La storia

Il movimento contro gli euromissili

Gli anni Ottanta sono gli anni di una nuova ondata del movimento per la pace. Contro il nuovo pericolo nucleare e la folle corsa al riarmo ad est e ad ovest che ha i suoi responsabili in Breznev e Reagan, si mobilitano milioni di persone. In questi anni, Comiso (in provincia di Ragusa) diventa la capitale del pacifismo. Proprio lì dovrebbero arrivare i missili nucleari Cruise. La Nato nel dicembre 1979 aveva infatti deciso di dispiegare 572 missili nucleari a media gittata (Pershing e Cruise) in cinque paesi dell’Europa occidentale: Olanda, Gran Bretagna, Germania, Belgio e Italia. Gli euromissili erano il frutto di una scelta strategica: la risposta al dispiegamento – avvenuto in precedenza – degli SS20 sul territorio dei paesi del Patto di Varsavia. La corsa al riarmo dettata dalla paura reciproca dei blocchi era ormai nel pieno del suo sviluppo. L’opinione pubblica europea e americana avverte la possibilità di una guerra nucleare, che in questo caso potrebbe essere limitata esclusivamente all’Europa. Nel 1981 si riunisce per la prima volta la Convenzione End (European Nuclear Disarmament) che promuove un comune appello per un’Europa libera dall’incubo nucleare. La Convenzione diventa negli anni seguenti un appuntamento tradizionale per tutti i pacifisti europei. Il movimento che sorge in Italia è trasversale: incontro di diverse generazioni, origini sociali, componenti politiche, fedi religiose, tradizioni culturali. Coinvolge il Partito comunista italiano, i gruppi della Nuova Sinistra, le grandi associazioni come Arci e Acli, il mondo cattolico, le esperienze di organizzazioni nonviolente e di obiettori di coscienza, i sindacati. Il 24 ottobre 1981 inizia la lunga serie di proteste che porta oltre tre milioni di persone a marciare nelle strade delle maggiori capitali europee. È la più grande dimostrazione contro il pericolo nucleare mai avvenuta nel vecchio continente. In Italia nascono i Comitati per la pace: quasi quattrocento gruppi che si danno un coordinamento nazionale. Coinvolgono migliaia di persone e si caratterizzano per la scelta della nonviolenza e del non allineamento. Nel 1983 il movimento conosce il momento più alto della propria mobilitazione. A Comiso durante l’estate i pacifisti danno vita ad un campo permanente di iniziativa (Imac: International Meeting Against Cruise) intorno alla base militare. Migliaia di persone si alternano nei luoghi della protesta.

Dal movimento all’associazione

Nell’84 i Cruise sono a Comiso. Il governo ha ignorato le mobilitazioni, i sondaggi di opinione, le petizioni, il milione di firme siciliane, i cinque milioni di NO del referendum autogestito sull’installazione dei missili. Il movimento di massa non raggiunge l’obiettivo di evitare l’installazione dei Cruise, ma ha sedimentato nuove culture e sensibilità di valori di pace e di nonviolenza. L’arcipelago pacifista inizia un dibattito al suo interno, ma non smobilita. Rimane nella società italiana una opposizione diffusa alla logica delle armi. Lo confermano l’imponente manifestazione del 25 ottobre 1985 in occasione della visita del presidente americano Reagan e il convegno a Perugia di oltre 400 comuni denuclearizzati, la denuncia e l’iniziativa (in primo luogo di larga parte del mondo cattolico; nasce il “Comitato contro i mercanti di morte”, animato da Pax Christi, Mani Tese, Mlal, Acli, Missione Oggi) contro il traffico di armi e per il diritto all’obiezione di coscienza. In questi anni gli obiettori sono sempre più numerosi e superano la soglia delle 10.000 domande. Nell’86 il coordinamento nazionale dei comitati di pace smette di riunirsi e si fa strada l’idea di un’Associazione dei pacifisti. La necessità è quella di rendere visibile, politicamente efficace, una molecolare e diffusa spontaneità che esiste ancora in molte aree del paese. Autoconvocato a Roma il 15 marzo 1987, il comitato promotore dell’Associazione per la pace lancia la sua proposta. «Facciamo appello a tutti coloro che come noi avvertono l’urgenza di questo impegno, che come noi aspirano ai principi della nonviolenza, della solidarietà, del non allineamento e del superamento dei blocchi militari, affinché si uniscano al nostro lavoro per preparare il congresso costitutivo dell’associazione». Nel settembre 1987 alla Cittadella di Assisi il Comitato si riunisce in un seminario e – dopo il lancio con un questionario che compare sulle pagine di Linus – diventa di massa con l’adesione di circa duemila persone. Nel seminario vengono sottolineati i temi di intervento dell’associazione: pace e nucleare, l’impegno per il disarmo, giustizia e nuovo rapporto tra Nord e Sud del mondo; l’importanza di una maggiore autonomia dalle forze politiche che avevano condizionato il coordinamento dei comitati per la pace; diritti umani, attenzione particolare alla forze del mondo cattolico. Sono gli elementi di novità rispetto al passato, sono le basi su cui fondare la futura Associazione per la pace.

