Ex soldati israeliani testimoniano contro esercito israeliano

Giu 25, 2014 | Notizie


Non possiamo che gioirne… e ringraziarli… ma quando più ragazze e ragazzi in età di servizio militare organizzeranno enormi manifestazioni contro il loro governo per dire STOP, BASTA, NON ACCETTIAMO PIU’ DI SERVIRE UN ESERCITO CHE COMMETTE TALI ORRORI!

Come hanno fatto Uriel Ferera (imprigionato per la terza volta), Omar Sa’ad (anche egli imprigionato) ed altri

Il popolo Palestinese ha il diritto di vivere libero, sulla sua terra, godendo degli stessi diritti di qualsiasi essere umano!

Le testimonianze su http://www.info-palestine.eu/spip.php?article14629
12 giugno 2014 – Middle East Eye – Potete leggere questo articolo in inglese http://www.middleeasteye.net/news/f…

 

Traduzione di Maria Chiara Tropea – Donne in nero
Ex soldati israeliani  testimoniano contro l’esercito israeliano

19 giugno 2014 – Andrea DiCenzo – MEE

Il gruppo di attivisti Breaking the Silence ha organizzato un evento nel corso del quale è stata data la parola ad ex soldati israeliani e ad altri che sono tuttora in servizio, per esprimere  pubblicamente le loro testimonianze contro l’esercito israeliano.

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Adi Mazor, una dei soldati dell’esercito di difesa israeliano dà la sua testimonianza contro l’esercito israeliano

In una sessione di 10 ore, organizzata venerdì 6 giugno in piazza Habima, nel centro di Tel Aviv, l’organizzazione israeliana Breaking the Silence ha permesso a ex soldati e a soldati attualmente in servizio di leggere le loro testimonianze davanti ad una folla di persone israeliane curiose e che condividevano le stesse opinioni.

Le 10 ore di questo evento-maratona celebrano il decimo anniversario dell’organizzazione, fondata nel 2004, durante la Seconda Intifada, da un gruppo di soldati in congedo dell’esercito di difesa israeliano. Breaking the Silence è stato creato per offrire l’opportunità ai soldati di parlare e raccontare le loro esperienze nei Territori Palestinesi Occupati. Dalla sua fondazione, l’organizzazione ha raccolto più di 700 testimonianze da parte di soldati che avevano prestato servizio in Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme Est.

Si stima fra 350 e 400 coloro che hanno preso parte a questo evento. Impadronendosi del microfono, si sono espressi su ciò che hanno vissuto durante il loro servizio, al fine di sensibilizzare ed attirare l’attenzione sugli obiettivi dell’azione di aiuto della loro organizzazione e sui 47 anni del coinvolgimento militare israeliano in Cisgiordania.

Qui di seguito i nomi di alcuni degli ex soldati che hanno partecipato all’evento, con alcuni passaggi delle loro testimonianze, che hanno voluto leggere ad alta voce davanti alla folla presente per l’occasione.

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Foto della folla che assiste all’evento (Photo credit – Active Stills)

Avner Guaryahs

Voi entrate in una casa, e trovate giusto la famiglia all’interno. Vi accorgete dello sguardo corrucciato che il bambino vi rivolge. Non c’è alcun dubbio che non facciamo che gettare benzina sul fuoco. Il bambino vi guarda negli occhi. Voi umiliate suo padre. Voi lo svegliate nel cuore della notte. Voi entrate in casa sua più volte. Suo padre vi dice: “L’esercito ha già sfondato la porta, ma nessuno ha rimborsato alcunché”. Durante questo tempo, lo sguardo del bambino si accende sempre più di collera. I genitori tentano di calmare il loro figlio “Stai calmo, calmo”. Voi avete veramente il desiderio che il bambino vi gridi contro, che urli, che lasci esplodere la sua collera. Si tratta dunque delle piccole cose che noi incontriamo.

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Itamar Shwartz

Eravamo nel 2002, il giorno della finale della coppa del mondo. Erano circa le 13 o le 14 – ora israeliana. C’era canicola ed eravamo molto stanchi. Mi ricordo che quel giorno ci siamo fermati davanti ad una delle case mentre una voce nella nostra radio ripeteva “Dobbiamo trovare un posto con televisione. Dobbiamo seguire la finale.” Era la cosa più assurda. Hanno fatto irruzione in una casa in cui c’erano solo donne e bambini. I soldati hanno rinchiuso tutti nella cucina e si sono sistemati per guardare la partita, per due ore. Io non riuscivo a credere a quel che stava succedendo.

