“Questo è apartheid”: un’intervista con il funzionario uscente delle Nazioni Unite per i diritti umani Michael Lynk

Mag 4, 2022 | Riflessioni

di David Kattenburg,

Mondoweiss, 3 maggio 2022.   

Il relatore speciale uscente dell’ONU Michael Lynk su come Israele sta praticando l’apartheid e sui passi che la comunità internazionale può fare per costringere Israele ad abbandonare il suo “sogno febbrile di insediamento coloniale”.

Michael Lynk parla ai giornalisti nella sede delle Nazioni Unite a New York, 26 ottobre 2017. (Foto: ONU)

Per coloro che tengono il conto, si è aperto un nuovo capitolo nella cronaca dell’apartheid israeliano. L’idea che Israele sia colpevole di questo grave crimine è ora ufficialmente pubblicata sul sito web dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, esposta in una raffica di rapporti e dichiarazioni scritte dall’avvocato canadese per i diritti umani Michael Lynk negli ultimi giorni del suo mandato di sei anni come ‘Relatore Speciale’ sulla situazione dei Diritti Umani nei Territori Palestinesi occupati dal 1967.

Il professor Lynk si è dimesso dal suo incarico il 1° maggio, sostituito dall’accademica italiana Francesca Albanese. I suoi rapporti, e quelli di due autorevoli commissioni delle Nazioni Unite ora al lavoro, saranno più difficili da ignorare o respingere per la comunità internazionale rispetto alle scoperte di ONG come B’Tselem, Human Rights Watch e Amnesty International.

Nei suoi sei anni come relatore speciale, Michael Lynk non ha mai moderato le sue parole, ma sapeva come tenere la polvere asciutta fino all’ultimo momento, con raffiche di colpi che nemmeno il New York Times poteva ignorare.

“Nel territorio palestinese che Israele ha occupato dal 1967”, ha scritto Lynk nel suo rapporto finale alla 49esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani (HRC), ora disponibile per la lettura e la meditazione di tutti sul sito dell’ONU, “ci sono ora cinque milioni di palestinesi apolidi che vivono senza diritti, in un grave stato di sottomissione, e senza un percorso verso l’autodeterminazione”.

“È stato stabilito [un] regime istituzionalizzato di oppressione e discriminazione razziale sistematica”, ha detto Lynk all’HRC. “Gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi vivono la loro vita sotto un unico regime che differenzia la sua distribuzione di diritti e benefici [sulla] base dell’identità nazionale ed etnica, e che assicura la supremazia di un gruppo su, (e a scapito del) l’altro… Questo è apartheid”.

Lynk ha riaffermato l’idea dell’apartheid israeliano in una dichiarazione del 22 aprile ora pubblicata sul sito web dell’ONU: “La radicata occupazione di Israele, che è diventata indistinguibile dalle pratiche di apartheid, è basata sulla discriminazione istituzionale di un gruppo razziale-nazionale-etnico su un altro”, si legge nella dichiarazione.

In una successiva dichiarazione pubblicata dall’HRC il 27 aprile, Lynk e altri quattro relatori speciali hanno ribadito l’idea dell’apartheid israeliano, in una dichiarazione che condanna le politiche israeliane sulla casa a Gerusalemme Est, che, hanno detto, “equivale chiaramente a segregazione in base alla razza, colore, discendenza o origine nazionale o etnica”.

Michael Lynk ha descritto il processo che ha portato alle sue dichiarazioni sull’apartheid in una lunga conversazione con Mondoweiss.

“Sono stato nominato sei anni fa e mi sono detto: non ho bisogno di parlare di apartheid. C’è molto spazio nell’ambito del diritto internazionale umanitario… per riuscire a persuadere i decisori diplomatici e politici che si occupano del conflitto israelo-palestinese di ciò che devono fare per porre fine all’occupazione. E realizzare la promessa di autodeterminazione palestinese. Se comincio a parlare di apartheid, li allontanerò, e non avrò alcuna influenza sulle decisioni prese soprattutto dai responsabili politici europei e nordamericani”.

Ma, nel corso degli anni, Lynk si rese conto che la presenza di Israele si era trasformata da “occupazione belligerante” –legale secondo il diritto internazionale, entro i limiti stabiliti dalla Quarta Convenzione di Ginevra del 1949– a un’annessione de facto e all’apartheid.

“Nel 2014, quando il piano di pace di Kerry è crollato, c’erano circa 370.000 coloni israeliani solo in Cisgiordania”, ha detto Lynk a Mondoweiss. “Ora, otto anni dopo, ci sono 480.000 coloni in Cisgiordania. Ci sono più di 700.000 coloni in tutto. Quando si aumenta la popolazione dei coloni tra venti e venticinquemila coloni all’anno, chi non può fare i suoi conti e capire che questo significa niente stato palestinese? Significa un’occupazione permanente che è diventata indistinguibile, come ho sostenuto nel mio ultimo rapporto, dall’apartheid”.