Nasce L’Associazione per la Pace

26-28 febbraio 1988. Bari, a pochi chilometri dalla base militare di Gioia del Colle dove si vorrebbero installare i Tornado della Nato (altro simbolo di un’altra lunga lotta del pacifismo italiano) si tiene il primo congresso dell’Associazione per la pace. Nei saloni dell’Hotel Ambasciatori, sono riuniti 400 delegati in rappresentanza di cinquemila iscritti. Esponenti di gran parte dei vecchi comitati locali, appartenenti a gruppi cattolici, militanti della sinistra, decine di parlamentari, scienziati, giuristi, gruppi verdi, sindacalisti, intellettuali, politici, religiosi che hanno compiuto percorsi aperti nell’impegno pacifista. Dopo due giorni (e notti) di discussioni e dibattiti i congressisti eleggono un consiglio nazionale di circa 100 membri che successivamente eleggerà due portavoce. È la nascita ufficiale dell’Associazione per la pace. La nascita avviene nei giorni che seguono alle grandi speranze di pace aperte dall’accordo Reagan-Gorbaciov e dall’annuncio del ritiro sovietico dall’Afghanistan; di fronte a nuovi tavoli di trattativa tra Est ed Ovest su missili intercontinentali, armi chimiche e convenzionali. Per la prima volta la corsa al riarmo sembra rallentare o fermarsi. Ma rimangono conflitti e guerre in diverse aree del mondo: basta volgere lo sguardo al Medio Oriente o all’Africa. Gli ospiti d’onore del congresso sono una pacifista israeliana e una palestinese, a testimonianza del crescente impegno per la solidarietà internazionale e i diritti dei popoli. Se il pacifismo della prima metà degli anni Ottanta era stato dipinto come un movimento contro minacce precise e scelte concrete, quello che esce da Bari è un movimento per la pace, che punta alla pace come valore positivo, non come assenza di guerra, ma come contenuti di giustizia e di solidarietà, che colga il legame profondo tra lotta per il disarmo e lotta per la democrazia interna agli stati e a livello internazionale. Punto di novità consistente: la norma statutaria sulla rappresentatività assolutamente paritaria tra i sessi, 50 per cento in tutti gli organismi dell’associazione. Si tratta di una delle rare eccezioni nel panorama dell’associazionismo italiano. I temi su cui l’associazione intende radicarsi e mobilitarsi sono molti: disarmo, educazione alla pace, denuclearizzazione militare e civile dell’Italia e dell’Europa, spese militari, esercito e obiezione di coscienza, commercio d’armi, solidarietà internazionale. Temi che diventeranno subito pratica. Intanto alla fine del congresso c’è il primo esempio di mobilitazione: quattromila persone manifestano davanti alla base Nato di Gioia del Colle contro l’installazione dei caccia F16 in Italia.

