Perché aver messo Hamas nella lista nera danneggia la stessa politica di pace del Regno Unito

Nov 26, 2021 | Riflessioni

di Hugh Lovatt,  

+972 Magazine, 25 novembre 2021.   

Una mozione per etichettare l’intero movimento di Hamas come “terrorista” è un tentativo di ottenere punti politici a scapito di una strategia di pace per Israele-Palestina.

Palestinesi partecipano a una manifestazione di Hamas in occasione del 32° anniversario della sua fondazione, nel campo di Nusseirat nel centro di Gaza City, 15 dicembre 2019. (Hassan Jedi/Flash90)

Dopo un breve dibattito, mercoledì la Camera dei Comuni britannica ha approvato una mozione per mettere al bando l’intero movimento islamista palestinese Hamas come “organizzazione terroristica” ai sensi del Terrorism Act britannico del 2000. Fino ad ora, solo l’ala militare del gruppo, le Brigate Izz al-Din al-Qassam, era stata formalmente elencata come tale secondo la legge del Regno Unito.   

A prima vista, questa mozione, che ha ricevuto il sostegno di tutti i partiti, può sembrare a molti del tutto condivisibile. Ma una volta che la polvere si sarà depositata, rischia di confondere notevolmente il percorso verso la pacificazione in Israele-Palestina. 

I sostenitori hanno ragione nell’affermare che una designazione totale di questo tipo allinea il Regno Unito alle posizioni di vecchia data dell’UE e degli Stati Uniti su Hamas. Ma il disegno di legge del parlamento va anche molto oltre, creando una serie di reati penali che secondo la legge britannica sono punibili con reclusione e multe.

Questi reati includono l’appartenenza formale ad Hamas; esprimere un’opinione favorevole al gruppo, ad esempio indossando abiti in modo o in circostanze tali da destare ragionevoli “sospetti”; oppure organizzare un incontro privato con i membri del gruppo. Chiunque sia ritenuto colpevole di questi reati rischia fino a 14 anni di carcere. La legge ha anche giurisdizione extraterritoriale, il che significa che si applica ai cittadini del Regno Unito e ai residenti all’estero.

La mossa di mercoledì è stata motivata tanto da considerazioni interne quanto dalla proclamata lotta al terrorismo. Priti Patel, la ministra degli Interni del Regno Unito che è stata la forza trainante della legge, l’ha inquadrata come un imperativo per proteggere la comunità ebraica britannica, anche se Hamas non ha mai minacciato attacchi sul suolo britannico, né è noto che abbia compiuto attacchi al di fuori di Israele-Palestina (con la possibile eccezione della presunta organizzazione di evasioni carcerarie per liberare i suoi membri detenuti in Egitto).    

La commissione per la giustizia e gli affari interni dei Lord ascolta la ministra degli Interni Priti Patel, 27 ottobre 2021. (House of Lords 2021/Roger Harris/CC BY-NC-ND 2.0)

In fondo, la mossa è una buona politica per il partito conservatore di Patel, che gli consente di dimostrare forti credenziali pro-israeliane mentre segna punti contro il partito laburista rivale, il cui precedente leader Jeremy Corbyn è stato visto come un simpatizzante filo-palestinese che aveva rapporti affettuosi con Hamas. Tutto ciò, a sua volta, è indubbiamente positivo per la stessa Patel, che cerca di rafforzare la sua posizione all’interno del partito per le sue future ambizioni di leadership.  

Anche se il governo ha definito la proscrizione di mercoledì un passo importante per controllare Hamas, in realtà avrà scarsi effetti sulle operazioni di quel movimento. Il gruppo, che non ha una presenza formale nel Regno Unito, è stato sottoposto a una pletora di sanzioni per più di due decenni, comprese le sanzioni finanziarie dell’UE che si applicavano al Regno Unito mentre era membro dell’Unione Europea. Inoltre, il Regno Unito aveva già considerato un reato fornire denaro o altri beni a fini di terrorismo ai sensi dell’Allegato 3 del Terrorism Act, disposizioni che sono state ulteriormente rafforzate dall’Anti-Terrorism Crime and Security Act del 2001. 

È da notare che mentre l’elenco delle 78 organizzazioni proscritte include l’ormai defunta organizzazione Abu Nidal (un gruppo militante che negli anni ’70 si separò dal partito Fatah di Yasser Arafat), mancano dalla lista molti altri gruppi armati palestinesi. Assenti anche i talebani dell’Afghanistan e gli Houthi dello Yemen, entrambi coinvolti in violenze su vasta scala contro i civili (e nel caso dei primi, responsabili di aver ucciso membri delle forze armate britanniche).  

