Per la sesta volta, Israele demolisce la casa di un palestinese disabile

Mar 8, 2021 | Notizie

Gideon Levy  e Alex Levac,

Haaretz, 4 marzo 2021. 

Per i Palestinesi non esiste un modo legale di costruire sulla propria terra a Isawiyah. Quasi tutte le costruzioni sono illegali, ma il Comune di Gerusalemme ha scelto di colpire quella di quest’uomo.

Khatham Abu Riala davanti a ciò che era la sua casa in Isawiyah. Foto: Alex Levac

Un uomo con disabilità guarda un bulldozer che demolisce la sua casa. Solo poche decine di metri lo separano dalla struttura, il cui secondo piano sta ora crollando su se stesso. Il bulldozer colpisce i muri dell’edificio di pietra –che era ancora in costruzione– martellando e fracassando, facendo cadere ancora un altro muro e distruggendo un’altra stanza di questo piano superiore, trasformandolo in un mucchio di macerie. Il suo proprietario, che ha investito tutti i suoi risparmi nella costruzione, osserva la devastazione dalla sua sedia a rotelle, circondato dalle truppe della polizia di frontiera che appaiono più minacciose e violente che mai.

Non è la prima volta che assiste a questo scenario; la prima fu nel 1999. E non è nemmeno la seconda, terza o quarta volta: le autorità israeliane hanno demolito la sua casa sei volte. Forse è per questo che solo una manciata di residenti a Isawiyah, il quartiere di Gerusalemme Est che i suoi residenti definiscono un “villaggio” –come a ricordare bei tempi che non torneranno mai più– si sono presentati per stare con lui nella sua sofferenza.

Khatham Abu Riala ha dovuto usare una sedia a rotelle dalla seconda demolizione della sua casa, il 4 febbraio 2009. Mentre protestava, è inciampato ed è caduto dal tetto dell’edificio, poco prima che fosse raso al suolo. La caduta di sette metri su un terreno roccioso gli ha compromesso il midollo spinale, lasciandolo paralizzato dalla vita in giù – e disoccupato. Prima del suo infortunio faceva l’autista per l’azienda Superbus; oggi indossa l’abito della compagnia per proteggersi dal freddo pungente di Gerusalemme. Per un certo tempo aveva fatto anche il camionista nel porto di Ashdod.

La disabilità di Abu Riala non ha suscitato compassione nelle stanze del municipio di Gerusalemme. I suoi funzionari sono anche indifferenti al fatto che non c’è modo per i Palestinesi di costruire legalmente a Isawiyah. Quasi tutti gli edifici che vi sono stati costruiti dal 1967 in poi sono illegali, ma a quanto pare il Comune di Gerusalemme ha scelto di concentrare i suoi sforzi su quest’uomo in particolare. Sta infatti conducendo una battaglia implacabile contro Abu Riala, che da 22 anni ha cercato di costruirsi una casa su un terreno di sua proprietà, adiacente alla casa dei suoi genitori; 22 anni durante i quali il comune non ha ancora approvato un aggiornato piano edilizio per Isawiyah,  mentre sta attivamente vietando nuove costruzioni.

“Le persone si sposano. I bambini nascono. Dove vivremo? Dovremmo vivere tutti in una stanza?” Chiede Abu Riala. “È compito della città preparare un piano edilizio. Mi dicono: vai a Beit Hanina (un altro quartiere di Gerusalemme Est che è più lontano, verso Ramallah). Ma ho la mia terra qui. È qui che sono nato. Perché dovrei andare a Beit Hanina se ho una proprietà qui?”

L’ultima volta, la quinta, la sua casa è stata rasa al suolo da imprenditori privati ​​che lavoravano per conto della città di Gerusalemme ed è stato nel dicembre 2019. Nel maggio 2020 ha iniziato la ricostruzione, fino a quando le autorità non lo hanno avvertito di smettere. Da allora, la minaccia di demolizione incombeva sull’abitazione, la cui costruzione era quasi terminata.

Macerie in Isawiyah. Foto: Alex Levac

Chiaramente, non stiamo parlando di un insediamento israeliano o di un avamposto di coloni, e neanche di un nuovo quartiere per Ebrei ultraortodossi americani. Questo è un villaggio palestinese occupato.

