Tre pilastri per un nuovo approccio statunitense alla pace in Israele-Palestina

Gen 18, 2021 | Riflessioni

A gennaio 2021, l’amministrazione Biden dovrà affrontare la responsabilità di mitigare i danni causati dalla politica distruttiva del presidente Trump nei confronti del conflitto israelo-palestinese. La sua sfida sarà annullare l’eredità di Trump senza limitarsi a ritornare alla situazione che esisteva prima della sua presidenza.

Questa pubblicazione fa parte di un’iniziativa congiunta tra l’International Crisis Group (Unità Internazionale di Crisi) e il Progetto Stati Uniti/Medio Oriente (USMEP) per aiutare a risolvere il conflitto israelo-palestinese.

È improbabile che il conflitto israelo-palestinese sia una priorità per la nuova amministrazione statunitense, ma la traiettoria del conflitto e le sue implicazioni per gli interessi statunitensi dovrebbero comunque preoccupare i politici statunitensi. La nuova amministrazione dovrebbe imparare le lezioni del passato: dovrebbe essere sia ambiziosa nel cercare di cambiare i termini del dibattito sia modesta riguardo alla possibilità di porre fine rapidamente al conflitto.

Nel corso degli anni, le politiche statunitensi hanno avuto l’effetto sfortunato – a volte involontario – di facilitare il radicamento del controllo israeliano sui Palestinesi. L’involontario è diventato chiaramente intenzionale sotto l’amministrazione Trump, che ha incoraggiato la costruzione di insediamenti e rilasciato un “Piano di Pace per la Prosperità” che si è volto decisamente a favore della continuazione dell’occupazione israeliana. L’impegno degli Stati Uniti dovrebbe mirare come minimo a mitigare la fondamentale asimmetria di potere tra Israele e Palestinesi; invece, troppo spesso ha fatto il contrario, e la Casa Bianca di Trump lo ha fatto all’estremo.

Ciò di cui abbiamo bisogno oggi non è un’azione da Premio Nobel per un accordo di pace finale, ma piuttosto mettere pazientemente in atto quegli elementi costitutivi che sono necessari per guidare le future generazioni di Israeliani e Palestinesi verso un futuro più pacifico e giusto. Questi elementi costitutivi includono: un’opinione pubblica israeliana che comprende sia le conseguenze dell’occupazione permanente e sia che l’unico modo per evitare tali conseguenze è coinvolgere i Palestinesi sia individualmente come persone con uguali diritti sia come collettività con aspirazione all’autodeterminazione nazionale; un sistema politico palestinese coerente con una leadership in grado di tracciare efficacemente un percorso di sviluppo e di sfidare lo status quo con mezzi non violenti e in modi coerenti con il diritto internazionale; e un capovolgimento delle tendenze legali e politiche sul campo, che hanno devastato il panorama diplomatico e non sono riuscite a garantire ai Palestinesi i loro diritti umani più elementari.

Concentrarsi su questi elementi costitutivi aiuterebbe a cambiare la lente attraverso la quale si è per lo più cercato di vedere il conflitto a Washington, senza puntare a realizzare un processo di pace  fine a se stesso, ma per creare innanzitutto le condizioni per colloqui efficaci, proteggendo coloro i cui diritti sono violati in tutta l’area che va dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo. L’amministrazione entrante quasi certamente chiarirà che una soluzione a due stati è il suo quadro politico preferito, sulla falsariga del consenso internazionale riflesso nel discorso del Segretario di Stato John Kerry del 28 dicembre 2016. In questo contesto, gli Stati Uniti dovrebbero anche chiarire che, nel caso in cui Israele continui a ostacolare la creazione di uno stato palestinese pienamente sovrano e vitale, qualsiasi alternativa dovrà rispettare il diritto alla piena uguaglianza e la concessione di uguali diritti a tutti coloro che si trovano in qualsiasi spazio controllato da Israele.

Di conseguenza, il punto di partenza per una nuova politica israelo-palestinese dovrebbe poggiare sui seguenti tre pilastri:

