La farsa della cattura dei terroristi ebrei

Dic 7, 2015 | Info dal mondo, Notizie

di Edo Konrad

+972 Magazine, 3 dicembre 2015

Parenti del bimbo palestinese Ali Dawabsha, ucciso insieme alla madre e al padre in un attacco incendiario alla loro casa da parte di terroristi ebrei, durante la veglia funebre nel villaggio di Duma in Cisgiordania, il 31 luglio 2015. (Oren Ziv/Activestills.org)

Parenti del bimbo palestinese Ali Dawabsha, ucciso insieme alla madre e al padre in un attacco incendiario alla loro casa da parte di terroristi ebrei, durante la veglia funebre nel villaggio di Duma in Cisgiordania, il 31 luglio 2015. (Oren Ziv/Activestills.org)

Dopo mesi di promesse non mantenute dalle autorità militari israeliane, sono stati arrestati dei giovani israeliani collegati all’attacco incendiario della scorsa estate nel villaggio di Duma, in Cisgiordania, nel quale sono morti tre membri della famiglia Dawabsha.

Diversi giovani israeliani sono stati messi in stato di fermo, in questi giorni, per degli interrogatori sul loro legame con gruppi estremisti ebraici, ha affermato lo Shin Bet a seguito di una parziale revoca del precedente ordine di segretezza. Le identità dei giovani però rimangono ancora nascoste.

L’ordine di riservatezza è spesso usato per i casi di terrorismo ebraico, una cortesia che raramente viene estesa ai Palestinesi, soggetti alla legge militare. Al momento ci sono centinaia di Palestinesi, inclusi minori, trattenuti da Israele senza processo. La loro esistenza non è un segreto, e non ci sono ordini di riservatezza sui loro casi. Eppure, quanto spesso troviamo sulle prime pagine dei giornali questi casi?

Gli arresti per i fatti di Duma avvengono mesi dopo la prima dichiarazione del Ministro per la Difesa Moshe Ya’alon, che affermava di conoscere i responsabili dell’attacco, astenendosi però dal mettere qualcuno sotto processo, onde non svelare in tribunale le fonti dell’esercito.

In realtà nei giorni dopo gli attacchi, le autorità israeliane avevano annunciato di aver messo sotto detenzione amministrativa (uno strumento che permette la carcerazione senza processo) tre presunti estremisti ebrei, due dei quali cittadini statunitensi. Lo stato non ha mai collegato queste tre persone con gli omicidi di Duma, il che rende ancor più preoccupante l’uso della detenzione amministrativa.

Gli attacchi di Duma, che hanno ucciso Ali Dawabsha, bimbo di soli 18 mesi, insieme alla madre Reham e al padre Sa’ad, lasciando il figlio di quattro anni Ahmed senza famiglia, hanno portato alla ribalta la questione del terrorismo ebraico e posto la discussione a livello pubblico. La domanda però rimane: le strutture di sicurezza israeliane hanno fatto tutto quanto in loro potere per assicurare i terroristi ebrei alla giustizia?

Huda Abu Ranni esamina i danni subiti dalla sua casa per un attacco fatto con bottiglie incendiarie da sospetti estremisti ebrei, nel villaggio di Abu Falah a nord-est di Ramallah il 23 novembre 2014.

Huda Abu Ranni esamina i danni subiti dalla sua casa per un attacco fatto con bottiglie incendiarie da sospetti estremisti ebrei, nel villaggio di Abu Falah a nord-est di Ramallah il 23 novembre 2014.

Non è certo un segreto che i servizi di sicurezza israeliani, negli ultimo 67 anni, hanno trattato con la massima serietà e fermezza i terroristi palestinesi. Attraverso la costruzione di una vasta rete di informatori, lo Shin Bet ha con successo catturato o ucciso i Palestinesi che avevano partecipato, o pianificato, attacchi terroristici contro Israeliani (“Non voglio più alcun terrorista vivo in tribunale…. Nella guerra contro il terrore scordatevi la morale” disse l’ex capo dello Shin Bet Avraham Shalom, al regista Dror Moreh nel documentario candidato all’Oscar The Gatekeepers).

Ma quando si parla di prevenire gli attacchi contro i civili palestinesi da parte di terroristi ebrei, lo Shin Bet si dimostra carente o del tutto disinteressato.

Un esempio: secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, dal 2008 ci sono stati ben 18 casi di attacchi incendiari contro case palestinesi in Cisgiordania. Questo numero fa riferimento ai soli incidenti riportati dall’organizzazione.

La polizia ha condotto indagini in 15 di questi attacchi (in tre casi le vittime hanno deciso di non sporgere denuncia). Secondo lo Yesh Din, solo in un caso, il rogo di una tenda di una famiglia beduina vicino a Ramallah nell’agosto 2015, poche settimane dopo l’attacco di Duma, è finito con una imputazione. In dieci dei casi in questione si è chiuso senza accuse. Gli altri sono ancora sotto indagine.

Inoltre, dei 1026 casi gestiti dallo Yesh Din negli ultimi dieci anni, 940 (il 91,6%) si sono chiusi senza condanna. Solo in 75 casi (7.3%) c’è stata una condanna degli imputati.

Ad aggravare la situazione, molti dei più noti terroristi ebrei catturati hanno ricevuto clemenza dallo stato di Israele. Negli anni ottanta, un’organizzazione terrorista chiamata “The Jewish Underground”, formata da membri autorevoli del movimento dei coloni Gush Emunim, ha compiuto una serie di attacchi terroristici, anche con autobombe, contro funzionari palestinesi. Il gruppo aveva anche pianificato di far esplodere sei autobus pieni di fedeli mussulmani a Gerusalemme, ma il piano venne scoperto dallo Shin Bet.
Le loro condanne vennero per tre volte, in maniera controversa, ridotte dal presidente Chaim Herzog, ed infine i colpevoli vennero rilasciati dopo meno di sette anni di reclusione. Nel 1984 tre dei suoi membri, Menachem Livni, Shaul Nir e Uzi Sharbav, vennero condannati all’ergastolo per il loro coinvolgimento in atti di terrorismo, ma la condanna venne commutata nel 1990. Dopo il loro rilascio nel 1990, i tre vennero celebrati come eroi dai leader del movimento Gush Emunim

Nel 2015 Ofer Gamliel, appartenente al movimento radicale “Bat Ayin Underground”, che era stato condannato nel 2002 a 15 anni di prigione per un tentato attacco dinamitardo contro una scuola femminile palestinese di Gerusalemme, venne rilasciato con più di due anni di anticipo rispetto alla sentenza.

(http://972mag.com/the-farce-of-catching-jewish-terrorists/114493/)

(traduzione di Lete Griziotti)

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