Arte e Violenza: Il tempo che ho passato con Zakaria Zubeidi a Jenin

Ott 5, 2021 | Riflessioni

di Udi Aloni,

Mondoweiss, 1 ottobre 2021.     

Udi Aloni racconta alcune storie sulla natura dell’arte e sulla resistenza che risalgono al tempo da lui passato con Zakaria Zubeidi al Jenin Freedom Theatre.

Zakaria Zubeidi con suo figlio nel 2010. (Foto: Udi Aloni)

Introduzione: riuscivo a malapena a respirare.

Quando ho letto della fuga dalla prigione di Zakaria Zubeidi e dei suoi amici, mi sono tornati subito in mente i ricordi del Freedom Theatre. Nel 2010-11 ho lavorato per un anno nel campo profughi di Jenin, aiutando il teatro del mio amato amico Juliano Mer Khamis fino al giorno del suo omicidio. Dopo l’assassinio di Juliano ho continuato a lavorare con i suoi amati studenti a Ramallah per altri due anni, girando un film e mettendo in scena “Waiting for Godot”, ma ho perso il contatto con Zakaria.         

Quando ho visto l’immagine di Zakaria in ginocchio, con le mani legate, con gli occhi bendati, mi son sentito paralizzato e riempito di una tristezza così profonda che a malapena riuscivo a respirare.      

Ora voglio condividere qui tre ricordi di Zakaria dal campo profughi, dedicati a tutti i prigionieri politici che anelano alla libertà.

L’intifada culturale

Undici anni fa mi sono trasferito a Jenin, a casa di Zakaria Zubeidi, per aiutare il mio amato amico Juliano Mer Khamis al Freedom Theatre. Il mio lavoro era quello di insegnare cinema.

Uno dei miei studenti, Mustafa, voleva filmare un inseguimento automobilistico notturno tra le strette vie del campo, al termine del quale il protagonista uccide Mariam, in un atto di misoginia. L’unico che era in grado di guidare in retromarcia per le strade del campo era Zakaria. E così, nel cuore della notte, abbiamo filmato Zakaria mentre saliva sulla Toyota rossa che apparteneva nientemeno che a mia madre. La persona più ricercata in Israele se ne stava andando in un’auto appartenente all’ex ministra israeliana dell’Istruzione, Shulamit Aloni.

Quando siamo arrivati ​​nel luogo in cui avrebbero dovuto svolgersi le riprese, ho insistito per un’illuminazione adeguata, visto che ero l’insegnante di cinema. Nessun problema, hanno detto gli studenti, e hanno rubato (o smontato) una lampada ad arco particolarmente potente dal teatro e l’abbiamo collegata all’impianto elettrico a casa di Zakaria. L’illuminazione era un po’ drammatica, e io tenevo in mano la lampada, cercando di puntarla per produrre un effetto naturale per il defunto attore Rabia (che era uno dei guerrieri di Zakaria, ma che dopo essersi preso tre proiettili nei reni è diventato un attore di teatro, dove ha trovato la sua felicità e poi la sua morte). Ad ogni modo, ho puntato la luce sulla mano di Rabia che reggeva una pistola, perché doveva sembrare che stesse sparando con la pistola di Zakaria, e che Mustafa stesse scattando una foto ravvicinata. Ho spiegato che avrei insegnato agli studenti come creare un effetto di sparo il giorno successivo nella sala di montaggio. Mustafa ha rifiutato e ha sostenuto che se il bossolo del proiettile non fosse stato espulso dalla pistola, tutti avrebbero capito che era un falso! Zakaria non ha aspettato un secondo e ha detto: “Nessun problema, caricherò la pistola con proiettili veri, Mustafa potrà fotografarmi in primo piano mentre sparo e poi staccherò su Rabia in campo lungo come se fosse lui a sparare.” Sono rimasto un po’ scioccato dalla conoscenza del cinema di Zakaria, e prima che potessi dissentire lui aveva già caricato la cartuccia ed era pronto a sparare. Tenevo ancora la lampada ad arco con le braccia alzate, puntando sulle mani di Zakaria, e Mustafa stava preparando lo scatto con la nostra fotocamera Sony. Era l’una di notte. 

