio palestinese occupato, tra cui detenzioni arbitrarie e arresti di attivisti della società civile, motivazioni di “sicurezza” per ostacolare il lavoro delle organizzazioni locali, lancio di campagne diffamatorie per delegittimare il lavoro delle organizzazioni e pressioni sulle organizzazioni e sui donatori internazionali per tagliare i fondi alle ONG palestinesi. Ciò è particolarmente evidente per quanto riguarda le organizzazioni legali che usano il diritto internazionale per denunciare violazioni dei diritti umani come Al-Haq e Addameer, così come le organizzazioni di sviluppo che attuano progetti nell’area C per sostenere le comunità locali che soffrono a causa dell’esercito israeliano e dei coloni, come il Bisan Center for Research and Development, il cui direttore, Ubai Aboudi, è stato recentemente arrestato da Israele ed è incarcerato senza accuse in detenzione amministrativa.

Alcune influenti organizzazioni di destra in Israele, come l’ONG Monitor, attaccano le organizzazioni non profit palestinesi e i loro partner internazionali con false accuse, ad esempio di “terrorismo” e “antisemitismo”.  Queste organizzazioni hanno il sostegno del governo israeliano, e hanno anche fatto pressioni e mobilitazioni contro il finanziamento anche delle correnti più moderate all’interno della società civile palestinese. Desta qualche problema il fatto che la definizione di “terrorismo” dell’UE fa eco alla prospettiva israeliana e pertanto serve ampiamente questo interesse a sopprimere le voci critiche palestinesi.

Inoltre, mentre la mossa dell’UE riflette un’altra vittoria della propaganda israeliana, è anche un’altra sconfitta dell’AP nei suoi infiniti round di disfatte. L’AP ha da anni escluso la resistenza e represso diverse forme di lotta popolare, sostenendo allo stesso tempo di adottare la “lotta diplomatica” per fare pressione su Israele affinché si attenga al diritto internazionale. Ciò a cui abbiamo effettivamente assistito è un numero vergognoso di ripetute sconfitte e una riluttanza a perseguire una politica e una diplomazia efficaci. Pertanto, non vi è dubbio che il cambiamento politico dell’UE nell’intensificare i vincoli al finanziamento della società civile palestinese è stato in parte il risultato della politica ininfluente dell’AP.

In che modo l’AP e la società civile palestinese hanno reagito alla mossa dell’UE?

Finora, la società civile palestinese ha mobilitato i suoi elettori e le sue reti per rifiutare questa mossa. La Campagna Nazionale Palestinese per Respingere i Finanziamenti Condizionali ha emesso una dichiarazione che critica duramente la politica dell’UE, affermando il suo totale rifiuto di finanziamenti politicamente condizionati. La dichiarazione proclama l’impegno delle organizzazioni su questa posizione dichiarando che non cederanno anche se questo “dovesse portare al collasso delle nostre organizzazioni e all’impossibilità di svolgere il nostro vitale lavoro “. Da parte sua, l’AP ha denunciato solo a parole la mossa UE e non ha presentato alcun piano per tradurre la sua posizione in un passo concreto per fermare l’UE.

In che modo la politica dell’UE influenzerà i palestinesi e la società civile palestinese?

La mossa dell’UE arriva in un momento molto difficile per i palestinesi: Israele si sta preparando ad annettere gran parte dell’Area C e la Valle del Giordano; i palestinesi sono deboli, frammentati e divisi; l’AP è diventata di fatto un garante della sicurezza israeliana; e la causa palestinese negli ultimi anni è rimasta emarginata e non è più una priorità regionale. Le restrizioni UE si aggiungono a questi fattori, criminalizzando molte organizzazioni palestinesi che intraprendono forme moderate di resistenza attraverso il diritto internazionale e la ricerca di appoggi, oltre ad aiutare la sopravvivenza delle comunità. Queste restrizioni pertanto non solo contribuiranno a un’ulteriore emarginazione della causa palestinese, ma faciliteranno anche l’istituzionalizzazione dell’espansione coloniale israeliana, perché molte organizzazioni non saranno in grado di sostenere le loro operazioni di monitoraggio e di denuncia dei crimini israeliani se non riescono a trovare alternative ai fondi UE.

