A me non è permesso parlare ai ragazzi delle scuole israeliane. Ma, quel che è peggio, a questa gente è permesso.

Lug 26, 2018 | Riflessioni

Hagai El-Ad, direttore esecutivo di B’Tselem, dice che ogni tentativo di ridurre al silenzio gli Israeliani che parlano apertamente dell’occupazione è destinato a fallire, ma solo se la comunità internazionale si rifiuta di accettare il sopruso.

Hagai El-Ad

Haaretz, 25 luglio 2018

Soldati israeliani a un posto di blocco in Cisgiordania, marzo 2017. Alex Levac

“A nome di B’Tselem, il Centro Israeliano di Informazione per i Diritti Umani nei Territori Occupati, sono qui a scongiurarvi di intervenire. Senza una decisa iniziativa internazionale non si farà altro che inaugurare la seconda metà del primo secolo di occupazione.”

Queste parole, che rivolsi nel 2016 al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, mi hanno procurato l’onore di essere bandito dal parlare nelle scuole israeliane, grazie all’Emendamento 17 alla legge sull’istruzione statale. Questo emendamento, approvato nel 2018 e noto anche come Legge anti-Breaking-the-Silence, si applica nei confronti di “chiunque fornisca aiuti dall’estero a istituzioni che promuovono azioni diplomatiche contro Israele.”

Mi rendo conto che la maggior parte degli Israeliani ha scelto di continuare a comandare, opprimere ed espropriare con la violenza i Palestinesi. Per fare questo, ogni atto di opposizione alle nostre regole viene etichettato come “terrorismo,” comprese manifestazioni, appelli all’opinione pubblica internazionale o alle istituzioni legali, appelli per azioni economiche e praticamente qualunque altra cosa.

Perché noi siamo più forti e, per la maggior parte di noi, è più comodo continuare così come siamo. I Palestinesi sono deboli e il mondo permette tutto questo. E allora perché guardare ai Palestinesi che stanno sotto ai nostri stivali se la realtà dei fatti ci consente un altro giorno, un altro anno o un’altra generazione di cecità?

Tuttavia, questa pratica disgustosa deve anche tener conto della coscienza degli Israeliani. Se viene fuori troppa puzza, il nostro senso dell’odorato potrebbe far sì che succeda qualcosa a metà strada tra i nostri reni e il nostro cuore. Perciò, quegli Israeliani che detestano gli stivali bisogna marchiarli come traditori e imbavagliarli. Mi rendo ben conto di tutto questo e capisco anche che queste manovre godono della popolarità della gente.

Ma quando si traccia un solco che definisce chi sta fuori, bisogna fare ancora più attenzione a chi sta dentro. Insomma, chi -secondo la legge- è degno di parlare ai nostri ragazzi?

Il ministro dell’istruzione Naftali Bennett, che chiede di bombardare bambini di 8 anni, può parlare agli alunni israeliani. Il primo ministro Benjamin Netanyahu (“gli elettori arabi andranno in branco alle urne”) può parlare. Lo stesso può fare il ministro della giustizia Ayelet Shaked (“il sionismo non continuerà a chinare la testa di fronte ai diritti individuali”), il provocatorio ministro dell’ordine pubblico Gilad Erdan (“terrorismo incendiario”), e il corrotto ministro della difesa Avigdor Lieberman (“non ci sono innocenti a Gaza”).

Ma non sono solo dei funzionari eletti quelli che possono parlare. Possono farlo anche i giudici della Corte Suprema che approvano regolarmente demolizioni di case, punizioni collettive e prolungate detenzioni senza processo. Può farlo il procuratore generale Avichai Mendelblit, la nostra solerte bussola morale che propone metodi creativi per legalizzare sempre più crimini e violenze. Può farlo l’avvocato generale dell’esercito, il generale di brigata Sharon Afek, che è responsabile dell’approvazione delle regole d’ingaggio che permettono di sparare a dimostranti disarmati e che, a fatti compiuti, è anche uno specialista nella copertura di qualunque violazione. Le porte del sistema educativo sono aperte a tutti costoro.

I ragazzi possono ascoltare anche i nostri fedeli diplomatici. Come gli ambasciatori che si impegnano a “spiegare” certi “errori di immagine” come l’assistente paramedica palestinese che si è ostinata a gettarsi sul percorso mortale di una pallottola israeliana. E sono gli stessi che disseminano la propaganda secondo cui l’opposizione internazionale all’occupazione non è altro che antisemitismo, e al tempo stesso cercano di conquistarsi il cuore degli anti-semiti in Ungheria, Austria e Germania.

A quanto pare, tutto questo merita di esser sentito nelle scuole israeliane. Queste ed altre voci –come quelle dei “centristi” israeliani, le voci “normative” il cui scopo è legalizzare l’ingiustizia e corrompere la morale umana– si possono sentire chiare e forti e hanno creato l’atmosfera in cui viviamo ormai da decenni.

Eppure, malgrado tutto questo, la verità e i fatti hanno la tendenza a rispuntare fuori dietro alla propaganda. Perciò il progetto dell’occupazione e il progetto dell’imbavagliamento sono destinati a finire tutti e due nello stesso modo: in una totale disfatta. Si possono approvare leggi stupide, ma non si può cancellare quel “b’tselem” (che in ebraico significa “ad immagine”, secondo il primo capitolo del Genesi: “E Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò”).

La coscienza degli Israeliani, quindi, continuerà ad essere esposta alla realtà della nostra dominazione sui Palestinesi, ma questa esposizione non basta a far uscire gli Israeliani dalla loro zona di comfort.

Tutto questo ci riporta alla responsabilità che la comunità internazionale deve assumersi per cambiare le cose, come spiegavo nel mio discorso al Consiglio di Sicurezza: “Io sono un cittadino di quel paese. È la mia patria. Praticamente da quando è nato il mio paese, il mondo gli ha permesso di metter sotto occupazione un altro popolo. Ho vissuto tutta la mia vita, ogni giorno, in quella realtà. Milioni di Israeliani e di Palestinesi non conoscono altra realtà. Abbiamo bisogno del vostro aiuto.”

Hagai El-Ad è il direttore esecutivo di B’Tselem.

https://www.haaretz.com/opinion/.premium-who-is-permitted-to-speak-to-israeli-children-at-school-1.6314007

Traduzione di Donato Cioli

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