Ricerca scientifica, istruzione superiore e diritto internazionale: la situazione nella Palestina occupata da Israele

Ott 9, 2021 | Riflessioni

di David Kattenburg,  

Scientists for Palestine, 1 ottobre 2021. 

Il Professor Imad Barghouthi, astrofisico della Al-Quds University

Una popolazione istruita e una capacità di ricerca scientifica avanzata sono fattori chiave per lo sviluppo nazionale di uno stato sovrano. Nessuno lo sa meglio di “Start-Up Israel”. Secondo una stima recente, Israele ha la terza popolazione più istruita al mondo (dopo Canada e Giappone). Per quanto riguarda i cinque milioni di palestinesi che vivono sotto un governo militare permanente, Israele onora questa verità violandola sistematicamente, impedendo cioè il loro accesso all’istruzione e la possibilità per gli scienziati palestinesi di condurre ricerche.

Questa politica ha radici profonde. In un recente articolo di Ha’aretz, Adam Raz, dell’Akevot Institute for Israel-Palestinian Conflict Research, cita un paio di documenti recentemente declassificati. “Il settore arabo deve essere tenuto al più basso livello possibile, in modo che non accada nulla”, disse il commissario di polizia Yosef Nachmias, in una riunione del febbraio 1960 dei capi della sicurezza israeliana. “Finché sono istruiti a metà, sto tranquillo”, disse il capo dello Shin Bet Amos Manor. Bisogna quindi sostenere solo strutture sociali tradizionali “arabe”, aggiunse, al fine di “[rallentare] il ritmo del progresso e dello sviluppo”. Infatti, sottolineava Manor, “Le rivoluzioni non sono fomentate dal proletariato, ma da un’intellighenzia ingrassata”. Con questo in mente, Manor consigliava che “tutte le leggi devono essere applicate, anche se non sono piacevoli” e che “i mezzi illegali dovrebbero essere considerati [dalle autorità] solo quando non c’è scelta, e anche allora – solo a una condizione: che ci siano buoni risultati”. Probabilmente Manor si riferiva alle leggi interne israeliane che potrebbero essere usate per opprimere gli intellettuali palestinesi. Potrebbe anche aver avuto in mente il diritto internazionale, che dovrebbe essere ignorato. In quanto Stato membro delle Nazioni Unite, Israele è obbligato a rispettare le disposizioni della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 che garantisce il diritto all’istruzione 1. “Tutti hanno diritto all’istruzione”, afferma l’articolo 26 della Dichiarazione Universale. “L’istruzione tecnica e professionale deve essere resa accessibile a tutti e l’istruzione superiore deve essere ugualmente accessibile a tutti sulla base del merito”.

Sei anni dopo i commenti di Manor, Israele è stato tra i primi a siglare il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali 2, aderendo formalmente al Patto nel 1991. Tuttavia, dopo la conquista nel 1967 della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e di Gaza , Israele ha preso la posizione che il Patto non si applica in questi territori. Si trovano al di fuori del territorio sovrano israeliano, sosteneva Israele, estendendo nel contempo i diritti del Patto ai coloni ebrei in Cisgiordania. Quali sono questi diritti del Patto? L’articolo 13, paragrafo 1, recita: “Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo all’istruzione”. L’articolo 13 (2) (c) afferma: “L’istruzione superiore deve essere resa egualmente accessibile a tutti, sulla base delle capacità, con ogni mezzo appropriato…” E l’articolo 15 (3) afferma: “Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà indispensabile alla ricerca scientifica e all’attività creativa”. 

Il comitato delle Nazioni Unite responsabile dell’amministrazione del Patto ha accusato Israele per il suo rifiuto di estendere i diritti del Patto ai palestinesi. Nelle sue “Osservazioni Conclusive” del novembre 2019 sul 4° Rapporto Periodico di Israele 3, il Comitato ha espresso preoccupazione per “l’accesso limitato degli studenti [palestinesi] all’istruzione”, la “frequente demolizione di edifici scolastici e la confisca dei locali scolastici”, “perquisizioni armate o non armate di scuole palestinesi e la “frequente incidenza di molestie o minacce contro studenti e insegnanti da parte delle forze di sicurezza o dei coloni israeliani ai posti di blocco o lungo le strade, che ostacolano particolarmente le studentesse”. Il comitato delle Nazioni Unite ha anche espresso preoccupazione per “il divieto generale di istruzione in Cisgiordania imposto dal 2014 agli studenti della Striscia di Gaza” e “il grave impatto della lista [israeliana] dei dispositivi a duplice uso sulla capacità degli studenti nella Striscia di Gaza di godere del proprio diritto all’istruzione, in particolare nei campi della scienza e dell’ingegneria.” 

