Hebron, il lato oscuro degli Accordi di Oslo

Mag 13, 2014 | Notizie, Testimonianze

HebronShuhada Street, dal 2000 strada proibita ai palestinesi della città, nei racconti e le testimonianze dei residenti.
La strage della moschea di Hebron è una ferita ancora aperta nei cuori dei palestinesi della città. Poiché oltre al danno, hanno dovuto subire anche la beffa di vedersi ancor più discriminati per “ragioni di sicurezza” da parte dell’esercito israeliano. E poi in seguito al Protocollo di Hebron, siglato nel 1997 da Israele e OLP, in conformità con gli Accordi di Oslo del ’95, la città è diventata una città fantasma, divisa in due settori: H1, governato dalle autorità palestinesi, ed H2, sotto il controllo dell’esercito israeliano.

Il protocollo prevede la riapertura di una delle vie strategiche della città, Shuhada Street, ma le autorità israeliane non stanno tuttora rispettando quanto stabilito dall’accordo. “Nonostante sia un negoziato ingiusto, noi abbiamo rispettato i patti. Israele assolutamente no”, sottolinea un abitante della zona H2. I palestinesi che vivono in H2 hanno un codice identificativo e molti di loro sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni a causa dei ripetuti attacchi da parte dei coloni e dell’esercito. Le autorità israeliane hanno ordinato la chiusura di alcuni negozi gestiti da palestinesi solo perché erano vicino alle colonie.

Bilal Anwar, funzionario del Comune di Hebron, spiega: “Da quando nel 1994 Baruch Goldstein, un estremista israeliano, uccise ventinove palestinesi mentre stavano pregando nella moschea di Abramo, l’esercito israeliano temette rappresaglie contro i coloni residenti ad Hebron e dintorni. Fu così che le strade vennero chiuse ai veicoli palestinesi e poco più tardi Shuhada Street, principale via del commercio urbano, fu proibita ai palestinesi, che tuttora non possono neanche attraversarla a piedi”.

“I palestinesi che vivono nella zona – sottolinea Bilal – sono costretti a passare sui tetti per raggiungere i loro vicini. Inoltre, subiscono violenze e molestie da parte dei coloni e dei soldati. E’ la società civile a muoversi attivamente e pacificamente contro tutto questo, attraverso associazioni e comitati. Alcuni gruppi provenienti dalla Palestina e da Israele hanno lanciato una campagna sul web, coinvolgendo molti paesi nel mondo, per chiedere la riapertura di Shuhada Street, la tutela dei diritti civili e la fine dell’occupazione”.

La scorsa settimana ha suscitato sdegno il video pubblicato su Youtube nel quale alcuni soldati israeliani, armati e in uniforme, ballavano a un matrimonio palestinese in città. Ma non va sempre così “bene” a Hebron. Ahmad A., un ragazzo palestinese che vive nella zona H2, racconta: “Ero con la mia famiglia a casa di mio padre. Stavamo celebrando il matrimonio di mio fratello quando arrivarono un gruppo di coloni, irruppero in casa, sfondarono tutto e naturalmente fecero saltare il matrimonio. Per mio fratello quello doveva essere il giorno più bello della sua vita, ma è stato uno dei più brutti in assoluto”.

Ahmad studia Comunicazione multimediale all’Università, ma per raggiungere la sua facoltà deve attraversare ogni giorno due checkpoint: “Vivo nella zona H2, l’Università dista al massimo cinque minuti a piedi da casa mia, ma Israele non permette ai palestinesi di passare per Shuhada Street. Siamo costretti a prendere il taxi, che vuol dire quasi mezzora di tragitto e due dollari per corsa, un importo molto alto per noi palestinesi che abbiamo redditi decisamente bassi”.

Un altro ragazzo palestinese residente nella zona H2 – anche lui come Ahmad studente di Comunicazione e Media all’Università – fa il volontario in una radio locale, si occupa di una trasmissione per i giovani. Anche lui per andare all’Università è costretto a prendere un taxi perché gli è impedito di passare per Shuhada street. Vuole fare il giornalista e non sembra intimorito dal fatto che siano stati uccisi molti giovani cronisti in Palestina. Gli piace anche cantare, ha scritto e registrato alcune canzoni dedicate alla Palestina e alla sua città. E a Hebron questi ragazzi crescono faccia a faccia con la violenza disumana dell’esercito israeliano.

Fonte: Nena News

 

 

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