Israele ha un nuovo “Arabo buono” nel Governo

Giu 7, 2021 | Riflessioni

di Rami Younis

+972 magazine, 3 giugno 2021.   

Mansour Abbas afferma che il suo ruolo nella nuova coalizione israeliana ha un valore “storico”. Ma la maggior parte dei cittadini palestinesi non è della sua opinione e va per un’altra strada.

Mansour Abbas, capo del partito Ra’am arriva ai colloqui di coalizione, al villaggio Maccabiah a Ramat Gan, 2 giugno 2021. (Avshalom Sassoni/Flash90)

Dopo la separazione dalla Joint List prima delle ultime elezioni israeliane, la Lista Araba Unita (Ra’am), il partito islamista guidato da Mansour Abbas, ha condotto una campagna che ha cercato di spacciare il partito come “conservatore” offrendo al contempo un “nuovo approccio” alla politica araba in Israele. Secondo tale “approccio”, Ra’am potrebbe unirsi al nuovo governo israeliano, indipendentemente se sia di destra o di sinistra, anche se ciò significa sedersi con i Kahanisti nella stessa coalizione. La rottura di Ra’am con gli altri tre partiti arabi della Join List, ha insistito Abbas, era destinata ad avere un valore “storico”.

In cambio di tale partenariato e sostegno attivo a questo momento apparentemente innovativo, il partito islamista ha promesso ai suoi elettori diversi risultati salienti. Questi includevano un pacchetto di benefici senza precedenti sotto forma di consistenti bilanci pubblici; un piano governativo per combattere la criminalità imperversante e l’alto tasso di omicidi nelle comunità palestinesi in Israele; il riconoscimento dei villaggi beduini palestinesi nel deserto del Naqab/Negev; e l’abolizione della discriminatoria Legge Kaminitz che minaccia di demolire migliaia di case arabe perché costruite senza permessi che non sarebbero mai stati concessi. In altre parole, Abbas è stato disposto a svendere il fronte politico palestinese unito per i diritti fondamentali a cui la sua comunità dovrebbe già avere diritto.

E per quel che riguarda l’assedio israeliano di Gaza, le aggressioni nella moschea al-Aqsa, l’espansione delle colonie in Cisgiordania o la giudeizzazione delle città miste in Israele? Secondo l’approccio di Abbas, queste non sono questioni che spetta a lui risolvere. 

Mercoledì sera, Abbas ha finalmente fatto la sua “storia” entrando nel nuovo governo che sarà guidato dall’esponente di estrema destra Naftali Bennet, in cambio di un imbarazzante poco o nulla: nessuna abolizione di qualsiasi legge discriminatoria e segregazionista (compresa la Legge sullo Stato-Nazione del popolo ebraico); una promessa di incanalare soldi verso le comunità arabe in un qualche futuro; e la formazione di un comitato della Knesset per discutere il riconoscimento di una manciata di villaggi beduini.

Il capo del partito Yamina Naftali Bennett, il capo del partito Bianco e Blu Benny Gantz, Ayelet Shaked e Hilik Tropper nella sala del plenum della Knesset israeliana durante le votazioni per le elezioni presidenziali, Gerusalemme, 2 giugno 2021. (Olivier Fitoussi/Flash90)

Quindi, cosa è esattamente questo nuovo approccio? È vero che Mansour Abbas è il primo leader di un partito arabo a far parte di un governo di coalizione, almeno dal tempo dei cosiddetti partiti arabi satelliti nei primi giorni dello Stato, che si impegnarono a essere fedeli al partito Mapai al potere. Ma è davvero uno sviluppo significativo che vale la pena di celebrare?

In verità, questo non è il momento storico di cui molti parlano, e la ragione è abbastanza semplice. Nella nostra storia di cittadini palestinesi abbiamo avuto vari individui arabi che hanno fatto parte di coalizioni di governo israeliane. Israele ha persino avuto un ministro arabo della scienza, della cultura e dello sport, Ghaleb Majadleh, del Partito Laburista (il mio ricordo più vivido del suo mandato è l’immagine di lui che si addormenta durante una cerimonia).

