Khan al-Ahmar e Gaza: due facce della stessa medaglia legale.

Giu 6, 2018 | Riflessioni

Senza un sistema legale disposto a fornire una patina di decenza, Israele non potrebbe fare quello che sta infliggendo ai Palestinesi.

di Hagai El-Ad

Haaretz, 5 giugno 2018

Bambine palestinesi beduine guardano la TV nella loro casa del villaggio di Khan al-Ahmar, 30 maggio 2018. MENAHEM KAHANA/AFP

Giovedì scorso, l’Alta Corte di Giustizia ha sentenziato all’unanimità su due casi apparentemente non collegati tra loro: uno sulla pianificazione, costruzione ed esecuzione di ordini di demolizione in Cisgiordania, l’altro sulle regole d’ingaggio a Gaza.

In un caso, i giudici Noam Solberg, Yael Willner e Anat Baron hanno approvato l’espulsione degli abitanti del villaggio palestinese di Khan al-Ahmar in Cisgiordania e la distruzione delle loro case, mentre nell’altro caso il presidente della Corte Esther Hayut, il vice-presidente Hanan Melcer e il giudice Neal Hendel hanno deciso di non intervenire per l’uccisione di dozzine di dimostranti palestinesi e per il ferimento di altre migliaia lungo la recinzione al confine di Gaza.

Niente di nuovo, si direbbe. Per decenni, i giudici della Corte Suprema hanno legittimato praticamente qualunque ingiustizia che Israele decidesse di fare ai Palestinesi: demolire le loro case, fare arresti amministrativi, revocare diritti di residenza, espropriare terra, limitare i loro movimenti. Eppure, non succede tutti i giorni che sei dei 15 giudici della Corte Suprema approvino sentenze che riguardano il destino di cittadini palestinesi e che altro non sono se non l’approvazione di atti criminali.

Ambedue le sentenze erano prevedibili. Basandosi su un mare di precedenti, è facile mettere insieme frasi erudite. Le sentenze riguardano solo i “fatti” che conviene considerare, tralasciandone altri “da riesaminare” e perseguendo un obiettivo “appropriato a uno stato ebraico e democratico.”

Nelle molte udienze tenute negli ultimi anni sui villaggi palestinesi che lo stato ha voluto distruggere cacciandone gli abitanti (un tema che, fastidiosamente, è considerato un crimine di guerra), i giudici hanno alzato gli occhi al cielo e hanno aggiunto qualcosa a verbale sulla necessità di trovare alternative per la gente prima di decidere di rovinargli la vita. Ora anche quelle belle parole sono scomparse.

Come ha scritto il giudice Solberg, “la questione in gioco non è se i piani dello stato soddisfino i requisiti della legge, ma se l’esecuzione degli ordini di demolizione sia in accordo con la legge.”

E con questo, è calato il sipario sullo show legale che comprendeva quattro istanze dei coloni in cui si chiedeva che le case e le scuole dei loro vicini palestinesi del villaggio di Khan al-Ahmar fossero demolite. L’”innegabile punto di partenza” era che gli edifici in questione erano “illegali.” Il discorso si concentrava poi sulla preoccupazione per il fatto che “la scuola del villaggio non ha un cortile adeguato.” E non è nemmeno in regola, mio Dio, con gli standard acustici.” E qual è la conclusione legale di tutto questo? Demolire ed evacuare. In fin dei conti, ciò che interessa e la lettera della legge e la sua applicazione.

Allo stesso tempo, nel caso di Gaza, il giudice Hendel ha detto: “Si noti che l’esercito israeliano si è fatto carico di una interpretazione stringente della legge internazionale, viste le circostanze del caso in esame.” Il presidente della Corte Hayut ha aggiunto che, esattamente come il governo aveva detto nella sua risposta, “far fuoco con precisione” (mirando solo alle gambe) contro un “perturbatore primario della pace o un sobillatore” è una cosa ammessa, ma anche in questo caso solo come “una scelta estrema”; tutto deve rispondere a “stringenti requisiti” e “colpi da armi letali non devono essere sparati contro una persona solo perché partecipa a una turbativa violenta della pace o perché sostiene l’organizzazione Hamas.”

Malgrado tutte queste buone intenzioni, più di 100 dimostranti sono stati uccisi e più di 3.600 sono stati feriti da colpi di fucile. Il presidente Hayut non si chiede (e il procuratore generale dell’esercito che ha approvato le regole d’ingaggio non indaga) come questo sia potuto succedere e perché tra i feriti e i morti ci siano adolescenti, giornalisti, paramedici, persone che stavano lontane dalla rete di confine e altri che volgevano le spalle alla rete.

Ma forse è soltanto una vostra illusione quella di aver visto cosa è successo, in piena luce del giorno, proprio davanti alle fotocamere: “Fotografie e filmati … restituiscono solo una visione parziale e sbagliata da cui non è possibile avere informazioni su ciò che è successo veramente o sulle stesse regole d’ingaggio.”

Avete ancora qualche dubbio? Il vice-presidente della Corte Melcer tranquillizzerà la vostra coscienza con l’aiuto dell’insabbiamento fornito dallo Stato Maggiore dell’esercito: “Dobbiamo tuttavia pensare che il crescente numero di morti e feriti verificatosi finora, e il fatto che –secondo la versione dei ricorrenti– molti sono stati colpiti nella parte superiore del corpo e alcuni nella schiena, porterà da una parte a esplorare soluzioni tendenti ad usare, per quanto possibile, metodi alternativi non letali, e dall’altra parte ad un esame approfondito di quanto è avvenuto in passato.”

In altre parole: da una parte non è accertato che abbiamo sparato colpi mortali; dall’altra parte, se qualcuno è morto, dateci qualche anno per insabbiare la cosa con le solite procedure.

Nell’estate 2018, Israele è più sicuro che mai di poter fare quello che vuole con i sudditi palestinesi: decidere sulla loro vita o la loro morte, decidere dove possono vivere e da dove possono essere cacciati, chi ha diritto a elettricità, acqua o alloggio, chi può coltivare la sua terra o ha il diritto di guadagnarsi da vivere. Cinquant’anni di esperienza non sono una cosa da buttar via, e i meccanismi per realizzare tutto questo sono ben lubrificati. Senza un sistema legale disposto a fornire una patina di decenza, Israele non potrebbe fare tutto questo.

Non sono stati i giudici a cominciare. Non saranno loro i vincitori del Premio Israele nella categoria occupazione. Ma per la loro devozione e il loro servizio come sommi strumenti di ingiustizia, i loro nomi dovrebbero finire nel libro d’oro dell’industria per la confisca, l’appropriazione, il controllo e l’oppressione.

Hagai El-Ad

Direttore di B’Tselem

https://www.haaretz.com/whdcMobileSite/opinion/khan-al-ahmar-and-gaza-two-sides-of-the-same-legal-coin-1.6152008

Traduzione di Donato Cioli

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