  1. Mitigare i danni dell’eredità di Trump e sostituire l’enfasi sul proseguimento del processo di pace con l’attenzione incentrata sulla protezione dei diritti e del benessere delle persone sul campo. Le molteplici decisioni dell’amministrazione Trump – incluso il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele; il taglio dell’assistenza ai Palestinesi; la chiusura sia del consolato americano a Gerusalemme che della missione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina a Washington; l’effettivo riconoscimento della legalità degli insediamenti israeliani – tutto ciò ha seriamente danneggiato le prospettive di un’equa risoluzione del conflitto israelo-palestinese e ha esaurito le riserve di credibilità degli Stati Uniti. Annullare le politiche chiave di Trump dovrebbe essere una priorità, ma ciò non dovrebbe equivalere a tornare allo status quo precedente, quando salvare il processo di pace – invece di raggiungere la pace o stabilire le condizioni per il suo raggiungimento – troppo spesso è diventato un obiettivo in sé. Il risultato è stato quello di fornire implicitamente copertura alle azioni israeliane, in particolare alla costruzione e al consolidamento degli insediamenti. Invece, gli Stati Uniti dovrebbero dare la priorità all’arresto dell’annessione strisciante e alla protezione dei Palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est e particolarmente a Gaza, dove il blocco ha accelerato un’emergenza umanitaria e minaccia un’escalation in qualsiasi momento. In particolare, la nuova amministrazione dovrebbe: 
    1. Rinnegare inequivocabilmente il piano Trump del gennaio 2020, rilasciando una chiara dichiarazione che il piano non rappresenta la politica statunitense; 
    1. Concentrarsi sulle politiche volte a proteggere i diritti di Palestinesi e Israeliani. Mentre gli Stati Uniti hanno storicamente sostenuto e cercato di salvaguardare il diritto degli Israeliani a vivere in sicurezza e protezione, sono stati molto meno attenti al diritto dei Palestinesi ad essere liberi dalla violenza, dalle restrizioni alla libertà di movimento, dalle demolizioni di case, dalle detenzioni amministrative prolungate e dalle espropriazioni forzate; 
    1. Riaffermare che gli insediamenti israeliani sono illegali e che gli Stati Uniti non riconosceranno l’annessione da parte di Israele di nessuna parte dei Territori Occupati, compresa Gerusalemme Est;
    1. Riaffermare e rafforzare la differenziazione tra Israele e Territori Occupati in tutti i rapporti con gli Stati Uniti, inclusa la re-imposizione di restrizioni geografiche alla Fondazione Bilaterale Israele-USA per la Ricerca e lo Sviluppo Industriale, alla Fondazione Bilaterale USA-Israele per la Scienza e al Fondo USA-Israele per la Ricerca e lo Sviluppo agricolo, non concedendo quindi finanziamenti a progetti di ricerca e sviluppo israeliani nei territori occupati;
    1. Chiarire che, opponendosi alle campagne di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) nei confronti di Israele, gli Stati Uniti non considerano il BDS, di per sé, antisemita e garantiranno il diritto alla libertà di espressione;
    1. Coinvolgersi nuovamente con la leadership dell’OLP e consentire all’OLP di riaprire la sua missione a Washington; 
    1. Riaprire il Consolato degli Stati Uniti a Gerusalemme Est in un luogo separato dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Israele, sostenere attivamente la riapertura delle istituzioni palestinesi a Gerusalemme Est e affermare l’intenzione degli Stati Uniti di aprire un’ambasciata in Palestina a Gerusalemme Est;
    1. Concentrare gli sforzi per la fine del blocco di Gaza e per portare sicurezza a coloro che vivono nel sud di Israele e a Gaza, promuovendo accordi durevoli di cessate il fuoco tra le fazioni armate che operano nella Striscia di Gaza e il governo israeliano;
    1. Fare pressione perché Israele metta termine alle minacce verso le comunità palestinesi dell’Area C di ulteriori sfollamenti, espropri di terre e restrizioni alla circolazione, allo sviluppo delle infrastrutture, alla costruzione e all’accesso ai terreni agricoli; 
    1. Lavorare per rimuovere gli ostacoli israeliani allo sviluppo del settore privato palestinese; e
    1. Riavviare i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro (UNRWA), che si prende cura dei rifugiati palestinesi fino a quando i loro diritti non saranno rispettati.
  2. Desistere da azioni che permettono e rafforzano le politiche israeliane tese a prevenire qualsiasi accordo di pace o la costituzione di uno stato palestinese, incluso l’incoraggiamento ad attori politici che stanno cercando di raggiungere il risultato inaccettabile di un unico stato ebraico non-democratico tra il Giordano e il Mediterraneo. Gli Stati Uniti dovrebbero avere interesse a incoraggiare le condizioni più favorevoli a un cambiamento nella politica israeliana verso il perseguimento di una pace praticabile e la fine dell’occupazione. Anche prima dell’amministrazione Trump, la politica statunitense troppo spesso ha reso troppo facile per gli Israeliani immaginare che l’occupazione possa essere permanentemente senza conseguenze e che si possano evitare scelte difficili. In questo spirito, la nuova amministrazione dovrebbe:
    1. Astenersi dall’usare il diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU quando ciò sia contrario al diritto internazionale o sia in contrasto con la politica statunitense; 
    1. Collaborare con l’UE, i suoi Stati membri e altre terze parti, anche in sedi internazionali, per promuovere gli obiettivi di cui sopra. Gli Stati Uniti dovrebbero cessare di ostacolare gli sforzi degli organismi multilaterali e di terze parti volti a differenziare tra Israele e Territori Occupati, anche per quanto riguarda l’aggiornamento della banca dati del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite che riporta le imprese coinvolte negli insediamenti; 
    1. Evitare di avviare negoziati con Israele sulla cosiddetta espansione accettabile degli insediamenti; 
    1. Garantire maggiore trasparenza, monitoraggio dell’uso finale e responsabilità per quanto riguarda l’assistenza a Israele sulla sicurezza, in modo che Israele sia tenuto a rispettare gli standard degli Stati Uniti per i diritti umani e gli altri parametri di riferimento cui sono tenuti i destinatari degli aiuti.
  3. Contribuire a facilitare e incoraggiare i Palestinesi perché intraprendano il proprio rinnovamento politico, abbraccino una politicademocratica e responsabile, promuovano la riconciliazione interna e diano respiro a strategie non violente per raggiungere i loro obiettivi. La leadership palestinese è tutt’altro che irreprensibile: i suoi servizi di sicurezza maltrattano la loro gente, i suoi organi nazionali non sono né rappresentativi né responsabili nei confronti del loro pubblico, e non è riuscita a perseguire un approccio coerente ed efficace. Ha contribuito a una situazione in cui i Palestinesi sono divisi e mancano di una strategia credibile. Di conseguenza, la nuova amministrazione statunitense dovrebbe:
    1. Lavorare con partner internazionali per incoraggiare e facilitare il rinnovamento politico palestinese, comprese le elezioni del Consiglio Legislativo Palestinese, le elezioni presidenziali e del Consiglio Nazionale Palestinese, e per rimuovere gli ostacoli israeliani alla partecipazione dei residenti palestinesi di Gerusalemme Est a tali elezioni;
    1. Sostenere e promuovere la riconciliazione politica interna palestinese, condizionando l’impegno degli Stati Uniti con un governo di unità Palestinese al suo impegno per la non violenza; 
    1. Lavorare con terze parti per far avanzare le riforme della governance palestinese, garantendo maggiore trasparenza e responsabilità nelle sue finanze. Dovrebbe anche lavorare con i Palestinesi per introdurre riforme nell’assistenza finanziaria che l’Autorità Palestinese fornisce alle famiglie dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, in modo che tale assistenza sia collegata al loro livello di difficoltà economiche, o a quello delle loro famiglie. 