Nella sua dichiarazione del 22 aprile, Lynk ha definito l’occupazione permanente un “ossimoro legale”. Secondo Ginevra IV, le occupazioni sono intese come temporanee, e le potenze occupanti sono obbligate a salvaguardare gli interessi del “popolo protetto” che vive sotto il loro dominio. I tentativi di annettere un territorio occupato – per esempio trasferendo i propri cittadini nel territorio occupato– sono strettamente proibiti.

“L’occupazione americana del Giappone è durata circa dieci anni e poi è finita”, ha detto Lynk a Mondoweiss. “L’occupazione della Germania occidentale da parte degli alleati occidentali è stata di circa dieci anni. Anche l’occupazione americana dell’Iraq dopo il 2003 è stata nell’ordine di 9-10 anni… Tutto ciò che va oltre, in particolare se la potenza occupante mostra tratti acquisitivi, di voler mantenere alcuni o tutti i territori, è profondamente illegale secondo il diritto internazionale… Quindi, c’è un’enorme differenza, un’enorme spazio tra ciò che dovrebbe essere un’occupazione –temporanea, a breve termine– e ciò che è l’occupazione israeliana – permanente, per sempre, a tempo indeterminato”.

Quando la permanenza dell'”occupazione” di Israele è diventata evidente per Lynk, anche una serie di organizzazioni per i diritti umani si è fatta sentire: ONG israeliane e palestinesi come Al Mezan, Al Haq, B’Tselem e Yesh Din; pesi massimi internazionali come Human Rights Watch e Amnesty International, coronati infine da un rapporto dell’International Human Rights Clinic at Harvard Law School.

Alla fine, Lynk fece la svolta.

Test in tre parti per l’apartheid

Basandosi sulla Convenzione Internazionale del 1973 sulla Soppressione e Punizione del Reato di Apartheid e sullo Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale –le uniche convenzioni in cui l’apartheid è effettivamente definito– Lynk ha applicato un “test in tre parti” alla questione dell’apartheid.

In primo luogo, il sistema di Israele costituisce un “regime istituzionalizzato di oppressione e discriminazione razziale sistematica”?

“Questa è una domanda abbastanza semplice a cui poter rispondere per quanto riguarda i territori palestinesi occupati”, ha detto Lynk a Mondoweiss. “Ci sono 700.000 coloni ebrei che vivono in comunità di soli ebrei –trecento comunità a Gerusalemme Est e in Cisgiordania– che godono dell’intera gamma di diritti, benefici e privilegi della cittadinanza israeliana e che vivono nello stesso spazio politico e geografico di tre milioni di palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania che sono senza diritti e senza Stato”.

La seconda domanda di Lynk: Israele ha stabilito questo sistema “con l’intento di mantenere il dominio di un gruppo razziale su un altro”? Sì, ha concluso.

“Tutto quello che dovete fare è leggere quello che hanno detto i leader politici israeliani”, ha detto Lynk a Mondoweiss. “Naftali Bennett, l’attuale primo ministro d’Israele, dice: mi oppongo a uno stato palestinese e mi oppongo a qualsiasi tentativo di riavviare un processo di pace… Applichiamo la legge israeliana in Giudea e Samaria. Benjamin Netanyahu ha detto: Uno stato palestinese metterà in pericolo la nostra esistenza. Non dividerò Gerusalemme. Non evacuerò nessun insediamento. E mi assicurerò che abbiamo sotto controllo tutto il territorio a ovest del fiume Giordano”.

Avendo risposto sì alle prime due domande, Lynk è passato alla terza: il sistema di Israele comporta “atti inumani” volti a far rispettare il suo sistema? Lynk li ha elencati nel suo rapporto finale all’ONU: “uccisioni extra-giudiziali sancite dallo stato”, l’incarcerazione di migliaia di palestinesi senza un giusto processo, punizioni collettive, demolizioni di case e il blocco di Gaza, che Lynk descrive come “medievale”.

Poi c’è la violenza dei coloni, apertamente aiutata e sostenuta dai soldati israeliani, alcuni dei quali sono essi stessi coloni.

“La vita dei palestinesi è fatta per essere il più miserabile possibile”, ha detto Lynk a Mondoweiss

Azione internazionale per porre fine all’apartheid israeliano

Nonostante la montagna di prove che l’occupazione israeliana è qui per rimanere ed è diventata apartheid (l’occupazione israeliana è “di gran lunga il conflitto meglio documentato nel mondo moderno”, ha detto Lynk a Mondoweiss), la comunità internazionale non mostra alcuna volontà di attribuirne la responsabilità a Israele.

“Questo è probabilmente uno dei grandi misteri del mondo moderno: perché sappiamo così tanto dell’occupazione, e abbiamo proclamato così tante leggi rispetto all’occupazione, ma abbiamo fatto così poco a questo proposito. C’è un enorme divario tra le promesse e le azioni riguardo a questa occupazione”.

La frustrazione di Lynk come relatore speciale uscente è palpabile, ma non è senza speranza. Nel suo rapporto finale all’ONU, e nella sua dichiarazione del 22 aprile, propone misure per scuotere Israele dal suo “sogno febbrile di insediamento coloniale”, annessione de facto e apartheid.

