Le ritorsioni sempre più sadiche di Israele rafforzano negli Ebrei un senso collettivo di vittimismo.

Lug 18, 2017 | Riflessioni

di Jonathan Cook

The National, 11 luglio 2017.

Quando, l’anno scorso, Israele ha approvato una nuova legge contro il terrorismo, Ayman Odeh, un leader della vasta minoranza di Palestinesi con cittadinanza israeliana, ha descritto le misure draconiane di questa nuova legge, definendole “l’ultimo respiro” del colonialismo. Ha inoltre affermato: “Mi sembra di vedere … il panico dei Francesi alla fine dell’occupazione d’Algeria”.

Il panico e la crudeltà hanno toccato il fondo la settimana scorsa, quando i funzionari israeliani hanno intentato una causa da 2,3 milioni di dollari contro la famiglia di Fadi Qanbar, che a gennaio aveva lanciato un camion contro dei soldati a Gerusalemme, uccidendone quattro. Fadi è stato ucciso immediatamente sul posto.

La causa esige dall’ormai vedova di Fadi, Tahani, di rimborsare ad Israele il risarcimento che lo stato ha pagato alle famiglie dei soldati. Se non dovesse riuscire a procurarsi questa somma astronomica, il debito passerà ai suoi quattro figli, il più giovane dei quali attualmente ha solo sette anni.

Secondo alcune fonti, sembra che Israele stia preparando molti casi simili.

Come altre famiglie di Palestinesi che hanno commesso attacchi, i Qanbar sono dei senza-tetto dopo che Israele ha sigillato con il cemento la loro casa di Gerusalemme Est. Dodici loro parenti sono stati altresì privati dei documenti di residenza, e ciò avviene come preludio alla loro espulsione dalla Cisgiordania.

In verità, nessuna di queste persone ha commesso qualche illegalità: il loro crimine è semplicemente quello di essere un parente stretto, la moglie o semplicemente un amico di qualcuno che Israele definisce come “terrorista”.

Questa tendenza sta aumentando. Come se non bastasse, Israele ha richiesto all’Autorità Palestinese di non pagare più l’esiguo stipendio mensile che dà a famiglie come quella dei Qanbar in cui il capofamiglia sia stato ucciso o imprigionato. Nel sistema giudiziario militare israeliano, la probabilità di essere condannati è di oltre il 99% per i Palestinesi. Molti tra i condannati – parliamo di centinaia di detenuti – sono inoltre incarcerati senza alcuna accusa.

Attraverso le imposte che raccoglie per conto dell’Autorità Palestinese, Israele è in grado di sequestrare 280 milioni di dollari, una somma equivalente al totale degli stipendi pagati alle famiglie, cosa che potrebbe mandare in bancarotta l’Autorità Palestinese.

Mercoledì prossimo, i sostenitori di Israele presenteranno al Senato degli Stati Uniti un analogo disegno di legge che intende bloccare qualsiasi aiuto finanziario all’Autorità Palestinese (PA), se questa non smette di “finanziare il terrorismo”. Issa Karaka, un funzionario palestinese, ha dichiarato l’impossibilità da parte della PA di accettare una tale legge, in quanto: “Quasi ogni famiglia palestinese … ha un familiare prigioniero o martire”.

Israele ha portato ad estremi mai raggiunti le punizioni collettive – una gravissima violazione del diritto internazionale – dilatando i margini di tali punizioni fino a confini una volta immaginabili solo in una favola da incubo come il 1948 di George Orwell.

Israele sostiene che un potenziale attaccante può essere dissuaso solo se sa che i suoi cari subiranno una dura punizione. In altre parole, Israele è disposto a usare qualsiasi mezzo per schiacciare la determinazione dei Palestinesi a resistere alla sua brutale occupazione, lunga oramai cinque decenni.

Stando all’evidenza dei casi, tuttavia, quando le persone raggiungono una tale disperazione da esser disposte a morire nella lotta contro i loro oppressori, a quel punto non si preoccupano più delle conseguenze per le loro famiglie. Questa è stata la conclusione di un’indagine fatta dall’esercito israeliano più di un decennio fa.

In verità, Israele è consapevole che la sua politica è inutile. Non serve a dissuadere gli attacchi, ma fa parte di una complessa attività di spostamento psicologico. Forme di vendetta sempre più sadiche stanno rafforzando un senso collettivo e storico di vittimismo ebraico, spostando l’attenzione degli Israeliani dal fatto reale che il loro paese è a tutti gli effetti un brutale stato di insediamento coloniale.

Questo giudizio può sembrare severo, ma è sostenuto da uno studio, pubblicato recentemente, sugli effetti riscontrati negli operatori che utilizzano droni per eseguire esecuzioni extragiudiziali, nel corso delle quali dei civili sono spesso uccisi per “danni collaterali”.

Un sondaggio statunitense ha rivelato che i piloti responsabili della guida remota dei droni, molto presto sviluppano sintomi da stress post-traumatico per aver inflitto così tanta morte e distruzione. L’esercito israeliano ha poi ripetuto lo studio sui piloti che avevano guidato dei droni su Gaza durante l’attacco del 2014 – atto estremo di punizione collettiva, durante il quale circa 500 bambini palestinesi sono stati uccisi nei bombardamenti durati quasi due mesi contro quella piccola comunità.

I medici sono rimasti sorpresi nel constatare che i piloti non mostravano segni di depressione o di ansia. I ricercatori ipotizzano una possibile spiegazione: i piloti israeliani potrebbero sentirsi paradossalmente più giustificati perché sono più vicini a Gaza rispetto ai piloti statunitensi che operano in Afghanistan, in Iraq o in Yemen, e si sentirebbero in questo senso le vere vittime, esposte in modo diretto alla minaccia – nonostante facessero cadere, non visti, una pioggia di morte sui Palestinesi.

Il voler mantenere ad ogni costo l’immagine di Israele come vittima esclusiva porta a uno scandaloso sistema di due pesi e due misure. La scorsa settimana il tribunale supremo israeliano ha sostenuto il rifiuto da parte di alcuni funzionari di sigillare le case di tre ebrei che, nel 2014, hanno rapito e poi bruciato vivo Mohammed Abu Khdeir, un ragazzo di Gerusalemme di soli sedici anni.

Nel mese di maggio il governo israeliano ha rivelato di aver negato il risarcimento spettante a Ahmed Dawabsheh, di soli sei anni, l’unico sopravvissuto ad un incendio appiccato due anni fa da alcuni estremisti ebrei alla sua casa, in cui persero la vita tutti i suoi familiari.

Il gruppo per i diritti umani B’Tselem ha recentemente avvertito che Israele si è auto-esonerato dall’obbligo di risarcimento verso tutti i Palestinesi sotto occupazione uccisi o resi disabili dall’esercito israeliano – anche nel caso di illeciti penali.

Questo continuo aggiungere il danno alla beffa nei confronti dei Palestinesi è possibile solo perché l’Occidente ha concesso a Israele di crogiolarsi nel proprio status di vittima per così tanto tempo. È giunto il momento di rompere questa bolla di auto-illusione e di ricordare a Israele che l’oppressore è lui, non i Palestinesi.

http://bit.ly/2u473fU

Traduzione di Orena Palmisano

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