Mia figlia chiede: “Può Israele distruggere la nostra casa se manca la corrente?”

Mag 14, 2021 | Riflessioni

di Refaat Alareer,

The New York Times, 13 maggio 2021.

Gaza City, 12 maggio 2021. Khalil Hamra / Associated Press

Tal al-Hawa, Striscia di Gaza – Martedì sera, mia moglie, sei figli ed io ci siamo rannicchiati nel soggiorno del nostro appartamento, il posto che meno probabilmente avrebbe potuto subire un colpo vagante dei missili israeliani o dei detriti che disperdono. Stavamo guardando la diretta di Al Jazeera sull’imminente distruzione, da parte degli aerei da guerra israeliani, di al-Jawharah (La Gemma), uno degli edifici più grandi di Gaza, quando è mancata la corrente.

Linah, 8 anni –o, col calendario di Gaza, due guerre– ha chiesto timidamente se “loro” potevano ancora distruggere il nostro edificio ora che la corrente era stata interrotta.

Il giorno successivo, mercoledì, sarebbe stato il compleanno di Amal. Ha compiuto 6 anni e negli ultimi due anni ha preso l’abitudine di trascorrere sei mesi anticipando e pianificando il suo prossimo compleanno, seguiti da sei mesi a ricordare i festeggiamenti. È più tranquilla di sua sorella Linah e ancora un po’ ingenua riguardo al mondo che la circonda. Vorrei che fosse più ingenua.

Mercoledì, quando Amal si è svegliata, non ha chiesto la torta di compleanno o le candeline. Sapeva che qualcosa non andava. Percepiva la paura in casa. Ha sentito i continui bombardamenti.

Mia moglie, Nusayba, ha insistito per festeggiare comunque. “Dovrebbe essere un giorno di speranza”, ha detto. Certo, dozzine di famiglie a Gaza hanno perso la casa negli ultimi giorni e decine di persone sono morte. Non è il momento per feste o dolci. “Ma non possiamo cedere a Israele”, ha detto Nusayba.

Sono uscito silenziosamente fuori di casa, assicurandomi di non indossare la mia maschera Covid-19, per timore che i droni israeliani mi scambiassero per un bersaglio che cercava di nascondersi. Ho comprato ad Amal i suoi dolcetti preferiti: mandorle giordane e biscotti al cioccolato. Quando sono tornato, siamo riusciti a canticchiare in sordina “Senna Helwa” (“Buon compleanno”), molto meno rumorosamente di quanto avremmo cantato di solito. Amal ha sorriso esitante. L’ho guardata e ho promesso di portarla a prendere una grande torta quando “questo” sarà finito.

Lunedì, colto alla sprovvista dagli attacchi, non ho raccontato alle mie figlie le loro storie della buonanotte come al solito. È stato un errore che cercherò di non ripetere.

Da allora ho iniziato a modificare le storie a causa dei bombardamenti. Nella versione originale di un racconto che ho inventato per i bambini, due gattini muoiono di abbandono perché il loro padrone è sbadato. Ora dico che i gattini appartengono a una bambina di nome Amol e si ammalano soltanto, ma vengono nutriti e curati perché Amol è di buon cuore e premurosa.

Come è consuetudine a Gaza, quando i genitori concludono la storia raccontata un bambino, recitano un piccolo ritornello in rima: “Toota toota, khalasat el hadoota. Hilwa walla maltouta? ” (“La storia è finita. È stata bella o no?”) I bambini di solito gridano in risposta: “Maltouta!” – “non bella” e dicono che ci vuole un’altra storia.

Martedì, quando ho posto la domanda, Linah e Amal hanno risposto nervosamente, all’unisono: “Hilwa”. “Bella.” E basta.

La maggior parte degli abitanti di Gaza che conosco ha a malapena chiuso occhio dall’inizio della settimana. Come ha twittato il mio amico Hassan Arafat: “Non dormiamo; sveniamo solo per la stanchezza.” Non ci sono sistemi di allarme ad alta tecnologia, qui, per avvisarci dei missili in arrivo o dirci di prender rifugio. Dobbiamo imparare a leggere gli schemi degli attacchi sfrenati di Israele. Essere un buon genitore a Gaza significa sviluppare un talento per ciò che i droni e gli F-16 di Israele faranno subito dopo.