Quando siamo arrivati ​​a Isawiyah nella tarda mattinata di lunedì, la missione era già stata compiuta e le forze di sicurezza avevano lasciato il villaggio. Abu Riala era seduto sulla sua sedia a rotelle, sul terreno roccioso di fronte alle rovine della sua casa, circondato da alcuni uomini che erano venuti per confortarlo e risollevarlo, come si fa nella tenda di funerale. Tra loro c’era l’attivista sociale Mohammed Abu Hummus, il cui corpo è segnato dai proiettili di metallo con la punta di gomma sparati contro di lui dalla polizia israeliana nel corso degli anni durante le manifestazioni contro le demolizioni di case e altre attività di protesta.

La casa di Abu Riala si trova all’estremità orientale di Isawiyah, di fronte al deserto. Un suo nipote vive con la moglie e il loro unico figlio al piano terra della struttura, che per qualche motivo non è stato preso di mira, mentre il secondo piano era destinato ad Abu Riala, sua moglie e due figli. Solo quel piano poteva essere accessibile per la sedia a rotelle di Abu Riala, poiché l’edificio si trova sul pendio di una collina.

Le lastre di cemento e le sbarre di ferro che si sono accumulate all’ingresso del primo piano ora bloccano totalmente la porta. Il risultato: anche il nipote di Abu Riala, Yassin Nasser, la moglie incinta Maha e il figlio di 3 anni Karam sono senza tetto. E anche se le macerie che bloccano l’ingresso al loro appartamento vengono rimosse, non potranno comunque usarlo, a causa delle crepe e dei buchi nel soffitto della loro casa. Inoltre, anche avvicinarsi al piano superiore distrutto è pericoloso per i ragazzi che ora si aggirano tra le rovine.

E con questo il municipio ha fatto il suo lavoro.

Abu Riala è nato nel 1978 ed è cresciuto in quella che ora è la casa dei suoi genitori, vicino all’edificio appena demolito; lui e la sua famiglia si erano trasferiti qui durante la costruzione. La sua casa d’infanzia una volta si trovava in un paesaggio rurale, con suo padre che allevava cetrioli e pomodori in un campo adiacente. “Qui siamo cresciuti nella natura”, ci dice.

Macerie in Isawiyah. Foto: Alex Levac

È sposato con Hiba e hanno un figlio –Anas, 14 anni– e una figlia, Dania, di un anno più giovane. Lunedì, giorno della demolizione, era anche il compleanno di Anas. L’unica volta che gli occhi di Abu Riala si sono inumiditi durante il nostro colloquio è stato quando ha ricordato che suo figlio il giorno precedente aveva chiesto come avrebbero festeggiato il suo compleanno. Adesso lo sanno.

Giovedì della scorsa settimana, il personale della polizia di frontiera e i funzionari del municipio sono arrivati ​​alla casa e l’hanno fotografata. Quello era un cattivo presagio. Sono tornati domenica. Quella sera, sulla base delle informazioni ricevute da qualcuno del comune, i due mukhtar [capivillaggio] di Isawiyah, Khader Abayat e Omar Zumzum, avevano promesso ad Abu Riala che la sua casa non sarebbe stata demolita il giorno successivo. “Puoi dormire tranquillamente stanotte e non preoccuparti. Domani non ci saranno demolizioni”, gli avevano detto i mukhtar.

Tuttavia, Abu Riala ha passato una notte insonne. Alle 4:30 del mattino è andato alla moschea locale per le preghiere dell’alba. Felicissimo di vedere che non c’era trambusto nel villaggio; non ha visto agenti di polizia, né bulldozer, né funzionari municipali. “Mi sono detto, “Dio, i mukhtar avevano ragione. Non ci saranno demolizioni oggi.” È tornato a casa. Ma alle 7:20 ha ricevuto una telefonata da suo fratello Jawad, dalla fabbrica di plastica di Kiryat Malakhi dove lavora. Jawad ha detto a suo fratello che alcune fotografie delle forze di polizia e dei bulldozer all’ingresso di Isawiyah erano state pubblicate sui social media.