Improvvisamente mi sono reso conto che, se l’esercito fosse entrato nel campo, come ha fatto molte volte prima, avrebbero visto il sottoscritto con le mani alzate che reggeva una lampada ad arco e Zakaria Zubeidi che impugnava un’arma carica, e probabilmente sarebbe finita molto male! Ad ogni modo, un ebreo paffuto con le mani alzate in aria con in mano una lampada nel mezzo della notte mentre una pistola carica viene puntata su di lui nel campo profughi di Jenin sarebbe sembrato un vero rapimento piuttosto che un film. Ma mentre questi pensieri terrificanti turbinavano nella mia testa, improvvisamente sono scoppiato a ridere. Juliano era appena arrivato con una bottiglia di Black Label, ammirando il set che avevamo creato nel bel mezzo della notte, e mi ha chiesto cosa ci fosse di così divertente.

E ho risposto che all’improvviso mi ero reso conto che questa era la scena che spiegava tutto: Zakaria Zubeidi, personaggio della seconda intifada, spara con una pistola mentre Mustafa riprende la scena con la sua macchina fotografica, autenticando così la visione di Juliano secondo cui la terza intifada sarà un’intifada culturale, e nella staffetta dell’intifada il testimone passerà dalla pistola alla fotocamera. E il mio ruolo nel Freedom Theatre si ridusse semplicemente a insegnare agli studenti come illuminare adeguatamente quell’evento fondativo.

Udi Aloni (sin.) e Juliano Mer Khamis

Un imbroglione bi-nazionale

Dopo aver visitato il Freedom Theatre di Jenin e aver tenuto una conferenza agli studenti sul film “Forgiveness”, Juliano e gli studenti mi invitarono a gestire il dipartimento di cinema e a insegnare cinema al Freedom Theatre. Per qualche ragione, mi sembrò perfettamente naturale trasferirmi a Jenin con Juliano. Chiunque conosca il suo carisma capisce che dire “sì” non è meno logico che dire “no” a una simile offerta.    

Quando sono arrivato ho capito che avrei vissuto nell’appartamento di Zakaria Zubeidi, mentre Juliano viveva nella casa di fronte, e che avremmo condiviso un cortile comune. La sera prendevamo il tè insieme e parlavamo della cultura rivoluzionaria e del futuro. Una sera durante le mie prime settimane a Jenin, Zakaria è arrivato con il suo bambino e un fucile. Juliano ha detto a Zakaria che il suo bambino era davvero bello e che lui non doveva essere duro come lo era stato suo padre. E per qualche ragione Zakaria ha ritenuto appropriato dire che se il bambino fosse diventato gay lo avrebbe ucciso, sapendo che ciò avrebbe scioccato la mia psiche progressista.       

E infatti pensavo tra me e me che non ero nel posto giusto. Perché alla fine sono un ebreo bianco progressista privilegiato che pensa di fare ciò che è buono agli occhi di Dio, ma non è realmente connesso alla realtà delle cose. Juliano ha capito cosa mi passava per la testa, e subito ha risposto a Zakaria con una contro-provocazione: “Ma Zakaria, anch’io ho dormito con degli uomini, e allora uccideresti anche me?” Ero un po’ spaventato. Avevo trascorso due settimane nel campo, ero venuto per mostrare solidarietà alla Palestina, non per affrontare l’omofobia, e non facendo una risata, e certamente non quando c’era un fucile nelle mani di qualcuno seduto davanti a me! Zakaria si ferma, mi guarda e guarda Juliano. Io guardo Juliano, gli faccio segno di fermarsi ma lui ride. Poi Zakaria mi guarda e chiede: “Anjad, ya Udi ?” che significa “è vero, Udi?”

Non sapevo cosa dire, né sapevo se Juliano stesse dicendo la verità o solo provocando Zakaria. Quindi, cerco di cambiare argomento e, come se stessi imparando l’arabo, chiedo qual è la risposta corretta ad anjad ? Ma Juliano non mi lascia schivare il problema, sa che se la faccenda non si risolve, lascerò il campo perché è semplicemente una sfida troppo grande per me, se devo far fronte a tante lotte contrastanti. Allora Juliano mi guarda e dice: “Raccontagli del Bacio della Donna Ragno e di me…” e fa una risata da imbroglione che lo rende ancora più bello di quanto non fosse già, e mi rendo conto che sto prendendo parte al gioco, e non ho scampo da esso, e mi faccio coraggio. E così dico a Zakaria che Juliano, qualunque cosa reciti a teatro, lo sente come fosse nella sua vita. Non fa distinzione tra recitazione e realtà: per Juliano sono un tutt’uno. Quindi, solo quando ha interpretato Il Bacio della Donna Ragno ha dormito con uomini. Juliano ha ammirato la mia ingegnosità mentre io stavo tremando di rabbia per la situazione. Poi Zakaria guarda me e Juliano e chiede ancora “anjad?