Da Berlino a Gerusalemme

Nel dicembre dell’87 era iniziata in Cisgiordania e Gaza l’Intifada, la rivolta delle pietre. Pochi mesi dopo, nell’agosto 1988, 70 italiane si erano ritrovate a Gerusalemme per dieci giorni di incontri con comitati di donne palestinesi e israeliane, di visite a campi profughi, centri sociali e sanitari, asili e ospedali. “Non ci basta dire basta” è lo slogan di questo viaggio di conoscenza e insieme di costruzione di più forti vincoli di solidarietà che si esprime anche con la partecipazione alle manifestazioni delle donne in nero israeliane contro l’occupazione militare e a quelle delle donne palestinesi contro la violazione dei diritti umani. L’impatto con la realtà del conflitto mediorientale è fortissimo e stimola una forte mobilitazione in Italia: iniziative, dibattiti, raccolte di fondi, progetti di solidarietà concreta, appelli. «La creazione di uno Stato palestinese a fianco di quello di Israele è infatti oggi una possibilità concreta, per la quale dobbiamo impegnarci fino in fondo» recitano i documenti politici dell’Associazione per la pace. L’11 febbraio 1989 viene organizzata una manifestazione nazionale promossa insieme al comitato di amicizia e di solidarietà Italia-Palestina e alla Lega per i diritti dei popoli, alla quale aderiscono numerose forze politiche e associazioni. I punti fondamentali della piattaforma della manifestazione sono: riconoscimento dello Stato palestinese indipendente; convocazione della Conferenza internazionale di pace; fine della repressione, rispetto dei diritti umani, ritiro delle truppe israeliane e contestuale invio di contingenti delle Nazioni Unite; sviluppo della solidarietà concreta con i palestinesi e sostegno alle forze di pace in Israele. Dalla manifestazione nazionale si torna ancora in Medio Oriente con “Time for Peace – È tempo di pace”, l’iniziativa europea che a dicembre porta migliaia di pacifisti – soprattutto italiani – a Gerusalemme, uniti in una catena umana di oltre 30mila persone insieme a palestinesi e israeliani per la prima volta insieme. L’idea di un’iniziativa nonviolenta del movimento pacifista europeo era nata durante l’ottava Convenzione europea per il disarmo nucleare (la End) a Vitoria, nei Paesi Baschi, e aveva visto nel comitato organizzatore Associazione per la pace, Acli e Arci insieme a varie organizzazioni di altri paesi. Più di 1.500 pacifisti (di cui mille italiani) manifestano, dal 29 al 31 dicembre, all’insegna di tre parole d’ordine molto chiare: due popoli, due stati; rispetto dei diritti umani e civili; trattative per la pace. Negli anni successivi, si continua a lavorare nel segno di Time for Peace. “Due stati per due popoli” rimane il principio irrinunciabile per una pace giusta e stabile, nella democrazia, nel rispetto dei diritti umani, nella sicurezza reciproca. Tali richieste vengono riproposte nella conferenza per il “Dialogo tra i cittadini del Mediterraneo” tenutasi in Spagna nell’aprile 1991, promossa dalla Helsinki Citizens Assembly – con la collaborazione decisiva dell’Associazione per la pace e dell’Arci – conferenza che vede per la prima volta esponenti democratici israeliani e palestinesi parlarsi nuovamente dopo la guerra del Golfo. Poi verranno le trattative segrete, gli accordi di Oslo, la stretta di mano tra Arafat e Rabin. E nell’opinione pubblica si diffonde la convinzione che il conflitto israelo-palestinese sia ormai superato. Il processo di pace è avviato, ma non ancora concluso. Per questo l’Associazione per la pace, anche in occasione del congresso di Livorno del 1995, continua a progettare iniziative e a denunciare i problemi più gravi ancora aperti: oltre 5.000 prigionieri politici palestinesi ancora detenuti nelle carceri israeliane; la continua estensione di insediamenti israeliani nei territori occupati; la progressiva occupazione della parte araba di Gerusalemme da parte israeliana; l’espulsione dei lavoratori palestinesi sostituiti in Israele con manodopera immigrata dall’Estremo Oriente. A tutt’oggi le incertezze e le incognite del processo di pace in Medio Oriente rimangono ancora più evidenti dopo l’assassinio di Rabin e la vittoria delle destre nelle elezioni politiche israeliane di maggio.

