Un Negev beduino non è meno israeliano di uno ebraico

Gen 16, 2022 | Riflessioni

di Gideon Levy,

Haaretz, 13 gennaio 2022, 

La polizia ferma un uomo durante le proteste dei Beduini a Sa’wa, mercoledì scorso. Credit: Eliyahu Hershkovitz

La mentalità sionista è in modalità automatica: i Beduini si stanno appropriando del Negev. Poi si approprieranno dell’intero paese. Israele è in pericolo. Dobbiamo agire immediatamente. Con la forza, naturalmente. Vista dall’esterno sembra la vigilia di una guerra civile. Stranieri, separatisti, invasori, nemici all’interno che cercano di impossessarsi di una regione e strapparla allo stato.

In realtà questi sono cittadini dello stato, che lottano per i loro diritti su una terra che è tanto loro quanto lo è degli Ebrei. Al momento non hanno aspirazioni nazionali, ma il Negev era beduino ben prima di essere ebraico. Che cosa c’è di sbagliato? Bnei Brak [città israeliana abitata da Ebrei haredim] è haredi e il Negev è beduino. Gli abitanti dei kibbutz sono ashkenazi, e le development towns (nuovi insediamenti) sono mizrahi e russe. È così che vanno le cose in un sistema politico multinazionale e multiculturale. Ma quando gli Haredim costruiscono più quartieri e città per stessi, lo stato non li combatte. Quando i Beduini vogliono la loro terra per se stessi, sono un pericolo per lo stato.

Tutti i falsi slogan sionisti, assieme al vecchio modo sbagliato di fare le cose, sono mobilitati al servizio della causa, come se lo stato dovesse ancora essere fondato. Far fiorire il deserto, quel valore con il quale siamo cresciuti, significa farlo fiorire solo per gli Ebrei. Creare insediamenti nel Negev, un altro valore sionista ben curato, significa giudaizzarlo. Né creare insediamenti nel Negev né far fiorire il deserto interessa al sionismo. Solo la giudaizzazione gli interessa.

Bene, la giudaizzazione è l’altra faccia della pulizia etnica. Se far fiorire il deserto è un valore, e non è chiaro per quale motivo, che cosa c’è di sbagliato nel fatto che siano i figli del Negev a farlo fiorire, il popolo che conosce il deserto, è abituato a viverci, e lo ama più di chiunque altro? E se insediarsi nel Negev è un valore, e di nuovo non è chiaro perché, che cosa c’è di sbagliato se ci si insediano i Beduini? Non sono persone? Non sono israeliani? Allora almeno diciamolo.

E adesso, tirata fuori dalla naftalina, arriva la vecchia arma arrugginita sionista del ‘48: piantare. Così innocente che ti potrebbe commuovere. Coprire la terra di verde. È così sionista, e, adesso, anche così ambientalista. Alla vigilia del Tu Bishvat, il festival degli alberi, piantare nel Negev. Da bambini, per Tu Bishvat ci portavano al parco Gan Meir di Tel Aviv per piantare, ed era eccitante. Al tempo non sapevamo nulla. Non sapevamo che il denaro nelle scatole blu veniva usato per coprire il paese di pini, per nascondere i crimini del 1948 e le rovine silenziose, così che nessun Arabo potesse tornare alla propria casa, trasformata in un boschetto. Ora piantiamo un tale innaturale boschetto anche nel deserto.

Itamar Ben-Gvir ha già ricevuto dal rabbi Div Lior il permesso di piantare nell’anno shmita (il settimo anno del maggese in cui nel giudaismo è proibito piantare), e si affretta verso il Negev con gli alberelli nel baule. Il celebre docente di halachic Amit Segal, che è anche giornalista per Channel 12, ha decretato: “L’azione incomparabilmente naturale e sionista di piantare alberi non si fermerà.” Segal ha ragione. È così sionista e naturale piantare alberi per nascondere i crimini. In passato portavano perfino tutti gli ambasciatori stranieri a piantare “la foresta degli ambasciatori”, senza dire ai diplomatici che l’unico scopo della finta foresta era di bloccare l’accesso al sempre straziato villaggio di al-Araqib, finora demolito 183 volte.

“Noi costruiremo, pianteremo, svilupperemo. Loro bruceranno, distruggeranno, saboteranno. È così chiaro chi mantiene sacra questa terra,” ha affermato ipocritamente su Twitter Ofir Dayan. Perché come è possibile paragonare i prodigiosi coltivatori ebrei con gli animaleschi distruttori beduini? Piantiamo boschetti sui terreni privati a Kfar Shmaryahu [tipica città ebraica] o sulle rovine della casa di Dayan, e vedremo chi mantiene sacra la terra.

Abbiamo già sgombrato parzialmente il Negev una volta, nel 1948, e allo stesso modo stiamo cercando di cacciare i discendenti di quei rifugiati dai loro nuovi rifugi, nelle colline a sud di Hebron. Circa un quarto di milione di Beduini israeliani vive nel Negev. Questa comunità ha molti problemi sociali ed economici che richiedono diversi interventi. Le piantagioni malevole non sono uno di questi. Un Negev beduino non è meno israeliano di uno ebraico. Il giorno in cui lo riconosceremo, alcuni dei problemi si risolveranno da soli.

https://www.haaretz.com/opinion/.premium-so-what-if-the-negev-is-bedouin-1.10534583?fbclid=IwAR0HfnsWdUTgnDNQUoHXU0FhzWK3G2_s1fvU8w2OVaggJ_5y5cQ2BTHoW9w

Traduzione di Rossella Rossetto – AssoPacePalestina

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