Affari di stato: l’appropriazione indebita da parte di Israele della terra in Cisgiordania usando la violenza dei coloni

Nov 22, 2021 | Riflessioni

da B’Tselem,

B’Tselem Publications, novembre 2021. 

Israele ha costruito in Cisgiordania più di 280 insediamenti, che ospitano più di 440.000 coloni. Di questi insediamenti, 138 sono stati ufficialmente istituiti e riconosciuti dallo stato (senza includere i 12 quartieri che Israele ha costruito nelle aree che ha annesso a Gerusalemme), e circa 150 sono avamposti non ufficialmente riconosciuti dallo stato. Circa un terzo degli avamposti sono stati costruiti nell’ultimo decennio, la maggior parte dei quali vengono definiti “fattorie”.

Gli insediamenti in Cisgiordania dominano decine di migliaia di ettari a cui i palestinesi hanno un accesso limitato o nullo. Israele si è impadronito di alcune di queste aree usando mezzi ufficiali: emettendo ordini militari, dichiarando l’area “terra statale”, “zona di tiro” o “riserva naturale”, ed espropriando la terra. Altre aree sono state effettivamente conquistate dai coloni attraverso atti quotidiani di violenza, compresi attacchi fisici ai palestinesi e alle loro proprietà.

Le due modalità di acquisizione sembrano non essere collegate: lo stato si appropria apertamente della terra, usando metodi ufficiali sanciti da consulenti legali e da giudici, mentre i coloni, che sono anch’essi interessati ad appropriarsi della terra per sviluppare i loro progetti, iniziano la violenza contro i palestinesi per i loro specifici motivi. Eppure, in realtà, la strada è una sola: la violenza dei coloni contro i palestinesi serve come un importante strumento informale nelle mani dello stato per prendere sempre più terra in Cisgiordania. Lo stato sostiene e assiste pienamente questi atti di violenza, e i suoi agenti a volte vi partecipano direttamente. Come tale, la violenza dei coloni è una forma di politica governativa, aiutata e favorita dalle autorità ufficiali dello stato che vi partecipa attivamente.

Lo stato legittima questa realtà in due modi complementari:

A.     Legalizzando l’acquisizione della terra sottratta ai palestinesi con la violenza.

Decine di avamposti e “fattorie” –insediamenti a tutti gli effetti, costruiti senza autorizzazione formale da parte del governo e senza piani che consentano di costruirvi– ricevono il sostegno delle autorità israeliane e rimangono in piedi. Israele ha ordinato all’esercito di difendere gli avamposti o ha pagato per la loro sicurezza, ed ha asfaltato strade e fornito infrastrutture idriche ed elettriche per la maggior parte di essi. Ha dato il suo supporto attraverso vari ministeri governativi, la Divisione Insediamenti dell’Organizzazione Sionista Mondiale e i consigli regionali in Cisgiordania. Ha anche sovvenzionato imprese economiche negli avamposti, comprese le strutture agricole, ha fornito sostegno ai nuovi agricoltori e alla pastorizia, ha assegnato l’acqua e ha difeso legalmente gli avamposti contro le petizioni per la loro rimozione.

In passato, lo stato ha annunciato la sua intenzione di far rispettare in futuro la legge sugli avamposti e ha persino dato alla comunità internazionale assicurazioni in tal senso. Nel marzo 2011, lo stato ha annunciato che da allora in poi avrebbe fatto una distinzione ufficiale tra gli avamposti costruiti su terreni riconosciuti come proprietà privata dei palestinesi e terreni che Israele considera “terra di stato” o “terra sotto esame” (terreni che possono essere dichiarati “terra di stato”, anche se la dichiarazione non è ancora stata emessa). Lo stato ha affermato che aveva solo l’intenzione di rimuovere gli avamposti costruiti su terra palestinese di proprietà privata.  Questa distinzione, che non ha alcuna base giuridica, è stata accettata dalla Corte Suprema di Israele. Alla fin dei conti, quasi tutti gli avamposti rimangono al loro posto. 

B.     Legittimando la violenza fisica contro i palestinesi

Violenze commesse dai coloni contro i palestinesi sono state registrate fin dai primi giorni dell’occupazione in innumerevoli documenti e dossier governativi, migliaia di testimonianze di palestinesi e soldati, libri, rapporti di organizzazioni palestinesi, israeliane e internazionali per i diritti umani, e migliaia di racconti sui media. Questa ampia e coerente documentazione non ha avuto quasi nessun effetto sulla violenza dei coloni contro i palestinesi, violenza che ormai è diventata parte integrante della vita sotto occupazione in Cisgiordania. 

Gli atti violenti includono pestaggi, lanci di pietre, minacce, incendi di campi, distruzione di alberi e raccolti, furto di raccolti, uso di fuoco vivo, danneggiamento di case e automobili e, in rari casi, omicidi. Negli ultimi anni, i coloni delle cosiddette fattorie hanno cacciato con violenza gli agricoltori e i pastori palestinesi dai loro campi e dai pascoli e dalle fonti d’acqua che usavano da generazioni. Iniziano ogni giorno violenti alterchi e impauriscono le greggi dei palestinesi per disperderle.

