Non posso sostenere un’ideologia basata sul privilegio degli Ebrei e la persecuzione dei Palestinesi.

Ago 16, 2019 | Riflessioni

Palestinesi che si arrampicano sul muro ad Al-Ram, a nord di Gerusalemme. Israele dice che la barriera protegge dagli attacchi palestinesi, mentre i Palestinesi dicono che è un furto di terra nel territorio che dovrebbe diventare il loro stato. (Majdi Mohammed / AP, File)

di Alice Rothchild

The Seattle Times, 9 agosto 2019.

Un dibattito fondamentale nella comunità ebraica degli Stati Uniti ha a che fare con il sionismo e i suoi rapporti con l’ebraismo. Nella recente antologia “Recuperare l’ebraismo dal sionismo: Storie di trasformazione personale,” 40 rabbini, studiosi e attivisti riflettono sul loro personale itinerario intellettuale ed emotivo che era cominciato con un incondizionato amore per Israele. Come gli altri autori, mi sono resa conto che l’ideologia del nazionalismo ebraico e le politiche del governo israeliano hanno corrotto il mio concetto di ebraismo e i valori religiosi e culturali che ne stanno alla base.

Sono cresciuta in una famiglia che, dopo l’Olocausto nazista, vedeva la creazione di un moderno stato ebraico come un miracolo da festeggiare. Abbiamo idealizzato i kibbutz, abbiamo risparmiato i nostri spiccioli per piantare alberi in quell’arida terra e ci siamo appassionati all’ideale romantico dei pionieri israeliani che facevano fiorire il deserto.

Allo stesso tempo, come molti Ebrei, ero fiera delle mie idee politiche progressiste, sostenevo i diritti civili, i diritti delle donne, i sindacati; questo era il mio modo concreto di esprimere una religione che esaltava il risanamento del mondo e l’impegno per la giustizia. Da immigrata di seconda generazione, questo era anche il modo in cui vedevo il mio ruolo in America, una terra in cui i miei nonni, fuggendo i pogrom dell’Est-Europa, avevano trovato una casa, anche se solo nei miseri ghetti di Brooklyn all’inizio del 1900.

La mia trasformazione cominciò quando mi addentrai nelle complicate questioni del colonialismo, dell’imperialismo, del razzismo e del genocidio. Mi resi conto che quello che mi avevano insegnato sulla nascita degli Stati Uniti aveva opportunamente tralasciato la distruzione dei popoli nativi, la diffusione della schiavitù, l’onnipresenza del razzismo e l’influenza del colonialismo europeo. Allo stesso modo, c’erano molte cose nella mia scuola ebraica e nella mia successiva educazione che venivano taciute riguardo alla fondazione dello stato di Israele.

Il mio risveglio è avvenuto quando ho letto gli storici israeliani e palestinesi che avevano avuto accesso agli archivi statali riaperti che raccontano la storia della pulizia etnica della Palestina. Quando ho cominciato a viaggiare e a lavorare nella regione, le mie connessioni con gli Ebrei israeliani progressisti e con i Palestinesi hanno avuto un’influenza che non potevo ignorare. Stare ad un checkpoint israeliano della Cisgiordania con centinaia di persone –per lo più donne e bambini– in attesa di un soldato israeliano di 20 anni armato fino ai denti; cercare tra i puzzle, i dischi rotti, i Lego e la biancheria delle macerie di un quartiere di Gaza bombardato; ascoltare il racconto delle donne che avevano afferrato i loro bambini ed erano corse via tra sangue e corpi dilaniati per sfuggire alle bombe israeliane del 2014: tutte queste sono esperienze che non si può fingere di ignorare.

Tutto questo mi ha portato a mettere in discussione il sionismo, l’ideologia del nazionalismo ebraico, secondo cui la creazione e la difesa di uno stato ebraico è l’unica risposta valida contro l’antisemitismo. Ho capito che questa è un’idea moderna, nata dall’odio degli Europei verso gli Ebrei. È un’ideologia che ha preso come modello il colonialismo d’insediamento europeo: costruire uno stato in una regione selvaggia del mondo e portare la modernità ai nativi che ancora ci abitano. Il sionismo è anche la cartina di tornasole per decidere se sei un buon Ebreo in America. Ho cominciato a capire che il sionismo comportò inevitabilmente arrecare danno ai Palestinesi che vivevano nella Palestina storica quando cominciò l’immigrazione ebraica all’inizio del 1900. Nel 1948, con l’espulsione di 750.000 abitanti e la distruzione di oltre 450 villaggi, il popolo palestinese fu costretto in fin dei conti a pagare le conseguenze dell’Olocausto nazista. La Nakba (catastrofe) è continuata fino al giorno d’oggi con le politiche razziste e militariste con cui il governo israeliano ha risposto all’impegnativo progetto di condividere una terra che viene reclamata da due popoli.

Come molti altri Ebrei, non posso sostenere un’ideologia basata sul privilegio degli Ebrei e la persecuzione dei Palestinesi. Questo ha portato alla catastrofe per i Palestinesie al degrado morale per gli Ebrei. Dico questo per amore, non per odio verso me stessa. La sicurezza per gli Ebrei non  verrà dallo scortare auto, costruire muri sempre più grandi e droni sempre più invasivi. La sicurezza verrà dal costruire alleanze con altre comunità, sviluppare società inclusive basate sull’uguaglianza, la democrazia e la lotta contro il militarismo estremo e la crescente intolleranza che sta attaccando gran parte del mondo.

L’ebraismo si sviluppò quando gli Ebrei della diaspora crearono una risposta spirituale alla dispersione e all’esilio: una filosofia multiculturale e multinazionale basata su convinzioni e valori, non sulla potenza militare. Il più recente sviluppo del sionismo politico accentua i bisogni di uno stato militarizzato in cui il vittimismo storico degli Ebrei giustifica il loro privilegio strutturale e qualunque livello di violenza in nome della “autodifesa.” Questo è incompatibile con una religione basata sull’amore dello straniero e sulla ricerca della giustizia, insieme a una cultura che sostiene i diritti umani e la legge internazionale.

Dopo secoli senza potere, il modo in cui la nostra comunità gestisce la nostra nuova posizione di potere e di privilegio è un elemento cruciale per la sopravvivenza di una tradizione etica ebraica e per una giusta soluzione all’ultra-centenaria lotta che viene combattuta in nostro nome nella Palestina storica.

Alice Rothchild è una scrittrice, cineasta e ginecologa in pensione di Seattle. È autrice di tre libri, l’ultimo di quali si intitola “Condizione critica: vita e morte in Israele/Palestina” ed ha contribuito a diverse antologie, tra cui “Recuperare l’ebraismo dal sionismo: storie di trasformazione personale.”

https://www.seattletimes.com/opinion/i-cant-support-an-ideology-grounded-in-jewish-privilege-and-persecution-of-palestinians/

Traduzione di Donato Cioli

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