In carcere, un’altra volta, per aver protestato contro il regime coloniale di Israele

Gen 8, 2020 | Notizie

Jonathan Pollak

Haaretz, 7 gennaio 2020

Il carcere militare di Ofer vicino alla città di Ramallah in Cisgiordania, 2 ottobre 2009. ASSOCIATED PRESS

Sono attualmente detenuto in un carcere israeliano, per aver rifiutato di presentarmi e di cooperare per accuse penali contro di me e altri due per aver partecipato alle proteste palestinesi in Cisgiordania contro il dominio coloniale israeliano. Poiché sono un cittadino israeliano, i procedimenti del mio caso si svolgono in un tribunale israeliano a Gerusalemme e non presso il tribunale militare, dove vengono processati i Palestinesi.

Sono passati quasi nove anni dall’ultima volta in cui sono stato incarcerato per più di un giorno o due. Molto è cambiato da allora. Politicamente, la realtà è molto diversa da quella di un decennio fa, e nessuno dei cambiamenti è stato per il meglio.

Il mondo sembra aver perso gran parte del suo interesse per la lotta palestinese di liberazione, permettendo a Israele di raggiungere uno dei massimi storici della sua forza politica. Non sono in grado di discutere dei profondi cambiamenti all’interno della società israeliana e di come essa si sia spostata ancora più a destra. I liberali israeliani sono molto più adatti di me a questo compito, perché hanno caro il loro paese e provano un senso di appartenenza che io non posso e non voglio sentire.

Jonathan Pollak nella prigione di Hermon nel 2011.Yaron Kaminsky

Personalmente, sono più vecchio, più stanco e, soprattutto, non sano come una volta. Certo, il prezzo che ho pagato per la mia partecipazione alla lotta è solo una frazione del prezzo pagato dai compagni palestinesi, ma non posso negare il suo peso soggettivo su di me: a cominciare da lesioni fisiche, alcune irreversibili, passando poi a sporadiche disperazioni, ansia e senso di impotenza, per finire alla sensazione opprimente di vuoto e di morte imminente, con il peso che tutto ciò ha sulla mia vita quotidiana. Eppure, più le cose cambiano più rimangono le stesse. In questo momento, proprio come allora, stare in prigione è meglio di qualsiasi altra possibile alternativa.

Le falsità legali che costellano il caso contro di noi hanno poca importanza. Anche se è probabile che se avessi accettato di collaborare il processo si sarebbe concluso con un’assoluzione, il mio rifiuto di riconoscere la legittimità della corte si basa su due motivi principali.

Il primo è che i miei compagni palestinesi non godono il lusso di essere processati nelle condizioni relativamente confortevoli dei tribunali israeliani. Vengono invece processati all’interno di quella parodia di sistema legale che sono i tribunali militari di Israele. A differenza di me, i Palestinesi non possono rifiutare di cooperare con i loro sequestratori, dal momento che la grande maggioranza di loro viene processata mentre è già richiusa in carcere e ci resterà per tutta la durata delle procedure legali.

Inoltre, la punizione a cui sono sottoposti i Palestinesi è significativamente più dura di quella prevista dalla legge israeliana. Perciò, anche a questo proposito, nonostante il mio rifiuto di riconoscere la legittimità della corte, il prezzo che probabilmente pagherò è significativamente inferiore a quello pagato dai miei compagni.

Il secondo, più fondamentale motivo per rifiutare di cooperare è che tutti i tribunali israeliani, militari o meno, non hanno alcuna legittimità per emetter giudizi in fatto di resistenza al dominio coloniale israeliano, che impiega un regime ibrido, che va da una democrazia distorta e discriminatoria dal punto di vista razziale nel suo sovrano territorio, a una dittatura militare a tutto campo nei territori occupati.

Di fronte al tremendo spostamento a destra nella politica israeliana, i resti sempre più esigui della sinistra sionista – una volta il principale gruppo d’élite nel paese – si esauriscono nel lamentare il declino della democrazia israeliana. Ma quale democrazia vogliono difendere? Quella che ha espropriato i suoi cittadini palestinesi delle loro terre e dei loro diritti? Quella che, nel migliore dei casi, considera di seconda classe questi cittadini palestinesi? È forse democrazia quella che governa la Striscia di Gaza con un feroce assedio, e che regna come una dittatura militare in Cisgiordania?

Anche se è evidente quale sia la natura del regime israeliano, i liberali israeliani non sono disposti a contestare la premessa fondamentale del discorso interno israeliano e a riconoscere che lo Stato di Israele semplicemente non è una democrazia. Non lo è mai stato.

Per unirsi alla lotta per rovesciare l’apartheid israeliano, i pochi cittadini ebrei israeliani disposti a farlo dovranno prima riconoscere che sono ingiustamente privilegiati e dovranno essere disposti a pagare il prezzo della rinuncia a questo status. Una ribellione aperta contro il regime è in atto da decenni, portata avanti dal movimento di resistenza palestinese. Il prezzo pagato da coloro che vi sono coinvolti è immenso. I cittadini ebrei israeliani devono passare dall’altra parte e seguire le loro orme.

Jonathan Pollak

https://www.haaretz.com/opinion/.premium-to-prison-again-for-protesting-against-israel-s-colonial-rule-1.8368980

Traduzione di Donato Cioli

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