Una lezione di vita e di umanità: la storia di Michele Cantoni in Palestina.

Mag 2, 2018 | Notizie, Riflessioni

Un’intervista di Claudiaexpat.
Palestina, aprile 2018

Siamo felici ed onorati di presentarvi oggi Michele Cantoni. Michele è un musicista italiano che, dopo aver visitato la Palestina, decise di tornarci e di restare per sempre. In questi (primi 🙂) quindici anni, Michele ha fatto molto per la musica in Palestina. Ci racconta tutto in questa interessante intervista. Grazie Michele.

Come sei arrivato in Palestina e cosa ti ha fatto decidere di restare? Ci puoi raccontare un po’ del tuo percorso professionale?

Ero andato in Palestina, per curiosità, per due settimane nel 2003. Quelle due settimane hanno letteralmente trasformato la mia vita. A quel tempo vivevo a Londra; ero un indaffarato violinista e insegnante indipendente, e mi ero imbattuto nella questione palestinese leggendo molti articoli e libri, in particolare dell’intellettuale palestinese Edward Said.

Nel 2002, una giovane donna, che era stata volontaria in un campo estivo di un centro culturale per bambini a Betlemme, mi ha messo in contatto con il direttore del centro e un anno dopo sono arrivato a Betlemme, molto emozionato ma anche abbastanza preoccupato per i pericoli che mi aspettavo di affrontare.

Ho capito subito che non avevo nulla di cui aver paura e sono stato attratto dalle persone che incontravo, dalla loro creatività, dalla loro umanità e dall’incredibile energia con cui affrontavano ogni tipo di avversità.

Alla fine di quelle due settimane, son tornato a Londra, affascinato, entusiasta … e determinato a trasferirmi in Palestina, cosa che ho fatto un anno dopo.

Dal 2004 al 2015 ho lavorato, a differenti livelli di responsabilità, in una delle più grandi scuole di musica della Palestina: il Conservatorio Nazionale di Musica Edward Said, una istituzione privata con sedi a Gerusalemme, Ramallah, Betlemme, Nablus e Gaza. Dal 2010, sono stato il Direttore Accademico del Conservatorio e il Direttore Artistico delle sue orchestre, comprese l’Orchestra Nazionale della Palestina e l’Orchestra Giovanile della Palestina, che vivono sulla base di specifici progetti.

Nel 2015 ho lasciato il Conservatorio, per ritrovare la necessaria autonomia e il tempo per sviluppare iniziative indipendenti che io vedevo come essenziali per integrare il lavoro svolto dalle scuole di musica locali.

Una di queste iniziative fu la costituzione delle prime scuole di coro per bambini della Palestina.

Nell’estate del 2015, insieme a mia moglie, Mathilde Vittu (Professore al Conservatorio di Parigi), abbiamo fondato Amwaj (Onde, in arabo).

Tu sei il Direttore dalla Società Filarmonica di Palestina, che tra le altre cose, intende “offrire inedite opportunità professionali e formazione professionale ai musicisti palestinesi, colmando il divario tra la loro vita formativa e la professione e cercando di fronteggiare la fuga dei talenti in corso”. Puoi raccontarci di questa fuga dei talenti e della situazione dei giovani musicisti palestinesi sotto l’occupazione israeliana?

La seconda iniziativa in cui mi sono impegnato dal 2015 è adesso conosciuta come la Filarmonica Palestinese, una importante istituzione culturale, mirata a sostenere musicisti (studenti, dilettanti o professionisti) e scuole di musica in Palestina.

La ‘fuga di talenti’ in corso (musicisti dai Territori Occupati che abbandonano il paese) è parzialmente collegata alle difficoltà e alle frustrazioni di una vita sotto occupazione militare, ma anche, in larga misura, alla mancanza di un’adeguata politica culturale locale.

Istituzioni e programmi di educazione musicale si sono moltiplicati in tutta la Palestina durante i due decenni passati. Hanno giocato un formidabile ruolo nella promozione e diffusione della musica, fornendo accesso alle attività musicali ad un crescente numero di bambini e adulti.

Un aspetto importante del successo nel panorama dell’educazione musicale della Palestina, è il crescente numero di studenti di musica che scelgono di intraprendere una carriera nella musica. È possibile trovare ex-studenti delle scuole di musica di Palestina come insegnanti nel paese, dato che, ritornando in Palestina dopo alcuni anni di specializzazione all’estero, molti di loro trovano impiego come educatori a tempo pieno.

In questo quadro, tuttavia, rimane un problema sostanziale: per i musicisti professionisti le opportunità di esibirsi sono rare in Palestina.

Ai musicisti devono essere offerte opportunità professionali oltre all’insegnamento, altrimenti saranno indotti a lasciare il paese, come ho visto ripetutamente accadere durante gli ultimi 10 anni. Inoltre, i musicisti palestinesi della diaspora e i musicisti stranieri sono poco propensi –o addirittura restii– a trasferirsi in Palestina, perché come professionisti, hanno bisogno di esibirsi.

L’unica soluzione è fare in modo che il panorama musicale professionistico diventi più allettante per artisti e insegnanti. È proprio qui che la Filarmonica Palestinese trova la sua ragion d’essere: creare le condizioni in cui un crescente numero di musicisti palestinesi possa partecipare alla vita culturale del paese, fornire continuità all’offerta culturale locale e allo stesso tempo attirare artisti dalle altre nazioni.

Ho vissuto in Palestina per quattro anni e so cosa significa affrontare continuamente le ingiustizie che i Palestinesi devono sopportare ogni giorno. Come fronteggi questa difficoltà, essendo sempre coinvolto nella vita culturale palestinese?

I Palestinesi della Cisgiordania sono soggetti a una sadica e umiliante forma di controllo, che comprende muri, check-point, e un complesso sistema di permessi che i Palestinesi devono richiedere se vogliono uscire dalla Cisgiordania (per andare all’estero, o anche per andare nella vicina Gerusalemme). Tali permessi sono spesso negati, senza una particolare ragione e con un alto tasso di casualità.

Aver a che fare con ingiustizie, umiliazioni e restrizioni non è una cosa facile, ma i Palestinesi hanno una straordinaria capacità di reagire, sviluppando la loro creatività, improvvisando soluzioni, senza permettere alla frustrazione di dominare la loro vita, e con un sorprendente senso dell’umorismo. Questo atteggiamento è stato per me una illuminante lezione di vita e di umanità, fino dalla mia primissima visita in Palestina.

Michele e Mathilde hanno avviato una campagna di raccolta fondi per coprire i costi dell’Amwaj tour in Francia questa estate. Puoi saperne di più consultando il progetto Amwaj. PER FAVORE, dona quello che puoi per aiutare questi giovani musicisti a viaggiare in Francia.

http://www.expatclic.com/the-story-of-michele-cantoni-in-palestine/?lang=en

Traduzione di Gianluca Ramunno

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