La guerra del Golfo

Il 2 agosto del 1990 l’Iraq invade il Kuwait. La guerra che segue segna uno spartiacque nella storia delle relazioni internazionali ed è anche un punto di svolta per il pacifismo italiano e per l’Associazione per la pace. Se l’89 ha significato la fine della guerra fredda e dell’era del bipolarismo, la guerra del Golfo apre una nuova drammatica fase delle relazioni internazionali, in parte anche del rapporto tra Nord e Sud del mondo. L’Iraq è una media potenza regionale che ambisce ad avere un predominio nell’area ed è percepito come un pericolo per l’Occidente che vede a rischio il controllo delle fonti energetiche della regione. Solo pochi anni prima appoggiato dall’Occidente nella guerra contro l’Iran, ora viene considerato un nemico pericolosissimo. Il movimento pacifista si confronta con questa nuova fase che apre anche sfide culturali e politiche inedite. L’Associazione per la pace condanna duramente l’invasione irachena del Kuwait e si pronuncia contro l’intervento armato dell’occidente nel Golfo, contro l’invio delle navi e dei cacciabombardieri italiani e si dichiara a favore di una soluzione pacifica del conflitto attraverso una conferenza internazionale di pace sul Medio Oriente che ponga fine all’occupazione del Kuwait, ma anche a quella israeliana in West Bank e Gaza e a quella siriana in Libano. È una posizione difficile: gran parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche occidentali approva sostanzialmente il massiccio intervento militare americano nel Golfo. In Italia la scelta del governo di concedere agli Usa l’uso delle basi italiane e poi l’invio delle navi a sostegno del blocco militare è condivisa dalla maggioranza delle forze politiche e dei mass media. Le Donne in nero tornano in piazza a manifestare contro la guerra. Sono più di 70 gruppi attivi tanto nelle grandi città che nei piccoli centri. Si mobilitano i gruppi locali dell’Associazione per la pace: marce, concerti, pedalate, aquiloni, manifesti, tende per la pace fioriscono ovunque. A Varese i lavoratori della Aermacchi organizzano uno sciopero della fame per la riconversione della loro fabbrica dal militare al civile. In tutta Italia – prima del 15 gennaio 1991, il giorno dell’ultimatum Onu all’Iraq- striscioni e cartelli verranno esposti fuori dalle finestre con la scritta: “Anch’io ripudio la guerra”, riprendendo l’articolo 11 della Costituzione. Ne vengono prodotti e affissi decine di migliaia. A Roma manifestano oltre 200.000 persone. Vengono poi promosse azioni di solidarietà con le famiglie degli ostaggi trattenuti in modo ricattatorio da Saddam Hussein in Iraq. Tra il 18 e il 28 novembre una missione di pace porta a Bagdad rappresentanti delle Acli, dell’Arci e dell’Associazione per la pace, del Sacro convento di Assisi. La missione tornerà in Italia insieme a 70 dei 250 ostaggi italiani. Il 17 gennaio inizia l’attacco all’Iraq. Dopo oltre un mese di bombardamenti il 24 febbraio parte l’offensiva di terra delle potenze alleate, sotto l’egida dell’Onu. Il 2 marzo la guerra è già finita: l’Iraq si ritira dal Kuwait, le ultime bombe colpiscono alle spalle 40.000 militari e civili in fuga da Kuwait City. La manifestazione nazionale convocata dall’Associazione per la pace il 9 marzo non avrà luogo. La ferita del Golfo rimane ancora aperta: si è rilegittimata la guerra, si è sacrificata l’Onu per interessi di parte, si sono riaperte le tensioni nel mondo arabo, si è prodotta l’immagine di un nuovo nemico, l’islamismo. Ma l’Associazione per la pace non abbandona l’Onu al suo destino e alla strumentalizzazione delle nazioni più ricche e potenti. Anzi, subito dopo la fine della guerra del Golfo, lancia una campagna per la sua riforma e la sua democratizzazione. Nel novembre del 1992 si tiene a Roma un importante Forum promosso dall’Associazione e da altre organizzazioni per chiedere una nuova Onu. Nel III congresso dell’Associazione, che si svolge a Bologna, nel marzo del 1993, si lancia l’idea di una grande iniziativa per l’Onu dei popoli, in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione delle Nazioni Unite. L’impegno sarà rispettato: il 24 settembre del 1995, 80.000 persone marceranno da Perugia ad Assisi per chiedere la riforma dell’Onu e chiedere una diversa politica estera del nostro paese, una politica di pace e di cooperazione con i popoli.