La storia è piena di questi cosiddetti leader palestinesi che hanno di fatto svenduto la causa del loro popolo per il loro profitto personale. Durante il dominio militare dello Stato sui cittadini palestinesi dal 1948 al 1966 l’establishment israeliano nominò e sostenne mukhtar [NdT, parola araba che letteralmente significa “scelto” e che era in genere usata per indicare il capo di un villaggio] in molte città e villaggi arabi, conferendo potere e prestigio agli anziani che sarebbero stati fedeli al regime coloniale. Nel suo libro “Good Arabs“, basato sugli archivi di stato desecretati e sui resoconti di cittadini palestinesi, lo storico israeliano Hillel Cohen ha vividamente descritto quegli anni di mercanteggiamenti arabi per ottenere posizioni favorevoli nel regime militare, compresi posti influenti nelle scuole, nei consigli locali e nel governo.

Questo approccio da “arabo buono”, che spera di essere accolto dall’establishment ebraico-israeliano, ha straordinarie similitudini con la rovente descrizione dello “schiavo domestico” fatta da Malcolm X, che richiama i futili tentativi da parte di pezzi della comunità nera negli Stati Uniti di “integrarsi” ed essere “accettati” dalla maggioranza bianca. I cittadini palestinesi, però, sanno che non potranno mai diventare completamente “israeliani”. L’establishment sionista ha cercato di imporci questo mito attraverso la cancellazione della nostra cultura e identità –cercando, tra l’altro, di trasformarci in “Arabi-israeliani”– anche se dicono chiaramente che questo sarà sempre uno “Stato ebraico”.

Cittadini palestinesi marciano durante una protesta nel Giorno della Terra, l’evento annuale che commemora l’uccisione da parte della polizia israeliana di sei manifestanti durante le proteste di massa del 1976 contro i piani di confisca delle terre arabe, ad Arrabe, nel nord di Israele, 30 marzo 2021. (Jamal Awad/Flash90)

Noi cittadini palestinesi, tuttavia, respingiamo questa cancellazione e la politica del divide et impera che Israele pratica dal 1948. I Palestinesi dovrebbero far parte del processo decisionale del Paese, ma solo se Israele smette di assediare, espellere e uccidere il nostro popolo. Entrare in un governo di occupazione non è solo un timbro kosher per i suoi crimini contro il nostro popolo, è aiutare attivamente i tentativi dello stato di mantenere frammentata la nostra comunità.

Eppure, nonostante l’approccio dell'”Arabo buono” di Abbas, è diventato evidente che milioni di Palestinesi in tutto il paese stanno scegliendo un’altra strada, senza seguire gli esempi dei loro rappresentanti politici. I Palestinesi hanno fatto la loro storia a cominciare dalle proteste del Ramadan a Gerusalemme Est alla lotta a Sheikh Jarrah, alla difesa delle case palestinesi nelle città miste contro i coloni ebrei e la polizia. Quasi ogni città o villaggio palestinese in Israele ha avuto una protesta per Sheikh Jarrah, per al-Asqa, per Gaza e per se stessi. Questa dimostrazione di unità quasi senza precedenti ha portato allo storico sciopero generale del mese scorso, con la partecipazione in massa dei Palestinesi dal fiume al mare e oltre.

Che la prossima generazione di Palestinesi in Israele sia scesa in piazza per reclamare la sua dignità è il vero momento storico. Sono loro che stanno mostrando al mondo quale può essere un “nuovo approccio”. 

Rami Younis è un giornalista, regista e attivista palestinese di Lod che mira ad amplificare le opinioni locali mediante vari media. Rami scrive di questioni di interesse e importanza politica per la comunità palestinese in Israele e nei Territori Occupati. Come attivista culturale è anche uno dei co-fondatori del “Palestine Music Expo”. Precedentemente è stato consulente mediatico e portavoce del membro palestinese della Knesset Haneen Zoabi. Attualmente risiede a Boston, dove svolge attività di ricerca e scrive sull’attivismo culturale alla Harvard University.

https://www.972mag.com/mansour-abbas-good-arab-israel/

Traduzione di Elisabetta Valento – AssoPacePalestina

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