A questi commenti fanno eco gli scienziati palestinesi. Un caso recente e drammatico è quello del professor Imad Barghouthi, astrofisico dell’Università Al-Quds, nel quartiere di Abu Dis a Gerusalemme Est. Il dottor Barghouthi è stato arrestato tre volte dalla polizia di sicurezza israeliana. Nell’occasione più recente, il 16 luglio 2020, le autorità israeliane hanno accusato Barghouthi di “incitamento” per i suoi post su Facebook. Dopo 52 giorni di reclusione, un giudice israeliano ha stabilito che i post sui social media di Barghouthi non costituivano incitamento. Allora la polizia israeliana ha optato per la “detenzione amministrativa”, una pratica di routine per incarcerare i palestinesi a tempo indeterminato, senza accuse. Barghouthi ha trascorso dieci mesi e mezzo in carcere, all’interno di Israele, in violazione dell’articolo 76 della Quarta Convenzione di Ginevra.

Gli studenti di Al-Quds hanno sofferto in sua assenza. Nessun altro poteva tenere i suoi corsi di elettromagnetismo, fisica nucleare e molecolare, elettrodinamica, meccanica statistica, fotodinamica o fisica del plasma. Vedendosi negato l’accesso a Internet, Barghouthi ha usato un vecchio telefono Nokia per comunicare con i suoi studenti, chiedendo loro di citare il tal documento, risolvere quell’equazione o contattare questo o quell’altro ricercatore. Barghouthi è stato finalmente rilasciato nel novembre 2020, sotto una cauzione di $ 15.000 ed è stato diffidato dal pubblicare ancora su Facebook. Dopo il suo rilascio, in un’intervista con il membro di Scientists for Palestine (S4P) Mario Martone, Barghouthi ha raccontato le tante sfide del fare scienza sotto l’occupazione militare. Ci sono molte università palestinesi, ma poche scoperte o pubblicazioni, ha detto. Ottenere attrezzature e libri di testo è una sfida enorme. Soprattutto, la scienza palestinese soffre di una mancanza di diversità nella sua componente umana. In Europa e Nord America, i ricercatori e i loro studenti provengono da tutto il mondo. Al contrario, lasciare la Cisgiordania, e soprattutto Gaza, può essere un ostacolo insormontabile. E, naturalmente, “agli israeliani non piace se un accademico è anche politicamente attivo”, ha detto Barghouthi. 

Yousef Najajreh è Professore Associato di Chimica Farmaceutica presso la Facoltà di Farmacia dell’Università Al-Quds, ad Abu Dis, alla periferia di Gerusalemme Est, specializzato in nuove terapie antitumorali. La sua ricerca è di prim’ordine, e coinvolge l’identificazione di inibitori enzimatici allosterici, composti antitumorali a base di platino e sistemi di rilascio di nanoparticelle. Sarebbe ancora più innovativa se fosse fuori dalla Palestina. Come si può gestire un laboratorio di chimica medica senza strumenti avanzati per NMR, diffrazione a raggi X, colture di tessuti, cromatografia o reagenti organici e biologici essenziali, chiede Najajreh. Durante una visita all’Ecole Polytechnique di Losanna, Najajreh si è meravigliato della mezza dozzina di apparecchiature NMR allineate una accanto all’altra in un corridoio e degli armadi pieni di reagenti organici. Mentre l’Autorità Palestinese può essere criticata per la sua mancanza di una strategia di ricerca o di un budget (il quaranta per cento del bilancio annuale dell’AP è dedicato a fornire “sicurezza” a Israele), Israele ha la colpa ultima, dice Najajreh. Le attrezzature di laboratorio e i reagenti disponibili devono essere ottenuti dagli agenti israeliani per i fornitori internazionali o dagli agenti palestinesi per gli agenti israeliani. Gli articoli “a duplice uso”, alcuni semplici come il glicerolo, sono vietati. E ricercatori come Najajreh che non hanno un permesso di ingresso a Gerusalemme per ritirare un ordine da un agente israeliano (che non può o non vuole venire ad Abu Dis) devono chiedere a un intermediario di andare a prendere il prodotto. Poi c’è la dimensione umana. I visti di tre mesi per visiting professor o studenti non sono sincronizzati con il semestre palestinese di 16 mesi. E chiunque simpatizza per la causa palestinese si vede negato l’accesso all’aeroporto Ben Gurion o all’Allenby Bridge se viene dalla Giordania. Anche all’interno di Gerusalemme (la “capitale eterna e indivisa”), gli studenti e i professori di Al-Quds hanno enormi difficoltà a spostarsi dai campus di Abu Dis e di Gerusalemme Est a Beit Hanina o Wadi Joz. Al contrario, gli istruttori, gli amministratori e gli studenti di Gerusalemme che tornano a casa dal campus di Abu Dis sono regolarmente obbligati a scendere dall’autobus per i controlli di “sicurezza”. Per finire, i soldati israeliani e la polizia di frontiera invadono regolarmente il campus di Abu Dis, sparando gas lacrimogeni e trascinando via gli studenti.

