Gaza: l’esperimento israeliano su esseri umani costretti in situazioni di stress e deprivazione estremi.

Lug 14, 2017 | Riflessioni

di Gideon Levy.

Middle East Eye, 30 giugno 2017

Sotto i nostri occhi è in corso uno dei più grandi esperimenti mai condotti al mondo su esseri umani, e il mondo tace. Il test è giunto al culmine e il mondo mostra disinteresse.

Questo esperimento non è stato autorizzato da nessuna istituzione scientifica internazionale, la cui supervisione è invece necessaria secondo la Dichiarazione di Helsinki; lo scopo è di indagare il comportamento umano in situazioni di stress e deprivazione estremi.

Il gruppo sperimentale non comprende pochi individui, non dozzine o centinaia, migliaia o decine di migliaia, centinaia di migliaia di persone: la popolazione sotto esperimento conta almeno due milioni di esseri umani.

Ad oggi, hanno sostenuto egregiamente la prova. La pentola a pressione in cui sono confinati non è ancora esplosa, sebbene sia evidente qualche turbolenza al suo interno. La striscia di Gaza è tenuta sotto osservazione per vedere quando e come, infine, esploderà. Sembra sia solo questione di tempo.

Per Israele, l’Autorità palestinese e l’Egitto si presenta così: cosa accade a due milioni di esseri umani quando si sottrae loro la corrente elettrica per quasi tutte le ore del giorno e della notte? Cosa succede in inverno, in primavera e soprattutto adesso, nella mostruosa calura dell’estate mediorientale?

Come tutti gli esperimenti simili, anche questo procede per gradi. L’acqua in cui si cucina la bestiola va scaldata e portata a bollitura in maniera graduale.

All’inizio hanno privato Gaza di corrente elettrica per un terzo delle 24 ore quotidiane, quindi per circa la metà, ora hanno abbassato il livello così da fornire elettricità ai due milioni di residenti per due ore e mezzo soltanto al giorno. Si sta a vedere cosa questo possa far loro. Si guarda come reagiscono. E quando si fornirà loro energia elettrica per una sola ora al giorno? O alla settimana? L’esperimento è ancora al primo stadio, non è possibile prevederne gli esiti.

Il test si svolge in un pezzo di terra fra i più maledetti al mondo. Lungo quaranta chilometri, largo fra i 5,7 e i 12, 5 chilometri, con una superficie totale di 365 chilometri quadrati, la striscia di Gaza è uno dei luoghi più densamente abitati sulla faccia della terra. Secondo la CIA, nel luglio 2016 vi si contava un milione e 700 mila persone; l’Autorità palestinese riferisce di due milioni di residenti nell’ottobre 2016. In ogni caso, un milione di costoro sono considerati rifugiati, o figli o nipoti di rifugiati, la metà dei quali vive tuttora in campi profughi. In confronto ad altri campi profughi presenti nel mondo arabo, quelli di Gaza sono ritenuti particolarmente miserevoli, se si eccettuano i campi palestinesi in Siria e in Libano. I rifugiati di Gaza furono espulsi da Israele, o ne fuggirono, nel 1948; e costituiscono circa un quinto dei rifugiati palestinesi del mondo intero.

Questa gente raramente ha conosciuto significativi periodi di tranquillità, sicurezza, minimo benessere economico. La situazione in cui versa attualmente è probabilmente giunta al suo peggio, al massimo della disperazione; secondo una relazione Onu, in capo a due anni e mezzo circa, verso il 2020, la striscia di Gaza non sarà più abitabile, soprattutto a causa del problema dell’acqua, che si acuisce progressivamente. I nuovi tagli alla fornitura di energia elettrica aggravano il dramma di questi esseri umani finché continua l’esperimento.

Inoltre, negli ultimi dieci anni questa striscia di terra oppressa è stata trasformata in una gabbia, la più grande al mondo.

Gaza è accerchiata: a Nord-est da Israele, a sud dall’Egitto e al suo limite occidentale dal mare, di cui l’esercito israeliano ha il controllo assoluto. A partire dall’avvento al potere di Hamas a Gaza, Israele l’ha posta sotto assedio, in collaborazione con l’Egitto. Negli anni l’assedio è stato alleggerito, ma assedio resta -soprattutto per quanto riguarda il movimento delle persone per uscire ed entrare a Gaza e il divieto quasi assoluto di esportare beni.

Ma ciò non è ancora abbastanza. Il tormento di Gaza non finisce qui. Ora arriva la riduzione della fornitura di energia elettrica.

Palestinesi che camminano in una strada del campo rifugiati di Al-Shati a Gaza City durante un’interruzione di elettricità, 11 giugno. (AFP)

Gaza ha una sola centrale elettrica, insufficiente a produrre tutta l’energia consumata. Quando fu messa in funzione, nel 2002, aveva una capacità produttiva di circa 140 megawatt. Limitata dalla portata della sua rete, nel 2006 produceva solo 90 megawatt, cui si aggiungevano 120 megawatt forniti da Israele e, ovviamente, pagati per intero.