Il resto della conversazione, tra l’altro, si svolge in fluente ebraico, solo l’anjad è in arabo. E noi gli rispondiamo: “sì”. Poi Zakaria chiede a Juliano: “Perché non me l’hai mai detto? Allora, ovviamente non ucciderò mio figlio se è gay”, e scoppia a ridere, andando qua e là, e solleva il bambino con una mano in aria e dice che sarà quello che vuole – libero come Juliano!

E così sono rimasto nel campo per un altro anno, imparando piano piano come essere un imbroglione bi-nazionale e non scappare dalle contraddizioni interne.

Alice nel paese delle meraviglie

Il Freedom Theatre è stato fondato da Juliano Mer Khamis nel cuore del campo profughi di Jenin e lì la vita era come un’infinita meravigliosa avventura da Alice nel Paese delle Meraviglie, grazie al carisma e al talento drammatico di Juliano. Juliano ed io vivevamo sulla collina alla fine del campo nella casa di Zakaria Zubeidi, da dove si poteva osservare tutto il campo. Sapevamo quando l’esercito israeliano entrava e quando le forze di sicurezza dell’AP se ne andavano. Zakaria, anche lui non privo di carisma, era un narratore di storie con cui io personalmente, in quanto preferisco le lotte disarmate, non mi trovavo così a mio agio, ma come regista non ho potuto fare a meno di rimanerne affascinato, forse come ispirazione per un futuro film che Juliano voleva fare, “Antigone in Jenin”.      

A quel tempo stavamo lavorando alla commedia Alice nel Paese delle Meraviglie, scrivendo di notte ciò che Juliano provava durante il giorno, e io guidavo ancora la Toyota rossa di mia madre. Una tarda mattina, mentre stavo per scendere a teatro, Zakaria mi ha chiesto di dargli un passaggio, e quando gli ho aperto lo sportello è entrato con un kalashnikov. (So ​​che nelle foto ha un M16, ma per qualche motivo io ricordo un kalashnikov.)  

Mariam Batoul come la regina rossa nella produzione del Freedom Theatre di Alice nel paese delle meraviglie.

Ho esitato per un momento. Gli ho detto che non mi sentivo a mio agio nel portarlo in macchina con un kalashnikov. Ero venuto per aiutare in una lotta culturale. Proprio il giorno prima, Juliano aveva parlato con Zakaria del passaggio dalla lotta armata al BDS e all’azione culturale per creare un ambiente di lotta non violento. Quando era già in macchina, Zakaria ha cominciato a spiegarmi perché una lotta armata è giustificata. Ho risposto che credo che la lotta armata per la libertà sia spesso giustificata, ma non sempre necessaria. Ma soprattutto io, come ebreo israeliano, sono solo disposto ad aiutare in una lotta disarmata, perché per me l’amore per la Palestina e l’amore per Israele sono la stessa cosa, e non accetterò di avere nella mia macchina armi che potrebbero essere puntate contro la mia gente.      

Zakaria mi ha guardato per un momento, drammaticamente in silenzio, ha sorriso e ha detto: “Rispetto questo pensiero, anch’io ora faccio parte di una lotta culturale e disarmata”. Ed è tornato a casa per lasciare il fucile. Quando è tornato si è seduto in macchina e ha detto: “Solo non chiedermi di allacciare il sedile”. Poi ho visto una pistola che gli sporgeva dalla cintura.     

Io guardo, lui guarda, e poi Zakaria sorride e dice: “Ascolta Udi, non ho preso il kalashnikov perché rispetto il tuo desiderio di non portare nella tua macchina un’arma che possa danneggiare la tua gente, anche se siete nel mio campo. Ma questa pistola non deve essere usata contro altri, questa pistola è solo per far in modo che, se i soldati sotto copertura mi prendono, o qualcosa del genere, io possa avere il tempo di piantarmi una pallottola in testa. Perché non tornerò nella loro prigione».  

E poi ha promesso che in ogni caso sarebbe saltato fuori dall’auto in tempo per non sporcare la tappezzeria della macchina con il suo sangue. Ed entrambi ridevamo quando l’auto ha iniziato a scendere dalla collina verso il teatro per vedere le prove di Alice nel Paese delle Meraviglie.      

Udi Aloni è un regista, scrittore e artista il cui lavoro si concentra sulle interrelazioni tra arte, politica e teologia nella storia israelo-palestinese e nella filosofia ebraico-tedesca. I suoi film e progetti di arte visiva sono stati presentati in vari importanti musei, gallerie e festival cinematografici in tutto il mondo. Il suo nuovo film “Why is We Americans?” avrà la sua anteprima mondiale all’American Black Film Festival nel novembre 2021.

Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina

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