Da Baghdad a Sarajevo

A poco più di un anno dalla fine della guerra del Golfo, nell’aprile del 1991 si apre nel cuore dell’Europa un conflitto destinato a durare oltre quattro anni: la guerra nell’ex Jugoslavia. Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale una guerra – tragica e feroce – attraversa l’Europa. È un conflitto fratricida che ha radici etniche e nazionali, un conflitto molto diverso da quelli temuti negli anni Ottanta tra le superpotenze. È una guerra che si combatte dietro l’angolo e che, per le sue caratteristiche, costringe i pacifisti a confrontarsi con la necessità di studiare nuove forme di intervento: per la prima volta i pacifisti agiscono direttamente nelle zone di guerra. La scelta dell’Associazione per la pace è chiara da subito: accanto alle manifestazioni e alle richieste politiche, tanto lavoro sul campo. Si manifesta è vero anche ora, ma soprattutto laggiù, dove la guerra si combatte, o ai confini: il 30 giugno 1992 a Trieste, nel settembre seguente con la Carovana di pace Trieste-Lubjana-Zagabria-Belgrado-Sarajevo, a febbraio del ’92 ancora a Sarajevo. La Carovana per la pace vede la partecipazione di oltre 500 pacifisti italiani, ed europei. Si tengono in tutte le capitali della ex Jugoslavia manifestazioni e iniziative politiche. Si sceglie di stare dalla parte delle vittime, da qualsiasi parte esse stiano, promuovendo campagne di solidarietà con i disertori, inviando aiuti umanitari e volontari nei campi profughi, realizzando progetti di sostegno alle attività culturali, alle scuole, agli organismi della società civile. L’Associazione per la pace organizza da subito le prime campagne. Da Treviso parte l’iniziativa del “Villaggio del bambino” per sostenere l’orfanotrofio multietnico di Novi Sad, in Vojvodina. A Trieste, nasce la campagna “Dai ruote alla pace” che raccoglie aiuti e li invia nelle aree più bisognose della ex Jugoslavia. E poi la staffetta per la pace (luglio ’92) in oltre 30 città italiane e l’edizione di Time for peace a Sarajevo e in altre 40 città della ex Jugoslavia (dicembre ’93). L’azione umanitaria è da subito concepita come un’azione politica e di promozione di pace. La presenza sul campo coinvolge migliaia di volontari, decine di associazioni pacifiste e di organizzazioni di solidarietà. Questa attività di sostegno concreto è una risposta all’inefficacia dei governi europei e della comunità internazionale, alla loro compromissione con interessi di parte. La Comunità Europea in particolare si dimostra incapace di intraprendere iniziative diplomatiche che possano favorire la soluzione del conflitto. D’altra parte i piani di pace elaborati dall’Onu accetteranno sin dall’inizio di fatto il principio della spartizione etnica della Bosnia. È nel documento “Bosnia: un percorso di pace”, elaborato nel febbraio del 1994 (proprio il giorno della sanguinosa strage del mercato a Sarajevo, che causa oltre 70 morti) che l’Associazione per la pace presenta organicamente le sue proposte. Punti qualificanti del documento: la richiesta di dislocare sul campo una forza integrata composta da un contingente di negoziatori politici europei che devono trattare il cessate il fuoco zona per zona, un contingente umanitario e un contingente di caschi blu; l’esclusione dell’uso di un contingente Nato; la richiesta di una riqualificazione del ruolo dei caschi blu con una estensione delle loro competenze dalla semplice scorta degli aiuti umanitari al monitoraggio delle violazioni dei diritti umanitari e dei crimini commessi e al soccorso alle popolazioni civili. Ma il lavoro politico di interlocuzione con il governo italiano, la Comunità europea e l’Onu non distrae mai l’Associazione per la pace dal suo impegno di solidarietà concreta con i popoli dell’ex Jugoslavia. Sempre nel ’93 un rapporto dell’Unione europea denuncia 20.000 stupri “etnici”. In occasione del terzo congresso, gli uomini dell’associazione votano all’unanimità un appello contro lo stupro nella ex Jugoslavia e per il suo riconoscimento come crimine di guerra. Un mese dopo le donne organizzano a Trieste un incontro con 200 donne slovene, croate, serbe, bosniache e italiane. L’incontro è importante perchè rende possibile il confronto e la comunicazione tra donne appartenenti alle varie etnie. Le partecipanti approvano, tra l’altro, un documento in cui chiedono il riconoscimento dello stupro come crimine di guerra e la costituzione di un tribunale internazionale costituito da donne. Nel 1995 vengono organizzati incontri tra le forze democratiche di opposizione della Bosnia Erzegovina e dell’entità serbo-bosniaca, per far avanzare il dialogo e una piattaforma comune di riconciliazione. Gli incontri si tengono a Perugia nel maggio e nel settembre del 1995. Si organizzano iniziative di gemellaggi tra le scuole di Roma e quelle di Tuzla. Dal 1992 al 1994 l’Associazione per la pace sostiene le iniziative del “Verona Forum”, animato dallo scomparso Alex Langer. Proprio nell’aprile del 1994 si organizzano prima un corteo da Ancona a Falconara e poi a Verona un Mosaico di Pace, che vede la partecipazione di esponenti democratici da tutti i territori della ex Jugoslavia.