Tuttavia, la decisione di mercoledì potrebbe avere altre conseguenze interne più immediate: potrebbe spazzare via una serie di figure politiche e reti islamiste con sede nel Regno Unito che avrebbero legami incerti, o addirittura inesistenti, con Hamas. In Austria, ad esempio, una presunta repressione dei gruppi islamisti ha portato a raid della polizia contro individui “che appartengono e sostengono le organizzazioni terroristiche dei Fratelli Musulmani e di Hamas”, secondo i pubblici ministeri austriaci. Questo nonostante il fatto che la Fratellanza non sia considerata un’organizzazione terroristica dall’Austria o dall’UE e che i due gruppi abbiano pochi o nessun legame formale, nonostante un’ideologia islamista condivisa.  

Un interlocutore inevitabile

Soprattutto, però, la mossa del Regno Unito danneggia gli sforzi di risoluzione del conflitto. La domanda non è se Hamas sia “buono” o no. Il gruppo ha una chiara esperienza nel prendere di mira i civili: domenica, ad esempio, un membro di Hamas ha sparato con un mitra nella Città Vecchia di Gerusalemme Est occupata, uccidendo una guida turistica israeliana e ferendo altre persone.  

Razzi lanciati da militanti di Hamas a Gaza verso Israele, visti sopra la città centrale israeliana di Kiryat Gat, 18 maggio 2021. (Nati Shohat/Flash90)

L’organizzazione ha anche una lunga storia di lancio indiscriminato di razzi contro la popolazione israeliana, cosa che costituisce un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Nella Striscia di Gaza, dove Hamas governa dal 2007, il gruppo ha fatto affidamento su metodi autoritari per preservare il proprio potere, compiendo torture, arresti e altri atti repressivi per schiacciare il dissenso tra la sua stessa popolazione palestinese.  

La domanda che il Regno Unito dovrebbe invece porsi è come affrontare al meglio il gruppo per prevenire future violenze armate e promuovere autentici sforzi di pacificazione. Decenni di sanzioni internazionali, omicidi mirati e un blocco soffocante da parte di Israele non sono riusciti a raggiungere questo obiettivo, né hanno indebolito in modo decisivo Hamas. Il governo sembrava ammetterlo durante il dibattito parlamentare, osservando che, nonostante anni di sanzioni, Hamas continua ad avere “significative capacità terroristiche, compreso l’accesso a molte e sofisticate armi”.  

Nonostante ciò che il Regno Unito e Israele possano desiderare, Hamas rimane parte integrante del sistema politico palestinese, con un’ampia base di sostegno popolare. Non ci si può augurare che scompaia. Anche se è stata sottoposta a pressioni internazionali e regionali, la posizione interna di Hamas è rimasta forte, sostenuta dalla sua ultima guerra con Israele a maggio e dalla misera performance del suo eterno rivale Fatah in Cisgiordania. Il gruppo ha anche de facto il potere di governo nella Striscia di Gaza, ed è quindi un interlocutore inevitabile in ogni sforzo per prevenire un nuovo slittamento verso la guerra e per riabilitare la Striscia, una realtà sottolineata dai negoziati indiretti di Israele stesso con il gruppo.  

Il Regno Unito, tuttavia, è rimasto ai margini in tutto questo. A causa di una politica di lunga data di non contatto con Hamas da parte del Regno Unito e dell’UE, l’onere degli sforzi europei di mediazione e dialogo con Hamas è spesso ricaduto sulle organizzazioni della società civile europea, alcune delle quali hanno sede nel Regno Unito e/o sono composte da cittadini britannici. I contatti con Hamas si sono estesi anche ad ex alti funzionari britannici, compreso l’ex primo ministro Tony Blair

I canali secondari stabiliti da queste organizzazioni e individui hanno svolto in certi casi ruoli importanti ma discreti negli sforzi di mediazione, fornendo ai diplomatici europei e britannici preziose informazioni sul pensiero strategico di Hamas. Parallelamente a ciò, le organizzazioni britanniche che operano sul terreno hanno fornito aiuti umanitari cruciali in risposta alla crisi socioeconomica sempre più profonda di Gaza. Tutte queste attività cruciali saranno ora sottoposte a crescenti pressioni e a rischi legali sulla scia del voto di oggi. I diplomatici britannici, nel frattempo, brancoleranno ancora più nel buio.

I palestinesi ricevono aiuti alimentari in un centro di distribuzione delle Nazioni Unite (UNRWA) nel campo profughi di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, 14 giugno 2021. (Abed Rahim Khatib/Flash90)

Consapevole di questo, il Ministero degli Interni ha emesso un chiarimento legale nel 2015 secondo cui l’impegno “genuinamente benigno” con gruppi terroristici proscritti per promuovere gli sforzi di pacificazione e facilitare la consegna di aiuti umanitari non dovrebbe essere condannato. Come minimo, il governo deve riaffermare questa protezione e questo sostegno alle ONG britanniche coinvolte in attività così difficili. Cosa piuttosto allarmante, finora ha rifiutato di farlo.  