Ci sono altri elementi, ovviamente. Il presidente eletto Biden ha accolto con favore gli accordi di normalizzazione tra Israele e diversi paesi arabi e ci si può aspettare che la sua amministrazione ne favorisca altri. Ma così facendo, dovrebbe garantire che tali accordi contribuiscano al benessere dei Palestinesi e alla risoluzione del conflitto, piuttosto che renderli più difficili, e in modo più ampio promuovano la riduzione dell’escalation regionale e la pace. Inoltre, l’amministrazione Biden dovrebbe adottare un approccio multilaterale al conflitto, coordinandosi con l’Europa e reintegrando attivamente la Giordania nei suoi sforzi. 

Il punto più generale è questo: l’amministrazione Biden potrebbe essere tentata di limitare il suo impegno nel conflitto Israelo-Palestinese a mitigare i danni dell’amministrazione Trump e a riavviare i negoziati. Sarebbe comprensibile ma inefficace. Il probabile risultato di un simile approccio sarebbe il consolidamento del controllo israeliano sui territori palestinesi, un’ulteriore frammentazione del territorio palestinese e una crescente frustrazione e disperazione. Per portare nuovamente le parti in una condizione in cui una energica spinta diplomatica possa essere produttiva, l’amministrazione Biden farebbe meglio a perseguire una politica che sia fedele al suo impegno dichiarato al rispetto delle regole internazionali, al rispetto dei diritti umani, al multilateralismo ed alla diplomazia.

L’International Crisis Group è un’organizzazione indipendente che lavora per prevenire le guerre ed elaborare politiche capaci di costruire un mondo più pacifico.

Questa dichiarazione ha tratto profitto dalle deliberazioni di una task force sulla politica Israelo-Palestinese co-convocata dal Carnegie Endowment for International Peace e dal Progetto USA/Medio Oriente durante il 2019-2020.

https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/eastern-mediterranean/israelpalestine/three-pillars-new-approach-peace-israel-palestine

Traduzione di Maurizio Bellotto – AssopacePalestina

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