Più in particolare, mentre la lista degli obiettivi presi di mira dall’UE comprende molti movimenti di resistenza palestinese, altri individui e altre famiglie saranno interessati dal nuovo cambio di politica. Ad esempio, le persone che sono state arrestate ad un certo punto in passato, comprese quelle trattenute in detenzione amministrativa (denunciata a livello internazionale) e attualmente impegnate in attivismo nella società civile, possono essere classificate come “terroristi” e quindi interdette dal ricevere finanziamenti. Inoltre, le organizzazioni e i gruppi che sostengono il movimento BDS e le sue attività sono generalmente visti come una minaccia agli interessi israeliani e le campagne per delegittimare il loro attivismo probabilmente aumenteranno, non solo in Palestina ma anche in diversi stati dell’UE.

È anche importante notare la contraddizione tra la retorica dell’UE e le sue politiche. Ad esempio, l’UE proclama che non riconoscerà l’annessione israeliana dell’area C o della Valle del Giordano, ma tagliando gli aiuti ostacola il lavoro delle ONG palestinesi che sostengono le comunità minacciate dalle espropriazioni israeliane in queste aree. In effetti, l’UE sarà complice nel processo di espropriazione, anche se afferma di non riconoscere alcuna potenziale annessione.

Qual è lo stato della società civile palestinese in questo momento cruciale?

Attivisti e studiosi hanno ripetutamente messo in guardia dal persistere della dipendenza delle ONG palestinesi dagli aiuti condizionali occidentali a organizzazioni e progetti locali. Pur riconoscendo gli sforzi delle iniziative popolari per riorganizzarsi sulla base di risorse locali e le azioni di volontariato per avviare e sostenere alcuni progetti vitali, queste iniziative non sono sfociate in una tendenza collettiva e strategica. Il segmento più ampio e più influente della società civile continua a dipendere dagli aiuti internazionali, che sono in gran parte condizionati politicamente e ideologicamente e quindi impongono vari limiti al lavoro degli attori della società civile.

Il dominio di queste ONG ha creato una società stagnante, depoliticizzato le componenti sociali, prodotto una nuova élite distaccata e ha sprecato milioni in progetti insignificanti. Ad esempio, il ruolo della società civile nella divisione Fatah-Hamas è stato chiaramente assente e le organizzazioni non sono riuscite a lanciare iniziative strategiche per contrastare gli effetti delle divisioni. Il risultato è che la società civile palestinese è molto più frammentata rispetto a un decennio fa, per cui le organizzazioni attive in Cisgiordania hanno priorità e programmi diversi rispetto alle loro controparti nella Striscia di Gaza. Pertanto, mentre la società civile dovrebbe essere un’area di resistenza e mobilitazione contro la frammentazione, in realtà è diventata parte della frammentazione stessa.

Cosa si dovrebbe fare per rafforzare la società civile palestinese e contrastare la frammentazione?

Le restrizioni dell’UE potrebbero essere dannose per molte organizzazioni locali, ma ciò dovrebbe essere visto come un’opportunità per una strategia collettiva al di là degli aiuti ufficiali occidentali convenzionali e dei loro vincoli. La pressione creata dai tagli sistematici agli aiuti dei donatori internazionali spingerà probabilmente, e desiderabilmente, molte organizzazioni a cercare risorse alternative all’interno della società palestinese, in Palestina e nella diaspora, e a collaborare con autentici movimenti della società civile e gruppi di solidarietà in tutto il mondo che offrano piattaforme internazionali per la ricerca di sostegno e possibilmente risorse finanziarie per aiutare a ricostruire la società civile palestinese seguendo nuove linee.

È vitale per le organizzazioni della società civile dare la preferenza alle azioni che favoriscono le strutture dirette alle persone, che siano partecipative e democratiche, oltre alle organizzazioni sociali di base. Si dovrebbero fare sforzi organizzati per il dialogo interno, incentrati su una concezione della società civile che privilegi il progetto di liberazione nazionale, la mobilitazione popolare, l’impegno, la resistenza, la politica e la cultura anticoloniale. Oltre a questo, si devono studiare alternative all’attuale sistema di aiuti, reinventando nuove fonti di solidarietà per finanziare le attività della società civile. Ciò potrebbe includere schemi di autofinanziamento che coinvolgano di più i palestinesi nella diaspora, i gruppi di solidarietà internazionali e i movimenti di giustizia sociale che contribuirebbero a ridurre la dipendenza dai finanziamenti condizionati.

Tariq Dana

https://al-shabaka.org/commentaries/criminalizing-palestinian-resistance-the-eus-new-conditions-

Traduzione di Donato Cioli

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