Dall’ex Jugoslavia all’Italia

Naturalmente, oltre all’esperienza fatta nella guerra jugoslava, si sono mantenuti aperti altri canali di azione del pacifismo italiano. Oggi più di ieri la sua articolazione è pluralistica e culturalmente varia, toccando diverse ispirazioni politiche,sociali e religiose. È ancora vasto nel pacifismo il radicamento nel mondo cattolico e cristiano: si va dai movimenti più radicali come Pax Christi a quelli più diffusi sul territorio e non monotematici come le Acli. Connotante è l’elemento della giustizia come tassello fondamentale per la costruzione della pace. Sul fronte più tradizionale nonviolento è in fase di superamento la campagna per l’obiezione di coscienza alle spese militari, mentre aumentano gli obiettori di coscienza al servizio militare: l’anno scorso oltre 33mila, quest’anno – pare – oltre 50mila. Un piccolo esercito di pace che sta preoccupando i militari, impegnati ad evitare che si approvi la nuova legge sull’obiezione di coscienza che toglierebbe loro la gestione (unico caso in Europa) del servizio civile. L’Associazione per la pace che oltre ad essere protagonista dell’impegno in ex Jugoslavia, in Medio Oriente e nell’ Onu ha sviluppato numerose campagne e iniziative rivolte al Parlamento e al mondo della politica, da a Democrazia è partecipazione. In particolare con la campagna Venti di pace, l’Associazione per la pace ha mantenuta alta la propria iniziativa sul disarmo e per la riduzione delle spese militari, organizzando marce e manifestazioni (come la marcia La-Spezia-Portovenere nel ’92-93 e la marcia a Taranto nel ’92), centinaia di iniziative locali e una costante azione di pressione sul Parlamento in occasione della discussione della legge finanziaria e dei bilanci della Difesa. Con la campagna unitaria Democrazia e partecipazione l’Associazione per la pace ha stabilito dei “path” di azione con i parlamentari che hanno sottoscritto degli impegni precisi a favore della promozione di provvedimenti legislativi per la pace, la solidarietà internazionale, il disarmo. Nel 1994 è stato creato un Osservatorio ad hoc ed è stato diffuso un rapporto sui comportamenti assunti dai parlamentari in occasione delle discussioni di provvedimenti oggetto degli impegni di Democrazia è partecipazione

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