I palestinesi ‘sono destinati a vincere’: gli israeliani profetizzano la fine del loro Stato

Giu 24, 2022 | Riflessioni

di Ramzy Baroud,

Palestine Chronicle, 16 giugno 2022.   

L’ex premier israeliano Ehud Barak. (Foto: via MEMO)

Sebbene sia vero che il sionismo è un’ideologia politica moderna che ha sfruttato la religione per raggiungere obiettivi coloniali specifici in Palestina, le profezie continuano ad essere una componente critica della percezione che Israele ha di se stesso e del rapporto dello Stato con altri gruppi, in particolare i gruppi messianici cristiani negli Stati Uniti e nel mondo.

Il tema delle profezie religiose e la loro centralità nel pensiero politico di Israele è stato nuovamente evidenziato in seguito alle osservazioni dell’ex Primo Ministro israeliano Ehud Barak, in una recente intervista al quotidiano in lingua ebraica Yedioth Ahronoth. Barak, che è visto come un politico ‘progressista’, un tempo leader del Partito Laburista di Israele, ha espresso il timore che Israele si ‘disintegri’ prima dell’80° anniversario della sua fondazione avvenuta nel 1948.

“In tutta la storia ebraica, gli ebrei non hanno mai governato per più di ottant’anni, tranne che nei due regni di Davide e nella dinastia asmonea e, in entrambi i periodi, la loro disintegrazione è iniziata nell’ottavo decennio”, ha detto Barak.

Basata su un’analisi pseudo-storica, la profezia di Barak sembra confondere i fatti storici con il tipico pensiero messianico israeliano, e ricorda le dichiarazioni fatte dall’ex Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel 2017.

Come Barak, Netanyahu aveva espresso i suoi commenti sotto forma di paura per il futuro di Israele e per l’incombente ‘minaccia esistenziale’, la pietra angolare dell’hasbara israeliano nel corso degli anni. Durante una sessione di studio della Bibbia nella sua casa di Gerusalemme, Netanyahu aveva poi avvertito che il regno asmoneo – noto anche come quello dei Maccabei – era sopravvissuto solo per 80 anni prima di essere conquistato dai Romani nel 63 a.C..

“Lo Stato asmoneo è durato solo 80 anni e noi dobbiamo superarlo”, disse Netanyahu, secondo quanto riportato al quotidiano israeliano Haaretz da uno dei partecipanti.

Ma, anche secondo la presunta determinazione di Netanyahu a superare quel numero, egli avrebbe assicurato che Israele supererà gli 80 anni dei Maccabei e sopravvivrà per 100 anni. Che sono solo 20 anni in più.

La differenza tra le dichiarazioni di Barak e Netanyahu è piuttosto trascurabile: le opinioni del primo sono presumibilmente ‘storiche’, mentre quelle del secondo sono bibliche. Vale la pena notare, tuttavia, che entrambi i leader, sebbene aderiscano a due scuole politiche diverse, convergono su alcuni punti: la sopravvivenza di Israele è in pericolo; la minaccia alla sua esistenza è reale e la fine di Israele è solo questione di tempo.

Ma il pessimismo in Israele non si limita ai leader politici, che sono noti per esagerare e manipolare i fatti per instillare paura e far arrabbiare i loro campi politici, in particolare il potente elettorato messianico di Israele. Anche se questo è vero, le previsioni di un fosco futuro per Israele non sono limitate all’élite politica del paese.

In un’intervista rilasciata ad Haaretz nel 2019, uno degli storici più noti e rispettati di Israele, Benny Morris, ha detto molto sul futuro del suo Paese. A differenza di Barak e Netanyahu, Morris non lanciava segnali di allarme, ma affermava ciò che, a suo avviso, sembrava un risultato inevitabile dell’evoluzione politica e demografica del Paese.