In seguito al rapimento del soldato Gilad Shalit, nell’estate del 2006, Israele fece esplodere la centrale; essa copriva allora il 43% del fabbisogno di elettricità di Gaza.

Una volta ricostruita, la centrale raggiunse una capacità produttiva di circa 80 megawatt. Ma questa capacità dipende anch’essa per intero da Israele, unico fornitore di carburante diesel e dei necessari pezzi di ricambio.

Imposto l’assedio, Israele prese a ridurre progressivamente la quantità di diesel fornito. A seconda della stagione, Gaza necessita fra i 280 e 400 megawatt di elettricità. Un terzo circa dell’intera domanda, 120 megawatt circa, proveniva da Israele mentre 60-70 megawatt dalla centrale. Sin da prima della recente riduzione, la carenza di energia elettrica a Gaza era cronica. Per anni, gli abitanti della Striscia sono rimasti senza corrente diverse ore ogni giorno.

L’undici giugno di quest’anno, il Consiglio di sicurezza israeliano ha deciso di tagliare la fornitura di energia elettrica di propria provenienza a Gaza, come richiesto del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas. Ciò ha innescato la crisi attuale, sinora la peggiore.

La lotta per il potere fra Abbas e Hamas, al governo a Gaza, lotta cui Israele collabora con l’Autorità Palestinese in maniera spregevole -ha determinato l’attuale situazione. In essa non ci sono buoni e cattivi, solo cattivi.

Situazione catastrofica

Due settimane circa dopo la decisione del Consiglio, Israele ha ulteriormente ridotto la fornitura eliminando altri otto megawatt dai 120 che stava fornendo. Di conseguenza in alcune parti di Gaza, soprattutto nell’ovest e nel sud, è disponibile corrente elettrica solo per circa due ore e mezzo al giorno. Due ore e mezzo di corrente elettrica al giorno.

È difficile immaginare il quotidiano svolgimento dell’esistenza in questo caldo soffocante con solo due ore e mezzo di elettricità. È difficile raffigurarsi come si possa mantenere in fresco il cibo, è spaventoso pensare che le normali attività umane debbano svolgersi senza elettricità, è orribile pensare ai pazienti degli ospedali, la cui esistenza dipende dalla corrente elettrica.

In un recente articolo di Haaretz (4 giugno), Mohammed Azaizeh -che lavora per l’organizzazione israeliana per i diritti umani Gisha -descrive quanto accade a Gaza all’ospedale Al-Rantisi.

Nell’unità di terapia intensiva del reparto di pediatria i bambini sono allacciati a respiratori per cui è disponibile elettricità solo per poche ore al giorno; le loro esistenze dipendono ora da un generatore di corrente, che a volte si rompe. Il dottor Muhammad Abu Sulwaya, direttore dell’ospedale, ha riferito di una situazione catastrofica, nel suo ospedale. Ovviamente, analoga a quella degli altri ospedali di Gaza.

È in questo modo che gli abitanti della Striscia sono vittime dei cinici metodi applicati a loro danno. Le conseguenze delle sfrenate lotte per il potere e fra Abbas e Hamas, fra l’Egitto e Hamas, fra Israele e tutti gli altri, ricadono persino sui respiratori per i bambini di al-Rantisi.

In un contesto in cui i partiti continuano a consolidare le proprie posizioni e il mondo risponde con apatia, non si può prevedere quando tutto ciò avrà fine. L’assenza di energia elettrica comporta la mancanza di acqua potabile e produce allagamenti di acque reflue non depurate. Gaza è abituata a tutto ciò, ma persino l’impareggiabile, straordinaria resistenza dei suoi abitanti ha un limite.

Se Israele è il principale responsabile di questa situazione, dovuta all’assedio imposto, certamente non è l’unico.

L’Autorità palestinese e l’Egitto sono complici a pieno titolo di questo crimine. Crimine, certo. Siamo nel 2017 e impedire a milioni di esseri umani di ricevere energia elettrica significa sottrarre loro acqua e aria. La responsabilità di Israele grida vendetta, perché Gaza è tuttora sotto parziale occupazione israeliana. Sebbene Israele abbia ritirato da Gaza i coloni e l’esercito, detiene la completa responsabilità di molti aspetti della vita che vi si svolge, rendendosi così responsabile della fornitura di energia elettrica per gli abitanti. Anche l’Autorità palestinese ha pesanti responsabilità per l’attuale situazione, in cui sta abusando della sua stessa gente. Analogo discorso vale per l’Egitto, cui piace presentarsi altezzosamente come fratello dei palestinesi; il suo ruolo nell’assedio di Gaza è intollerabile.

Gaza, lentamente, muore. Altrove, a nessuno importa della sua sofferenza. Né a Washington né a Bruxelles, né a Gerusalemme né al Cairo, e nemmeno a Ramallah. È incredibile, non c’è nessuno a cui importi che due milioni di esseri umani sono abbandonati di notte al buio o di giorno al calore soffocante estivo, senza che possano scappare, senza un barlume di speranza. Nulla.

http://www.middleeasteye.net/columns/gaza-israels-experiment-humans-situations-extreme-stress-and­deprivation-20176004

Traduzione di Cristina Alziati

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