Mercoledì notte, dopo due ore di bombardamenti ininterrotti e di missili israeliani che piovono su tutta la Striscia –alcuni sono atterrati a poche centinaia di metri dal nostro edificio– siamo finalmente riusciti a dormire un po’. I missili scuotono l’intera area per diversi secondi. Poi senti delle urla. Grida. Altre urla. Intere famiglie si ritrovano in strada. I nostri bambini erano tutti seduti sul letto, tremanti, senza dire nulla.

Poi arriva l’insostenibile indecisione: sono combattuto tra il voler portare la famiglia fuori, nonostante i missili, le schegge e i detriti che cadono, e il restare in casa, facile bersaglio per gli aerei fabbricati in America e pilotati dagli Israeliani. Siamo rimasti in casa. Almeno saremmo morti insieme, ho pensato.

Gli attacchi assordanti distruggono le infrastrutture di Gaza, tagliando le strade che portano agli ospedali e ai rifornimenti idrici, compromettendo l’accesso a Internet. Molti degli obiettivi colpiti da Israele non hanno alcun valore strategico. Israele lo sa e sa quanto ci innervosisce. Mi chiedo cosa facciano quegli ufficiali nei loro centri di comando: tirano a sorte quale isolato annientare? Lanciano un dado?

Mercoledì è stato l’ultimo giorno del Ramadan. Il mese sacro del digiuno si conclude con l’Eid al-Fitr, una celebrazione considerata la seconda più lieta dell’Islam. I bambini tradizionalmente indossano vestiti nuovi e ricevono regali in denaro e giocattoli dai parenti. I Musulmani in Palestina visitano le loro famiglie e mangiano insieme. Non questo Eid, però.

All’inizio di giovedì, 69 persone a Gaza erano state uccise negli attacchi aerei di Israele, inclusi alcuni comandanti di Hamas, il gruppo che governa la Striscia, e 17 bambini. Almeno sette israeliani, compreso un bambino, erano morti a causa delle centinaia di razzi lanciati da Hamas.

Nel 2014, durante l’ultima guerra, Israele ha ucciso mio fratello Hamada; ha distrutto il mio appartamento facendo crollare la casa di famiglia che ospitava 40 persone. Ha ucciso il nonno di mia moglie, suo fratello, sua sorella e i tre figli di sua sorella. Non abbiamo ancora superato quel trauma. Non abbiamo finito di ricostruire le case che Israele ha distrutto allora.

Nusayba e io siamo una coppia palestinese perfettamente nella media: tra me e lei, abbiamo perso più di 30 parenti.

In questi giorni, mentre di notte siamo coricati nell’oscurità, temo il peggio – ma temo anche il meglio. Se ne usciamo vivi, come se la caverà la psiche dei miei figli negli anni a venire, vivendo nel terrore costante del prossimo attacco?

Martedì, Linah ha posto di nuovo la sua domanda a cui io e mia moglie non avevamo risposto la prima volta: possono distruggere il nostro edificio se manca la corrente? Volevo dire: “Sì, piccola Linah, Israele può ancora distruggere il bellissimo edificio di al-Jawharah, o uno qualsiasi dei nostri edifici, anche nell’oscurità. Ciascuna delle nostre case è piena di racconti e storie che devono essere raccontate. Le nostre case infastidiscono la macchina da guerra israeliana, la prendono in giro, la perseguitano, anche nell’oscurità. Non può sopportare la loro esistenza. E, grazie ai dollari delle tasse americane e all’immunità internazionale, Israele presumibilmente continuerà a distruggere i nostri edifici finché non rimarrà più nulla”.

Ma non posso dire niente di tutto questo a Linah. Quindi mento: “No, tesoro. Non possono vederci al buio.”

Refaat Alareer è l’editore di “Gaza Writes Back” e professore universitario di letteratura comparata, traduzione e scrittura creativa.

Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina

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1 commento

  1. sergio caserta

    Storia terribile e bella, resistete popolo palestinese, siamo con voi

    Rispondi

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