Il testardo dottorando della Striscia di Gaza

Mar 16, 2021 | Notizie

di Amira Hass,

Haaretz, 15 marzo 2021. 

Il valico di frontiera di Eretz. Eliyahu Hershkovitz.

In una certa università europea aspettano da sei mesi l’arrivo di S.O., un giovane dottorando della Striscia di Gaza. Doveva iniziare la sua ricerca in quella università il 1 ottobre 2020. Se non arriva entro il 1 aprile, perderà la borsa di studio, che sarà data allo studente di un altro paese. Non sarebbe un peccato?

L’università e il ministero degli Esteri del paese interessato sono ben consapevoli che le autorità israeliane hanno dichiarato una guerra a oltranza contro il giovane e gli hanno impedito più volte di lasciare Gaza per un colloquio presso l’ambasciata del paese europeo a Tel Aviv allo scopo di ottenere il visto richiesto. Ma cosa può fare l’università europea oltre a mostrare una certa pazienza, che si esaurirà comunque il 1 aprile? E cosa possono fare i diplomatici di quel paese, se non condividere la loro frustrazione con i diplomatici di altri paesi?

Nel settembre 2020, ho scritto sul caso di S.O., e ne scrivo di nuovo, perché domenica il tribunale distrettuale di Be’er Sheva, in veste di tribunale amministrativo, aveva ancora una volta in programma di discutere del destino di S.O., del suo futuro e della sua nuova petizione, in cui chiedeva il permesso di recarsi all’ambasciata in questione. La procura statale per il distretto meridionale di Israele aveva già chiesto che la petizione venisse immediatamente respinta – questa volta, usando una scusa che non era stata ancora utilizzata nel caso di S.O. (Vi do un’anticipazione: l’udienza in tribunale è stata breve.)

Non capisco esattamente perché S.O. preferisce che non citi il ​​suo nome, il suo campo di competenza o l’università che lo ha accettato. Quello che capisco è che dall’agosto 2020 l’Ufficio Israeliano di Coordinamento e Collegamento nella Striscia di Gaza e l’organizzazione che lo sovrintende – l’ufficio del Coordinatore delle Attività Governative nei Territori, guidato dal Magg. Gen. Kamil Abu-Rukun – hanno intrapreso una guerra burocratica contro le possibilità di avanzamento accademico di questo giovane.

La scorsa estate, sia il Collegamento di Gaza che l’ufficio di Abu-Rukun hanno fornito tre scuse per respingere la richiesta del permesso di lasciare la Striscia per la sua intervista: 1. L’assedio di Gaza era in fase di rafforzamento a causa del coronavirus; 2. Un colloquio in un’ambasciata straniera allo scopo di ricevere una borsa di studio non è incluso nei criteri umanitari eccezionali che consentono di lasciare la Striscia; e 3. La richiesta è stata presentata da Gisha – un’organizzazione israeliana per i diritti umani il cui obiettivo è proteggere la libertà di movimento dei Palestinesi – piuttosto che attraverso il canale abituale: la Commissione per gli Affari Civili dell’Autorità Palestinese (che all’epoca non funzionava poiché Mahmoud Abbas aveva deciso di congelare la sicurezza e il coordinamento civile con Israele).

Due giudici della corte di Be’er Sheva, Gad Gideon e Ariel Vago, non hanno accettato le spiegazioni puramente formali del procuratore dello stato e del coordinatore delle Attività Governative, e hanno ritenuto che lasciare Gaza per conseguire un’istruzione superiore con una borsa di studio poteva essere considerato “un caso umanitario”; Gideon si era pronunciato il 9 settembre dello scorso anno a favore della possibilità che S.O. si recasse al colloquio presso l’ambasciata. Il procuratore di stato ha quindi fatto qualcosa di molto insolito: si è affrettato a presentare ricorso contro la decisione del tribunale distrettuale davanti ai giudici della Corte suprema Neal Hendel, Anat Baron e Yosef Elron.