La comunità internazionale dovrebbe ordinare a Israele di porre fine al suo blocco di Gaza, cessare tutte le attività di insediamento e rimuovere tutti i posti di blocco, le restrizioni sui permessi e altre misure che ostacolano la libertà di movimento dei palestinesi, dice Lynk.

Lynk vuole che l’ONU faccia rivivere il suo Comitato Speciale contro l’Apartheid, dormiente dal 1994, incaricandolo di indagare sulle situazioni di apartheid ovunque nel mondo.

Raccomanda che la questione dell’apartheid israeliano sia affrontata dalla Corte Penale Internazionale, e che sia sollecitato un parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia sulla legalità dell’occupazione di Israele – cosa su cui la Corte internazionale di giustizia non si è espressa nella sua decisione del2004 sul Muro.  

Lynk vuole anche che la comunità internazionale faciliti le elezioni palestinesi, e chiede l’adozione di un “processo di pace basato sui diritti”, volto a porre fine all’occupazione di Israele e a soddisfare il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.

“Se si segue la prassi di Madrid-Oslo, o la prassi della realpolitik, i palestinesi devono negoziare su quanti insediamenti è permesso a Israele di mantenere. E questo favorirà sempre Israele perché ha un dominio così schiacciante economicamente, politicamente, diplomaticamente e sul terreno”, ha detto Lynk a Mondoweiss.

“Ma se ci si basa su un approccio basato sui diritti, tutti gli insediamenti sono illegali e i palestinesi non devono negoziare su quanti insediamenti dovranno finire per ingoiare in qualsiasi accordo finale di pace. Il confine sarà quello del 1967. Israele deve negoziare per condividere Gerusalemme invece di dichiarare continuamente che Gerusalemme non è una questione sul tavolo e che tutta Gerusalemme è sua. Questo è ciò che un approccio basato sui diritti alla fine significa, se ci deve essere qualche speranza di una soluzione a due stati, che sembra piuttosto fioca in questi tempi”.

Assai fioca, infatti. Il paese di Lynk, il Canada (che nel 2016 si oppose alla sua nomina a Relatore Speciale), riconosce pubblicamente che l’impresa di insediamento di Israele è illegale, oltre ad essere un ostacolo alla “soluzione dei due stati” che il Canada dice di sostenere. Eppure, Ottawa estende volentieri il trattamento tariffario preferenziale ai prodotti degli insediamenti, e lo status di enti di beneficenza ai gruppi canadesi pro-insediamenti.

Alla fine, dice Lynk, i governi agiranno solo se posti sotto pressione.

“Penso che ciò che farà la differenza sarà la capacità della società civile dei paesi europei e dei paesi nordamericani di spingere i loro governi a prendere una posizione molto più forte rispetto all’ormai radicata occupazione”, ha detto Lynk a Mondoweiss.

I prossimi passi all’ONU

Il successore di Michael Lynk come Relatore Speciale sulla Palestina occupata, Francesca Albanese (la prima donna nominata a questa carica) potrebbe avere più fortuna. Come Lynk sei anni fa, la nomina di Albanese è stata condannata dalle lobby pro-israeliane dell’apartheid –vedi qui e qui.

Una cosa è certa: Israele bandirà Francesca Albanese, come ha fatto con tutti i relatori speciali da quando Richard Falk ha assunto l’incarico nel 2008.

Israele può bloccare i relatori speciali dell’ONU dall’entrare in quella che Michael Lynk chiama una “colonia interna”. Non può bloccare la pubblicazione dei loro rapporti sul sito dell’ONU.

Questi rapporti, a loro volta, saranno letti da altri investigatori dell’ONU. La Independent International Commission of Inquiry presieduta dalla sudafricana Navi Pillay (anche lei interdetta dall’ingresso in Israele) riferirà al Consiglio dei Diritti Umani il prossimo giugno, e all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre. Alla Commissione d’Inchiesta è stato chiesto di proporre misure “per garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario e della legge internazionale sui diritti umani”, con l’obiettivo di “evitare e porre fine all’impunità e garantire le responsabilità legali, compresa la responsabilità penale individuale e di comando”.

Poi c’è il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD), che dal 2018 si occupa delle denunce palestinesi di segregazione razziale e apartheid. La ‘Conciliation Commission’ del CERD sta ora valutando queste accuse, senza la cooperazione israeliana. Completato il suo lavoro, il CERD presenterà le sue conclusioni all’Assemblea Generale dell’ONU.

Conoscendo i rapporti di Michael Lynk, riportati ampiamente sul sito web dell’ONU sui Diritti Umani, il CERD e la Commissione d’Inchiesta di Navi Pillay potrebbero concordare che Israele pratica il “crimine di apartheid”. Se lo faranno, un altro capitolo potrebbe aprirsi nelle cronache dell’apartheid israeliano – indagini complete da parte della CPI e della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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