Intervento di Bernie Sanders su Israele alla Conferenza di J Street.

Mar 8, 2017 | Notizie

Haaretz, 28 febbraio 2017

Bernie Sanders, già concorrente alla nomina di candidato democratico per la presidenza degli Stati Uniti, il 27 febbraio 2017 ha tenuto un discorso alla Conferenza Nazionale del gruppo J Street a Washington. Nella prima parte del discorso ha affrontato il problema dell’accordo nucleare USA-Iran, mentre nella seconda parte –qui riportata– si è occupato del conflitto Israelo-Palestinese.

Il senatore Bernie Sanders tiene un discorso alla Conferenza Nazionale di J Street il 27 febbraio 2017 a Washington. MARK WILSON/AFP

Come molti di voi sanno, ho un legame di lunga durata con lo Stato di Israele. Nel 1963, ho vissuto in un kibbutz nei pressi di Haifa. È stato lì che ho visto e vissuto in prima persona molti dei valori progressisti su cui si fonda lo Stato di Israele. Penso sia molto importante per tutti, ed in modo particolare per i progressisti, riconoscere che è un enorme successo l’aver creato una patria democratica per il popolo ebraico dopo secoli di migrazioni e persecuzioni, e in particolare dopo l’orrore della Shoah.

Ma, come è noto, c’è un altro aspetto nella storia della creazione di Israele, un aspetto ben più doloroso. Come per il nostro paese [gli USA], la fondazione di Israele ha comportato l’allontanamento di centinaia di migliaia di persone che già vivevano lì, il popolo palestinese. Oltre 700.000 persone sono diventate profughi.
Riconoscere questo fatto storico così doloroso non vuol dire però “delegittimare” Israele, così come riconoscere il ‘sentiero delle lacrime’ [Trail of Tears, la deportazione forzata dei nativi americani dalle loro terre d’origine, ndt.] non delegittima gli Stati Uniti d’America.

Ma oggi non sono qui davanti a voi per rivisitare la storia, o per dire che una narrazione storica è giusta e un’altra è sbagliata. La mia domanda oggi è questa: Che fare ora? Che direzione devono prendere Israeliani e Palestinesi da ora in poi? Quale dovrebbe essere la politica degli Stati Uniti per porre fine a questo conflitto, per porre fine a questa occupazione lunga cinquanta anni, e consentire un futuro migliore, più sicuro e prospero per Ebrei e Arabi, Israeliani e Palestinesi allo stesso tempo?
Questo conflitto pluridecennale ha tolto già così tanto a così tanti. Nessuno vince quando Israele spende una parte enorme del suo bilancio in spese militari. Nessuno vince quando Gaza è cancellata e migliaia di persone sono uccise, ferite, o restano senza casa. Nessuno vince quando i bambini sono addestrati a diventare kamikaze. Nessuno vince quando anno dopo anno, decennio dopo decennio, si continua a parlare di guerra e odio. piuttosto che di pace e sviluppo. Pensate all’incredibile potenziale che viene perso quando Israeliani e Palestinesi non uniscono le loro forze in modo efficace per affrontare le sfide ambientali ed economiche della regione. La nostra idea, quella visione che non dobbiamo mai perdere di vista, è la creazione di un Medio Oriente in cui le persone si incontrino in pace e democrazia, per creare una regione in cui tutti abbiamo diritto ad una vita dignitosa. Mi rendo conto che, data la realtà di oggi, questa visione appare distante e forse anche inverosimile. Ma è una visione e un sogno a cui non possiamo permetterci di rinunciare.

Detto ciò, che cosa dovremmo chiedere noi progressisti –americani, israeliani e di tutto il mondo– ai nostri governi affinché questo sogno diventi realtà?
Soffermiamoci un attimo sui valori.
Si dice spesso che il rapporto Stati Uniti-Israele si basa su “valori condivisi.” E questo penso sia giusto, ma dobbiamo poi domandarci che cosa voglia dire. Di che valori parliamo?

Come progressisti, questi sono i valori che condividiamo: crediamo nella democrazia. Crediamo nell’eguaglianza e nel pluralismo. Ci accomuna un forte rigetto della xenofobia. Ci battiamo per il rispetto e la protezione dei diritti delle minoranze.
Si tratta di valori che appartengono ai progressisti di questo paese e di tutto il mondo. Questi valori si basano sul semplice concetto che tutti noi condividiamo una comune umanità. Israeliani o Palestinesi o Americani, Ebrei, Cristiani, Musulmani, o di un’altra religione, noi tutti vogliamo che i nostri figli crescano sani, che abbiano accesso ad una buona educazione, e a posti di lavoro dignitosi, che possano bere acqua pulita e respirare aria pulita, e che possano vivere in pace.
Questo è ciò che ci definisce come essere umani. E il nostro compito è quello di fare tutto ciò che possiamo per contrastare tutte le forze politiche, non importa da che parte si trovino, che cercano di spezzarci.