 

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Adi Mazor

Voi potete mentire, proprio come in questo caso. Il mio comandante ha preso il telefono e ha detto: “Noi vediamo là alcuni bambini che lanciano pietre sul muro”. Sicuro, non c’era alcun bambino. Niente. Aveva mentito. Noi abbiamo detto “d’accordo” e il mio collega ed io siamo saliti sul carro. Abbiamo sbloccato una granata stordente e l’abbiamo gettata sopra il muro. C’è stato un grande scoppio. Mi sono accorta di un Palestinese che lavorava nel suo campo. Era atterrito.

Ricordo di essere stata molto fiera del mio gesto. Poi la sensazione di eroismo è presto diventata una sensazione di vergogna. Avevo vergogna di me stessa. Era come se il territorio palestinese fosse un nostro terreno di gioco dove potessimo fare quel che volevamo in qualsiasi momento.

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Yoni Levy

Le notti si assomigliano a Jenin, in Cisgiordania. Ogni sera, noi svolgevamo operazioni in tutta la città. Avevamo l’abitudine di cominciare con imboscate e detenzioni nella città, ma l’operazione più frequente era il nostro ingresso aggressivo nel centro-città in piena notte. Per segnalare la nostra entrata aggressiva, annunciamo il nostro arrivo con un lancio di granate stordenti e col fuoco di armi automatiche. Anche se l’effetto delle granate è solo luce intensa e rumore assordante, e anche se noi spariamo in aria o sui lampioni, l’effetto dell’attacco risulta particolarmente terrificante. E noi volevamo che fosse così.

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Shay Davidovich

Per quanto riguarda il villaggio stesso, i carri hanno bombardato e attaccato la zona circostante mentre gli elicotteri da attacco si esercitavano nelle vicinanze. Evidentemente, i soldati hanno fatto irruzione nel villaggio e si sono sparsi un po’ dappertutto. C’erano molte persone, tutto un battaglione. Inoltre, ogni casa aveva il suo campo, che i soldati attraversavano liberamente. C’erano vere esplosioni che provenivano direttamente da esercitazioni e manovre. Dei tiri veri. Io sono convinto che non erano destinati al villaggio, ma si potevano chiaramente intendere e sentire. Soprattutto, noi abbiamo camminato attraverso i campi coltivati palestinesi per arrivare infine al villaggio. Passavamo per le strade in doppia fila. Era convenuto che fosse la simulazione di un villaggio vero, per cui i soldati sono arrivati in modo molto organizzato. Mi ricordo che alcuni cominciavano a sparare a vuoto, ma non so quanto.

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Nadav Bigelman

Trovarsi con i coloni era una missione delicata. Noi eravamo al centro, il centro della Kasbah e il centro della colonia, e la maggior parte delle noie ci venivano dai coloni. La violenza quotidiana, complessivamente, non era compiuta da palestinesi, dopo tutto loro non osavano far nulla con i soldati davanti. Sono piuttosto i coloni ad essere violenti. Quando io ero in servizio , avevo sempre il mio taccuino in tasca, e ogni volta che un colono insultava o agiva violentemente, prendevo nota. Ho anche interrogato altri soldati e ho annotato tutte le azioni dei coloni.

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Gil Hellel

Per principio, noi eravamo un’unità mista sul terreno per gestire i disordini provocati dagli Ebrei. La popolazione nella colonia ebraica di Avraham Avinu è nota per essere difficile da gestire e origine di molti problemi. Tutta la città di Hebron è il focolare dei coloni più estremisti, giunti lì per una missione, per così dire: la riconquista della Terra d’Israele. Loro molestano continuamente ogni giorno i Palestinesi che vivono laggiù. In mezzo a tutto ciò, ricordo di aver pensato dentro di me “Ma per l’amor di Dio, cosa sto facendo io qui? Chi sono davvero in procinto di difendere?”

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Noam Chayut

C’era grande folla che tentava di attraversare il checkpoint per spostarsi da Gerusalemme a Ramallah, cioè per uscire da quello che noi definiamo il legittimo Israele. Noi li perquisiamo allo stesso modo nei due lati del passaggio. Una volta c’era tra la folla un’adolescente o una giovane donna occidentale, o europea. L’ho guardata e in qualche modo le ho fatto segno di fare il giro invece di aspettare con gli altri. Lei è arretrata di un passo e ha cominciato ad urlare in inglese. “Perché? Che differenza c’è fra me e questa donna con i suoi marmocchi che piangono in coda?” Evidentemente, non ho potuto rispondere, perché non c’era risposta.

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