“Non vedo come possiamo uscirne,” ha detto Morris, e ha aggiunto: “Già oggi ci sono più arabi che ebrei tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano. L’intero territorio sta inevitabilmente diventando uno Stato a maggioranza araba. Israele si definisce ancora uno Stato ebraico, ma una situazione in cui noi governiamo un popolo occupato che non ha diritti, non può durare nel XXI secolo”.

Le previsioni di Morris, pur rimanendo legate alla fantasia razziale di una maggioranza ebraica, erano molto più articolate e anche realistiche rispetto a quelle di Barak, Netanyahu e altri. L’uomo che si era rammaricato del fatto che il fondatore di Israele, David Ben Gurion, non avesse espulso tutta la popolazione nativa della Palestina nel 1947-48, ha parlato con rassegnazione del fatto che, nel giro di una generazione, Israele cesserà di esistere nella sua forma attuale.

Particolarmente degna di nota nei suoi commenti è l’accurata percezione che “i Palestinesi guardano tutto da una prospettiva ampia e a lungo termine” e che i Palestinesi continueranno a “chiedere il ritorno dei rifugiati”. Ma chi erano i “palestinesi” a cui Morris si riferiva? Certamente non all’Autorità Palestinese, i cui leader hanno già messo da parte il diritto al ritorno per i rifugiati, e certamente non hanno una “prospettiva ampia e a lungo termine”. I palestinesi di Morris sono, ovviamente, il popolo palestinese stesso, le cui generazioni hanno servito e continuano a servire come avanguardia dei diritti dei palestinesi, nonostante tutte le battute d’arresto, le sconfitte e i ‘compromessi’ politici.

In realtà, le profezie su Palestina e Israele non sono un fenomeno nuovo. La Palestina è stata colonizzata dai sionisti con l’aiuto della Gran Bretagna, anche sulla base di riferimenti biblici. Fu popolata da coloni sionisti che si richiamavano a riferimenti biblici dedicati alla restaurazione di antichi regni e al ‘ritorno’ di antichi popoli alla loro presunta e legittima ‘terra promessa’. Sebbene Israele abbia assunto molti significati diversi nel corso degli anni – percepito come un’utopia ‘socialista’ a volte, un rifugio liberale e democratico in altre – è sempre stato preoccupato da significati religiosi, visioni spirituali e inondato di profezie. L’espressione più sinistra di questa verità è il fatto che l’attuale sostegno a Israele da parte di milioni di fondamentalisti cristiani in Occidente è in gran parte guidato da profezie messianiche sulla fine del mondo.

Le ultime previsioni sull’incerto futuro di Israele si basano su una logica differente. Poiché Israele si è sempre definito come uno Stato ebraico, il suo futuro viene per lo più collegato alla sua capacità di mantenere una maggioranza ebraica nella Palestina storica. Per ammissione di Morris e di altri, questo sogno si sta sgretolando, in quanto la ‘guerra demografica’ si può considerare chiaramente e rapidamente sconfitta.

Naturalmente, la coesistenza in un unico stato democratico rimane sempre una possibilità. Purtroppo per gli ideologi sionisti di Israele, tale Stato difficilmente soddisferà le aspettative minime dei fondatori del Paese, poiché non esisterebbe più sotto forma di Stato ebraico e sionista. Infatti, perché la coesistenza abbia luogo, l’ideologia sionista dovrebbe essere eliminata del tutto.

Barak, Netanyahu e Morris hanno ragione: Israele non esisterà ancora a lungo come ‘Stato ebraico’. Parlando in termini strettamente demografici, Israele non è più uno Stato a maggioranza ebraica. La storia ci ha insegnato che musulmani, cristiani ed ebrei possono coesistere pacificamente e prosperare collettivamente, come hanno fatto in tutto il Medio Oriente e nella Penisola Iberica per millenni. Anzi, questa è una previsione –addirittura una profezia– per la quale vale la pena lottare.

Ramzy Baroud è un giornalista e direttore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, coeditato con Ilan Pappé, è “La nostra visione della liberazione: I leader e gli intellettuali palestinesi impegnati parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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