L’esercito evita di affrontare i coloni violenti come regola politica, anche se i soldati hanno l’autorità e il dovere di trattenerli e arrestarli.  Di regola, i militari preferiscono allontanare i palestinesi dai loro terreni agricoli o dai pascoli piuttosto che affrontare i coloni, usando varie tattiche come l’emissione di ordini di ‘zona militare chiusa’ che si applicano solo ai palestinesi, o sparando gas lacrimogeni, granate stordenti, proiettili di metallo rivestiti di gomma e persino proiettili veri.  A volte, i soldati partecipano attivamente agli attacchi dei coloni o guardano in disparte.

L’inazione di Israele continua anche dopo gli attacchi dei coloni contro i palestinesi, e le autorità di polizia fanno del loro meglio per evitare di rispondere a questi incidenti. Le denunce sono difficili da presentare, e nei pochissimi casi in cui le indagini vengono effettivamente aperte, il sistema le chiude rapidamente. Accuse non vengono quasi mai presentate contro i coloni che fanno del male ai palestinesi e quando ciò avviene, di solito vengono citati per reati minori, con relative pene simboliche nel raro caso di una condanna.

Un colono israeliano mascherato e in pantaloni militari spara ai palestinesi accanto a un soldato. Urif, 14 maggio 2021.

Il nostro rapporto presenta cinque casi di studio che illustrano come la violenza continua e sistematica esercitata dai coloni sia parte della politica ufficiale di Israele, che guida l’acquisizione massiccia di terreni agricoli e pascoli palestinesi. Nelle testimonianze raccolte nella ricerca, i palestinesi descrivono come questa violenza mina le fondamenta della vita delle comunità palestinesi e diminuisce il loro reddito. I residenti descrivono come, senza protezione, sotto la pressione della violenza e della paura e senza altra scelta, le comunità palestinesi abbandonano o ridimensionano le loro vocazioni tradizionali come l’allevamento di pecore e capre o le varie coltivazioni stagionali, che hanno permesso loro di guadagnarsi da vivere dignitosamente e di vivere comodamente per generazioni. I residenti palestinesi rimangono lontani dai pascoli e dalle fonti d’acqua che un tempo servivano alle loro comunità, e limitano la coltivazione dei terreni agricoli. A quel punto, lo stato può impadronirsi della loro terra per i suoi scopi.

La violenza di stato – ufficiale e non – è parte integrante del regime di apartheid di Israele, che mira a creare uno spazio di soli ebrei tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Il regime tratta la terra come una risorsa destinata a servire il pubblico ebraico, e di conseguenza la usa quasi esclusivamente per sviluppare ed espandere le comunità residenziali ebraiche esistenti e per costruirne di nuove. Allo stesso tempo, il regime frammenta lo spazio palestinese, espropria i palestinesi della loro terra e li relega a vivere in piccole enclavi sovrappopolate.

La fattoria Um Zuqa è una delle sei “fattorie” create negli ultimi cinque anni dai coloni nella valle settentrionale del Giordano. La fattoria è stata costruita nel 2016 su un sito che ospitava il villaggio palestinese di Khirbet al-Mzoqah, che Israele ha demolito dopo l’occupazione della Cisgiordania. Secondo un calcolo preparato da Kerem Navot su richiesta di B’Tselem, i coloni della “fattoria” Um Zuqa hanno preso 1.498 ettari –circa due terzi della riserva naturale. I coloni della fattoria stanno già coltivando 9,9 ettari di questa terra. Foto di Eyal Hareuveni, B’Tselem.

Il regime di apartheid si basa su una violenza organizzata e sistematica contro i palestinesi, che è portata avanti da numerosi agenti: il governo, l’esercito, l’amministrazione civile, la Corte Suprema, la polizia israeliana, l’agenzia di sicurezza israeliana, il servizio penitenziario israeliano, l’autorità per la natura e i parchi di Israele, e altri. I coloni sono un’altra voce di questa lista, e lo stato incorpora la loro violenza nei propri atti ufficiali di violenza. La violenza dei coloni a volte precede i casi di violenza ufficiale delle autorità israeliane, e altre volte è incorporata in essi. Come la violenza di stato, la violenza dei coloni è organizzata, istituzionalizzata, ben equipaggiata e applicata per raggiungere un obiettivo strategico definito.

La combinazione di violenza di stato e violenza nominalmente non ufficiale permette a Israele di avere entrambe le cose: mantenere un negazionismo plausibile e dare la colpa della violenza ai coloni piuttosto che ai militari, ai tribunali o all’amministrazione civile, mentre avanza l’espropriazione dei palestinesi. I fatti, tuttavia, fanno saltare ogni plausibile negazione: quando la violenza avviene con il permesso e l’assistenza delle autorità israeliane e sotto i loro auspici, è violenza di stato. I coloni non stanno sfidando lo stato, stanno eseguendo i suoi ordini.

https://www.btselem.org/publications/202111_state_business

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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