Israele deve scegliere: ritirarsi dai territori occupati o concedere pieni diritti ai palestinesi che sono sotto il suo controllo

Gen 9, 2022 | Riflessioni

di Mairav ​​Zonszein,

The Washington Post, 6 gennaio 2022. 

Coloni israeliani sistemano una grande Stella di David in un avamposto vicino al villaggio palestinese di Beita in Cisgiordania, l’anno scorso. Majdi Mohammed/AP

Quando il nuovo presidente israeliano, Isaac Herzog, ha celebrato a dicembre la prima notte di Hannukah, accendendo candele nella città occupata di Hebron in Cisgiordania, dove circa 850 coloni israeliani vivono sotto protezione militare in mezzo ad oltre 200.000 palestinesi, ha offerto ancora un’altra offensiva testimonianza della brutale occupazione israeliana. Herzog ha parlato della necessità di denunciare “tutte le forme di odio e di violenza” in un luogo in cui la violenza sistematica contro i palestinesi è eclatante.

L’accozzaglia della coalizione israeliana che ha posto fine al mandato di Benjamin Netanyahu ha cercato di voltare pagina praticando all’estero una diplomazia rispettosa. In qualità di ministro degli Esteri, il politico centrista Yair Lapid ha cercato di ricucire le relazioni di Israele con i Democratici negli Stati Uniti e con i governi dell’Unione Europea, che Netanyahu aveva trattato con disprezzo, nel tentativo di rafforzare l’immagine di Israele come una democrazia liberale che gioca pulito. Questo approccio è gradito a molti funzionari occidentali che, comprensibilmente, data la loro esperienza con Netanyahu, sperano in un cambiamento. “Non dichiareremo immediatamente che tutti coloro che non sono d’accordo con noi sono antisemiti e odiano Israele. Non è così che si gestiscono le relazioni estere di un paese”, ha detto Lapid a luglio.

Ma quello stesso mese, dopo che Ben & Jerry’s ha annunciato che non avrebbe più venduto il suo gelato negli insediamenti che sono nei territori palestinesi occupati, dove risiedono illegalmente 670.000 israeliani, Lapid ha definito la mossa “anti-israeliana e antiebraica”.

Presentare un boicottaggio degli insediamenti come un boicottaggio di Israele cancella la distinzione tra i confini del 1948 di Israele riconosciuti a livello internazionale e la terra –e le persone– che ha occupato dal 1967. Sebbene la coalizione Naftali Bennett-Lapid dica di essere l’antidoto al governo di Netanyahu, sta continuando le stesse politiche di espansione degli insediamenti, demolizioni, minacce di sfratto, repressione di stato dei palestinesi e rifiuto di impegnarsi anche solo in una parvenza di processo politico. Il nuovo governo ha anche, tra l’altro, raddoppiato il processo di fusione tra Israele e Cisgiordania.

La ministra israeliana dell’Istruzione ha recentemente confermato la decisione del suo predecessore di rifiutare il Premio Israele al professore di matematica Oded Goldreich, perché quest’ultimo sostiene il boicottaggio dell’Università di Ariel, situata in un grande insediamento in Cisgiordania. “Non posso assegnare il Premio Israele per i risultati accademici, per quanto impressionanti, [a qualcuno] che chiede di boicottare Israele”, ha detto, accusandolo di boicottare “istituzioni accademiche in Israele”, anche se Ariel non è in Israele.

Il viceministro degli Esteri Idan Roll ha annullato gli incontri programmati con i funzionari belgi, dopo che il loro governo ha annunciato che avrebbe iniziato a etichettare i prodotti realizzati negli insediamenti: non un boicottaggio, solo trasparenza per i consumatori. Roll ha affermato che la decisione di etichettare i prodotti “rafforza gli estremisti, non aiuta a promuovere la pace nella regione e mostra che il Belgio non contribuisce alla stabilità regionale”. Il ministero degli Esteri ha rilasciato una dichiarazione definendo la mossa “anti-israeliana” e ha affermato che “è incoerente con la politica del governo israeliano incentrata sul miglioramento della vita dei palestinesi, sul rafforzamento dell’Autorità Palestinese e sul miglioramento delle relazioni di Israele con i paesi europei”.

Secondo questa logica, anche sotto un primo ministro che afferma di “ridurre” il conflitto, un ministro della Difesa che cerca di rafforzare l’economia palestinese e un ministro degli Esteri che sostiene una soluzione a due stati, la politica israeliana continua a controllare la Cisgiordania, legittimando insediamenti e mantenendo i palestinesi sotto un dominio militare, mentre professa di migliorare le loro vite.

Ciò prosegue l’annessione de facto dei governi precedenti e probabilmente ne aumenta un po’ il livello creando l’apparenza di un’annessione de jure. Non si tratta semplicemente di una continua espropriazione di terre (eludendo le implicazioni legali), ma di un atteggiamento che prevede che il resto del mondo accetti che i territori occupati fanno parte di Israele. Questo è uno dei motivi per cui il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem ha seguito l’esempio delle controparti palestinesi dichiarando un anno fa che Israele è un regime di apartheid.

I palestinesi e i loro sostenitori vengono rimproverati e persino puniti quando chiedono una Palestina libera “dal fiume al mare”. Un recente sondaggio mostra che i palestinesi che vivono in Cisgiordania ora preferiscono uno stato piuttosto che due. Ma le politiche quotidiane di Israele producono in realtà uno stato dal fiume al mare, dove gli ebrei hanno libertà che ai palestinesi sono negate.

La normalizzazione degli insediamenti israeliani e la cancellazione della Linea Verde non sono una novità. Si sono verificati costantemente da quando Israele ha iniziato a inviare suoi cittadini oltre la Linea dopo la guerra del 1967. Ma la nuova coalizione persegue questo programma mentre si presenta come in qualche modo più amichevole e più accettabile, cosa che riesce a fare impunemente a causa soprattutto dell’inazione internazionale.

Poiché Israele tratta la Cisgiordania come se fosse già parte del suo territorio sovrano, forse altri governi dovrebbero iniziare ad agire di conseguenza. Sebbene, in Israele, la politica -e la retorica- si siano allontanate drasticamente dal processo di pace, sul piano internazionale la politica e la retorica rimangono bloccate. Il mondo deve costringere Israele a scegliere: o si impegna a ritirare la sua presenza militare e civile dalla Cisgiordania fino ai confini precedenti al 1967, oppure deve garantire il diritto alla cittadinanza, la piena uguaglianza e il diritto di voto a tutti coloro che vivono sotto il controllo israeliano, almeno fino a quando non sarà tornata sul tavolo una vera soluzione negoziata.

Mairav ​​Zonszein è un’analista senior di Israele-Palestina per l’International Crisis Group.

https://www.washingtonpost.com/opinions/2022/01/06/israel-palestinians-occupation-full-rights-west-bank/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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