I tre giudici della Corte si son dichiarati d’accordo con l’opinione del procuratore dello Stato e, pochi giorni dopo, hanno stabilito che una borsa di studio per dottorandi non costituisce un caso umanitario eccezionale. Hanno anche affermato che il ruolo del tribunale inferiore non è quello di determinare i criteri al posto di coloro che sono autorizzati a farlo, ma solo quello di esaminare e rivedere la corretta attuazione dei criteri. Hanno anche implicato che approvare la richiesta di S.O. costituirebbe un precedente per altri abitanti di Gaza che ricevono borse di studio per l’estero.

Il testardo S.O. ha allora programmato una nuova data, a novembre, per il colloquio in ambasciata, e ancora una volta ha presentato richiesta di permesso per uscire dalla Striscia. L’ufficio di collegamento locale ha rifiutato ancora una volta la sua richiesta, con le solite scuse: COVID-19 e il mancato invio della richiesta tramite la Commissione per gli Affari Civili Palestinesi. Novembre è arrivato, il coordinamento civile e di sicurezza tra l’Autorità Palestinese e Israele è stato rinnovato e la seconda richiesta dell’aspirante dottorando (tramite il canale ufficiale palestinese) è stata nuovamente rifiutata – questa volta solo con la pandemia come scusa.

Il 14 febbraio S.O. ha presentato, tramite il canale ufficiale, un’altra richiesta per recarsi a Tel Aviv. Poiché il permesso tardava ad arrivare, Gisha ha chiesto informazioni e l’ufficio di collegamento di Gaza ha risposto che la richiesta era in fase di elaborazione. Il tempo ha continuato a scorrere e Gisha ancora una volta ha fatto appello a nome di S.O. al tribunale distrettuale di Be’er Sheva.

Nel frattempo si è scoperto che l’ufficio di Coordinamento delle Attività Governative aveva introdotto un nuovo criterio per ricevere un permesso di uscita da Gaza verso Israele, nonostante il blocco del coronavirus: “un’intervista alle ambasciate straniere”. Penso proprio che questo cambiamento sia in gran parte dovuto all’instancabile attività legale di Gisha. Apparentemente, questo gradito sviluppo rende inutile la petizione e S.O. dovrebbe ricevere il permesso sperato. Ma indovinate un po’? Ora le autorità affermano che la richiesta non era stata ricevuta dall’ufficio di collegamento israeliano.

Giovedì scorso l’avvocato Yaron Fenesh, un sostituto presso l’ufficio del procuratore distrettuale meridionale, ha chiesto al tribunale di respingere la petizione di S.O. per motivi di “mancato rispetto delle procedure”. Gli autori della petizione, gli avvocati Osnat Cohen Lifshitz e Muna Haddad, hanno risposto esprimendo tutto il loro stupore. Dopo tutto, se la richiesta non era stata ricevuta, come ha potuto il Dipartimento per le Indagini Pubbliche dell’ufficio di collegamento rispondere a Gisha che la richiesta era in fase di elaborazione? D’altro canto, perché l’ufficio di collegamento non ha comunicato durante tutte quelle settimane che la richiesta non era nemmeno stata ricevuta? E come mai la Commissione per gli Affari Civili Palestinesi ha confermato di aver trasmesso, in tempo, la richiesta alla parte israeliana?

Gisha dice che è una pratica abituale dell’ufficio di collegamento: non rispondere alle richieste di permessi di uscita e poi affermare che “non sono arrivate”. È un’affermazione facile, perché l’ufficio si rifiuta di inviare una conferma per iscritto alla Commissione per gli Affari Civili Palestinesi per ogni richiesta che è stata presentata.

Domenica, in tribunale, lo stesso Fenesh ha detto che la richiesta di permesso finalmente è arrivata, giovedì scorso. Pertanto, S.O. può ricevere il suo permesso per un colloquio a Tel Aviv, il 17 marzo. Gisha farà in modo che accada davvero.

https://www.haaretz.com/opinion/.premium-the-stubborn-ph-d-student-from-the-gaza-strip-1.9619285

Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina

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