Tralasciando le azioni di Israele

Sembra che non ci sia stata una valutazione di alcuna di queste sfide da parte del governo, che si è invece affrettato ad approvare la legge di proscrizione meno di una settimana dopo la proposta di Patel. Tutto ciò evidenzia la mancanza di una vera politica britannica nei confronti di Hamas e del più ampio conflitto israelo-palestinese, specialmente in un momento in cui gli attori sul campo stanno ripensando alle proprie strategie politiche.  

In effetti, da anni figure moderate all’interno di Hamas hanno fatto dell’impegno con l’Europa una priorità assoluta. Da quando hanno vinto elezioni libere ed eque nel 2006, il movimento e i suoi leader si sono ripetutamente impegnati a una soluzione a due stati basata sulla creazione di uno stato palestinese sui confini del 1967 come formula di consenso nazionale. Attraverso il suo statuto aggiornato, pubblicato nel maggio 2017, Hamas ha anche cercato di prendere ufficialmente le distanze dalle sue precedenti posizioni antisemite. Damien Hinds, il ministro degli Interni che rappresentava il governo durante il dibattito parlamentare di mercoledì, ha riconosciuto che Hamas come corpo politico “non chiede più la distruzione di Israele”.        

Quest’anno, il gruppo si è anche impegnato per elezioni democratiche e ha presentato una piattaforma politica moderata. Le elezioni, tuttavia, alla fine sono state annullate dal presidente Mahmoud Abbas per paura che la sua frammentata fazione Fatah ottenesse cattivi risultati alle urne e che lui stesso potesse essere estromesso dalla presidenza da un rivale di Fatah.      

Ovviamente Hamas non è un movimento omogeneo e non tutti i suoi membri sposano posizioni relativamente moderate, riflettendo le varie tendenze e divergenze che esistono al suo interno. Nonostante ciò, il gruppo tiene continuamente conto delle dinamiche nazionali e internazionali per stabilire la sua direzione strategica. Alla fine, sceglierà la strada che crede possa meglio raggiungere i suoi obiettivi, primo fra tutti porre fine all’assedio israeliano di Gaza e all’occupazione.  

Yahya Sinwar, leader del movimento palestinese Hamas, gesticola durante una manifestazione a Beit Lahiya, 30 maggio 2021. (Atia Mohammed/Flash90)

L’obiettivo dell’azione internazionale dovrebbe quindi essere quello di incentivare e mettere alla prova le pretese di moderazione di Hamas. Tuttavia, avviando una mossa di così alto profilo contro il gruppo islamista, il Regno Unito ha effettivamente minato le voci moderate all’interno di Hamas e premiato i sostenitori della linea dura che sostengono che solo la violenza armata, non la diplomazia, può riuscire a sfidare l’occupazione militare di Israele. Parallelamente, la legge del Regno Unito complicherà ulteriormente gli sforzi già difficili per riunificare e riformare il sistema politico palestinese, che rimane una condizione sine qua non per uno Stato palestinese pienamente funzionante e per un accordo di pace sostenibile con Israele.  

Allo stesso tempo, il governo del Regno Unito continua a sorvolare ampiamente sulle azioni di Israele. Nonostante il cambio di governo in Israele e la rimozione di Benjamin Netanyahu dalla carica di primo ministro, Israele continua a rafforzare una situazione di apartheid attraverso la sua espansione incontrollata degli insediamenti e l’espropriazione dei palestinesi. Ha anche mantenuto un approccio laissez-faire alla violenza dei colonicriminalizzando le organizzazioni palestinesi per i diritti umani, oltre a molte altre politiche di questo tipo.     

Sebbene nulla di tutto ciò possa giustificare la violenza di Hamas contro i civili in violazione del diritto internazionale, è innegabile che le azioni israeliane rappresentano una minaccia esistenziale per ciò che resta della soluzione a due Stati, come ammette regolarmente lo stesso governo britannico, che però ha fatto ben poco per opporvisi.  

In definitiva, porre fine all’occupazione israeliana e portare all’autodeterminazione palestinese è la migliore garanzia per un futuro sostenibile. Negoziare la pace con i gruppi armati non è mai facile, come possono attestare gli sforzi di risoluzione dei conflitti in Yemen e in Afghanistan. Eppure processi di pace di successo in tutto il mondo, come in Colombia e in Irlanda del Nord, mostrano che tale impegno può portare ad accordi di pace. Ci si aspetterebbe che un governo britannico che proclama il suo impegno per la soluzione dei due Stati concentrasse i suoi sforzi su questi obiettivi, piuttosto che cercare di guadagnare punti sul piano nazionale.  

Hugh Lovatt è un borsista politico con il programma Medio Oriente e Nord Africa presso il Consiglio Europeo per le Relazioni Estere (ECFR).

https://www.972mag.com/hamas-uk-terrorism-peace/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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