All’inizio di questo mese, in una conferenza stampa alla Casa Bianca con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, al presidente Trump è stato chiesto se sostenesse una soluzione basata su due stati. La sua risposta è stata: “Sto guardando alla soluzione basata sui due stati e a quella di un solo stato, e mi piace quello che piace a entrambe le parti.” Come se qualcuno gli avesse chiesto se preferisse la Coca-Cola o la Pepsi.
Dobbiamo essere chiari: la soluzione dei due Stati, che comporta la costituzione di uno stato palestinese nei territori occupati nel 1967, è stata la politica bipartisan degli Stati Uniti per molti anni. È sostenuta da un consenso internazionale schiacciante, ribadito a dicembre dalla risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Anche se mi pare di capire che c’è stato un cambiamento di direzione, il modo casuale in cui il presidente Trump sembra abbandonare la politica precedente è estremamente preoccupante, ma è anche, purtroppo, espressione della tipica disattenzione con cui egli ha gestito finora la politica estera americana.

Il presidente ha detto di sostenere un accordo di pace, ma questo non significa molto. La vera domanda è: pace in quali termini e sulla base di quali accordi? “Pace” significa forse che i Palestinesi saranno costretti a vivere per sempre sotto il governo israeliano, in una serie di comunità scollegate in Cisgiordania e Gaza? Questo non è tollerabile; questo non è pace.

Se ai Palestinesi dei territori occupati si negherà il diritto all’autodeterminazione in uno stato proprio, avranno allora il diritto ad una piena cittadinanza e a pari diritti in un stato unico, il che significherebbe potenzialmente la fine di uno stato a maggioranza ebraica? Queste sono domande cruciali con conseguenze significative per la definizioni degli obiettivi e delle collaborazioni americane nella regione.

Amici, gli Stati Uniti e lo Stato di Israele hanno un legame forte, che risale al momento della fondazione di Israele. Non c’è dubbio che dovremmo essere, e saremo, l’amico e alleato più forte di Israele negli anni a venire. Allo stesso tempo, dobbiamo riconoscere che la continua occupazione israeliana dei territori palestinesi e le restrizioni quotidiane imposte alle libertà politiche e civili del popolo palestinese sono in contrasto con i valori fondamentali americani.

Come ha giustamente detto l’ex segretario di Stato John Kerry nel suo discorso nel mese di dicembre, ‘Gli amici hanno bisogno di dirsi le dure verità.’ E la dura verità è che la continua occupazione e la crescita degli insediamenti israeliani che l’occupazione sostiene, minano la possibilità di una pace. Contribuiscono solo a perpetuare la sofferenza e la violenza.

Come ribadito dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 23 dicembre scorso, gli insediamenti costituiscono anche una flagrante violazione del diritto internazionale. Plaudo alla decisione dell’amministrazione Obama di astenersi dal porre il veto alla risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Quelli tra di noi che più sostengono Israele hanno dovuto dire la verità sulle politiche che stanno minando la possibilità di raggiungere una soluzione pacifica.

Riconosco che il conflitto israelo-palestinese è una delle questioni a più alta carica emotiva nella politica degli Stati Uniti, perché coinvolge le legittime rivendicazioni storiche, le identità e la sicurezza di due popoli nella stessa regione.

Permettetemi quindi di essere molto franco: contrastare le politiche di un governo di destra in Israele, non significa essere anti-israeliano o antisemita. Siamo in grado di opporci alle politiche del presidente Trump senza essere anti-americani. Siamo in grado di opporci alle politiche di Netanyahu senza essere anti-israeliani. Siamo in grado di contrastare l’estremismo islamico, senza diventare anti-musulmani.

Come ho detto durante la mia campagna presidenziale, la pace significa la sicurezza non solo per ogni Israeliano, ma anche per tutti i Palestinesi. Significa sostenere l’autodeterminazione, i diritti civili, e il benessere economico per entrambi i popoli.

Queste idee sono basate sugli stessi valori condivisi che ci spingono a condannare il fanatismo anti-semita così come il fanatismo anti-musulmano, cercando di rendere migliore la nostra società. Queste sono le idee che dovrebbero guidarci. I valori di inclusione, sicurezza, democrazia e giustizia dovrebbero plasmare non solo l’impegno dell’America verso Israele e la Palestina, ma verso tutta la regione e tutto il mondo.

Gli Stati Uniti continueranno nel proprio impegno risoluto per la sicurezza dello Stato di Israele, ma dobbiamo anche dire con chiarezza che la pacifica risoluzione di questo conflitto è il modo migliore per garantire la sicurezza a lungo termine di entrambi i popoli, e per rendere l’America stessa più sicura.

Ai miei amici israeliani che oggi sono qui con noi voglio dire una cosa: condividiamo molte delle sfide che abbiamo di fronte. In entrambi i nostri paesi vediamo il sorgere di una politica di fanatismo, intolleranza e risentimento. Dobbiamo affrontare queste sfide insieme. Mentre voi lottate per rendere la vostra società migliore, più giusta, più egualitaria, io voglio dirvi: la vostra lotta è la nostra lotta.

Testo completo: http://www.haaretz.com/us-news/1.774304?utm_content=%2Fus-news%2F1.774304&utm_medium=email&utm_source=smartfocus&utm_campaign=newsletter-daily&utm_term=20170228-00%3A02

Traduzione di Elisa Reschini

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