Sionismo senza Gerusalemme.

Dic 12, 2017 | Riflessioni

Israele dovrebbe imitare Herzl e Jabotinsky, che erano disposti a rinunciare alla sovranità ebraica sulla Città Vecchia di Gerusalemme.

di Dmitry Shumsky

Haaretz, 12 dicembre 2017

La zona della moschea Al-Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme, vista attraverso un’apertura a forma di stella di David. 7 dicembre 2017. Ariel Schalit/AP

“Le zone in questione nella Città Vecchia di Gerusalemme, i cui confini devono essere stabiliti sotto l’autorità della Società delle Nazioni, dovranno godere dello stesso regime di estraterritorialità che viene universalmente riconosciuto alle ambasciate,” scriveva nel 1940 Jabotinsky riguardo al futuro status politico dell’antica città. Inoltre, “Ciascuna di queste zone dovrà costituire un’amministrazione governata da un comitato designato congiuntamente dalle autorità religiose interessate.”

Quanto sopra riportato è tratto dall’articolo 4 della bozza di costituzione per uno stato ebraico su ambedue le sponde del Giordano, che fu approvato nel 1934 dal movimento revisionista e pubblicato nell’ultimo libro di Jabotinsky del 1940 “The Jewish War Front” (ristampato nel 1942 come “The War and the Jew”).

La naturale semplicità con cui il “giusto arbitro” del sionismo politico, l’ideatore del concetto di Grande Israele, rinunciava alla sovranità ebraica nel cuore della Gerusalemme storica, testimonia uno dei fatti fondamentali della storia sionista, ben noto agli studiosi di questa storia. Contrariamente alle infondate affermazioni fatte dal ministro dell’istruzione Naftali Bennett alla vigilia del riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele fatto da Donald Trump, e cioè che “non c’è sionismo senza Gerusalemme,” questa connessione nazional-religiosa del popolo ebraico con Gerusalemme non ha mai avuto un ruolo essenziale nella nascita come nazione del sionismo politico moderno.

Dal momento che uno degli obiettivi dichiarati del movimento sionista (e chiaramente riflessi nei libri “The Jewish State” e “Altneuland” di Theodor Herzl), era quello di realizzare una riconciliazione storica tra gli Ebrei e le nazioni del mondo, il sionismo politico, dai suoi inizi in poi, non avanzò mai l’idea di un controllo ebraico su quelle aree comuni a diverse religioni che erano spesso centri di tensione nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Non è un caso che in “Altneuland,” Herzl non collocava il Tempio sulla Spianata delle Moschee. Esprimeva così, in modo simbolico ma ben evidente, la tendenza del sionismo politico di mantenersi a distanza dalla Città Vecchia e dintorni, e al tempo stesso esprimeva un disinteresse politico nei riguardi della zona, un disinteresse che appariva anche nella costituzione revisionista di Jabotinsky.

Ma se Gerusalemme occupa un posto abbastanza secondario nel nazionalismo sionista moderno, non si può dire altrettanto per il nazionalismo palestinese. Il popolo palestinese è il più mortificato dei popoli arabi, in termini di nazionalismo. È l’unico popolo arabo sotto dominazione straniera. Il suo territorio nazionale è suddiviso in enclave ghettizzate dalla potenza occupante. E queste enclave si restringono sempre più per la criminale impresa delle colonie, che fioriscono violando la legge internazionale. E non abbiamo nemmeno nominato la più affollata prigione del mondo, la Striscia di Gaza.

La leadership teoricamente autonoma di questa prigione è costretta a collaborare con l’occupazione e a soffocare ogni minima scintilla di resistenza popolare. Come se non bastasse, viene regolarmente minacciata di punizioni da parte dell’occupante e del suo potente alleato d’oltre oceano se casomai osasse lamentarsi presso la Corte Penale Internazionale per i crimini commessi dal colonialismo israeliano. Considerando tutto questo, il legame del nazionalismo palestinese per Haram al-Sharif, il nome arabo per il Monte del Tempio, è il simbolo di quel prezioso piccolo residuo della dignità nazionale del popolo palestinese, una dignità che viene quotidianamente violata.

Ecco perché l’affermazione di Bennett che Gerusalemme non è menzionata nel Corano è così ridicola. Indipendentemente da quante volte Gerusalemme sia o no menzionata nel Corano, la cosa importante è che Al Quds, il nome arabo di Gerusalemme, è più che mai radicata nell’animo distrutto del popolo palestinese.

L’umiliazione e l’oppressione del popolo palestinese ha raggiunto un nuovo apice con il permesso di continuare ad espandere l’occupazione e l’impresa coloniale a Gerusalemme Est, permesso implicito nella dichiarazione del piromane della Casa Bianca che ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele senza distinguere tra la zona legittimamente israeliana e la zona occupata, tra le grida di gioia degli Israeliani dell’ultranazionalismo religioso. Naturalmente il nazionalismo palestinese continuerà a reagire opponendosi con forza, qualunque sia la risposta di Israele.

È difficile prevedere come finirà l’attuale fase di violenza tra Israele e i Palestinesi, ma c’è da sperare che la storica propensione del sionismo politico a fare concessioni su Gerusalemme possa risultare in un compromesso su Gerusalemme Est, nello spirito dei patriarchi del sionismo.

Perché questo avvenga, bisogna che Israele adotti la posizione teologico-politica del fondatore del sionismo politico quando proponeva di costruire il Tempio fuori dal luogo indicato dalla legge ebraica. Adottando questa posizione, l’infiammabile esplosivo teologico che la tradizione ebraica ha portato sulle sue spalle per 2000 anni deve essere disinnescato una volta per tutte: si deve dichiarare, in modo deciso e assoluto, che la sovranità di Israele non verrà esercitata sulla Città Vecchia e sui suoi dintorni.

Una condizione necessaria perché Israele possa adottare una simile posizione è che venga eradicata quella peste politico-messianica che ha invaso il corpo dello stato a partire dal 1967, e che lo sta spingendo, insieme a tutta la regione, nella tragedia di una guerra di religione.

Dmitry Shumsky

Collaboratore di Haaretz

https://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.828448

Traduzione di Donato Cioli

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