In una conversazione su Zoom, Yousef Najajreh ha detto: “[In un laboratorio di ricerca europeo o nord-americano] hai questo gruppo di chimica sintetica che interagisce con il gruppo di biologia, con un gruppo di chimica computazionale, con un ricercatore di intelligenza artificiale … con qualcuno che lavora sui modelli animali… una rete di ricerca. Ciò che io non posso fare… Non importa quale rete voglio fare, ci sono sempre dei vuoti”. “Essere un professore non significa nulla per la signora seduta sull’Allenby Bridge. O per il soldato o la polizia di frontiera… Se vogliono interrogarti, ti interrogano; se vogliono lasciarti indietro, ti lasciano indietro; possono fermare un professore come Imad Barghouthi al confine, e [incarcerarlo] perché è politicamente attivo… Io sono stato perquisito più volte e mi hanno tolto tutto; la mia cintura, le mie scarpe, come ogni palestinese… Essere un professore universitario non ti dà nessun privilegio”. “A volte si arrabbiano, a volte ti sospettano di certe cose… La realtà è che se vai alla tua università, ogni giorno che torni a casa vieni perquisito, e devi mostrare la tua carta d’identità a qualcun altro che in realtà è il tuo occupante… vorrei vedere un americano che va alla sua università e tornando a casa deve mostrare, non so cosa, e ogni volta la sua carta d’identità, viene perquisito; fatto scendere dall’autobus, salire sull’autobus… Alla fine è un tormento”. “Cosa è facile in Palestina?  Cosa è facile fare? Guidare su strada non è facile. Andare al supermercato non è facile. No, fare scienza in Palestina è come un miracolo, ammesso che tu riesca a fare scienza». “L’intero ambiente ostacola i tuoi progressi”. “Il modo in cui funziona l’intero sistema ti sta facendo veramente impazzire.”

Il professor Mazin Qumsiyeh, biologo, si descrive come un “beduino nel cyberspazio” e “un paesano in casa”. Qumsiyeh è il fondatore e direttore volontario del Museo Palestinese di Storia Naturale e dell’Istituto Palestinese di Biodiversità e Sostenibilità, affiliato all’Università di Betlemme. Insieme al collega Jessie Chang e ad altro personale, Qumsiyeh studia la biodiversità, il patrimonio culturale e la permacultura palestinesi. I loro programmi educativi popolari si concentrano sui bambini in età scolare e sulle comunità emarginate. In una e-mail, Mazin Qumsiyeh ci ha offerto queste riflessioni sulla scienza in Palestina: “Israele è il potere occupante/colonizzante e non ha interesse a consentire una vita normale per la popolazione locale, compreso il progresso economico basato sulla scienza”. “La vera ricerca scientifica fa progredire la conoscenza che avvantaggia gli esseri umani… La conoscenza nativa/indigena promuove gli interessi locali e quindi è combattuta da coloro che mirano al controllo della terra e delle risorse naturali”. “Non abbiamo libertà per importare, ad esempio, attrezzature e materiale scientifico. Anche i libri superano raramente i controlli quando li ordiniamo. Tutto passa attraverso la dogana e il controllo israeliano in modo da ostacolare il più possibile”. “Ai colleghi ricercatori può essere negato l’ingresso (la maggior parte deve mentire al confine e dire che sono turisti). Solo gli scienziati che collaborano con gli israeliani ricevono una considerazione speciale”. “Il sionismo, fin dal suo inizio, ha condotto una guerra alla cultura e all’istruzione ed essenzialmente a tutte le sfere della vita dei palestinesi perché era interessato ad avere la terra senza il popolo. Pertanto, la distruzione delle persone e di qualsiasi pilastro di sostegno per le popolazioni indigene è stata un’attività chiave per i colonizzatori… Ci sono attacchi diretti a qualsiasi attività culturale e persino smantellamento di centri e istituzioni che preservano la cultura.” 

“Abbiamo programmi molto diversi. Noi attuiamo i nostri programmi (emancipazione giovanile, ecc.), nonostante le sfide dell’occupazione. Loro sradicano e noi ripiantiamo (sia in senso reale che metaforico)”

(1) La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: https://www.ohchr.org/en/udhr/documents/udhr_translations/eng.pdf 

(2) International Covenant on Economic , Diritti sociali e culturali: https://www.ohchr.org/en/professionalinterest/pages/cescr.aspx 

(3) Osservazioni conclusive sul quarto rapporto periodico di Israele: h ttps://digitallibrary.un.org/record /3865447?ln=it 
 

https://mail.google.com/mail/u/0/?shva=1#inbox/WhctKKXGxRDwgnVkHZbVVLqPgfmcBMCxjqgLJZQhwNtlXqrGfBhjjShjwblMJqjGZnVMCFb

Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina

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