Pochi minuti dopo ha sentito la polizia di frontiera che cercava di forzare l’ingresso di casa sua. Otto agenti erano alla porta. Gli hanno ordinato di lasciare i locali con la sua famiglia: la demolizione stava iniziando. Abu Riala ci racconta di aver cercato di spiegare che i suoi figli stavano ancora dormendo, ma senza successo. I funzionari gli hanno detto: “Demoliremo questa struttura e poi potrai chiedere un permesso per ricostruire”.

È da 22 anni che chiede il permesso. “Non ci sono permessi. Non è consentito costruire. Resteremo seduti per altri 22 anni, a gambe incrociate, e aspetteremo che il comune completi il ​​suo nuovo piano edilizio”, dice disperato.

Ciò che ha irritato maggiormente Abu Riala, come ci dice, è stato il comportamento dei distruttori. “Stavano ridendo. Non vi vergognate? Il nostro cuore sta bruciando voi state ridendo? Il conducente dell’escavatore rideva. Perché ridi in questa situazione? Per dirci: ti abbiamo distrutto. Sono le vite delle persone che stai demolendo.” Così Abu Riala se ne stava lì seduto, con sua moglie Hiba, i loro due figli e sua suocera, e osservava la distruzione. È iniziata alle 7:30 e alle 11:30 era completata.

Khatham Abu Riala. Foto: Alex Levac

Da allora i suoi figli sono rimasti sconvolti, ci dice. La maggior parte delle precedenti demolizioni è avvenuta mentre erano dei bambini. Dania chiede quando avrà una stanza tutta sua. Anas vuole festeggiare il suo compleanno. “Hanno pianto e ho dato loro dei fazzoletti”, dice il padre. “Il bulldozer ha mangiato la pietra e ha mangiato il mio cuore.” Nel corso degli anni, dice, ha speso 650.000 shekel (circa 197.000 dollari) nella sua lotta per costruirsi una casa sulla sua terra, al numero 31 di Tarin al-Madras Street.

Il portavoce del comune di Gerusalemme Yaron Lupo ha rilasciato la seguente dichiarazione ad Haaretz: “Questa è una costruzione fatta senza permesso, per la quale è stato emesso un ordine amministrativo di demolizione che è stato eseguito lunedì. Si tratta della demolizione ripetuta di un edificio che era stato smantellato secondo un ordine di demolizione nel 2019 ed è stato ricostruito. Sono state effettuate due demolizioni dell’edificio e non sei, come affermato.

“Le demolizioni sono state eseguite con ordinanza amministrativa e a norma di legge, previa autorizzazione per mezzo di alcune istanze giudiziarie, nell’ambito dell’attività di contrasto comunale contro gli autori di reato in tutta la città, e certamente in caso di reati edilizi che si ripetono nello stesso edificio, a dispetto dei tribunali e dello Stato di diritto”.

Aviv Tatarsky, un ricercatore che si occupa di questioni di pianificazione per conto dell’organizzazione no profit Ir Amim, ha detto: “La politica israeliana obbliga la famiglia Abu Riala a costruire senza permesso, come avviene per gran parte dei residenti di Isawiyah. Un anno fa, 30 anni dopo l’approvazione del piano edilizio originale del quartiere e 15 anni dopo che i residenti di Isawiyah avevano redatto un nuovo pino di propria iniziativa, il Comune di Gerusalemme annunciò che avrebbe presentato un nuovo piano regolatore. Tuttavia, il ministero dell’Interno non ha fretta di approvare il piano e nel frattempo le famiglie continuano a perdere le loro case.”

Secondo Ir Amim, 216 strutture sono state demolite a Gerusalemme Est nel 2020, di cui 144 erano abitazioni residenziali. Solo lo scorso gennaio sono state demolite 24 strutture, 17 delle quali residenze private.

La notte dopo la demolizione della casa di Abu Riala, le forze di polizia sono entrate a Isawiyah e le immagini di tensione e violenza sono tornate nel villaggio.

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Traduzione di Cecilia De Luca – AssopacePalestina

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