Lo stato suprematista ebraico (un commento alla definizione di Israele come “regime di apartheid” fatta da B’Tselem)

Gen 17, 2021 | Riflessioni

di Norman G. Finkelstein,

Mondoweiss, 15 gennaio 2021. 

Poliziotti di frontiera israeliani fanno la guardia durante una manifestazione organizzata da giovani palestinesi a Hebron il 3 settembre 2017, contro una decisione di Israele che concedeva alle enclave degli insediamenti ebraici a Hebron l’autorità di gestire i propri affari municipali (Wisam Hashlamoun/APA)

Negli ultimi due decenni, molti individui e organizzazioni di rispetto hanno designato il regime che Israele ha stabilito nei territori palestinesi occupati –la Cisgiordania, Gerusalemme Est, e Gaza– come una forma di apartheid. Un piccolo sottogruppo di questi individui e organizzazioni ha designato come apartheid il regime gestito da Israele in tutta la “Palestina storica”, cioè dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.

Chi scrive ha esitato a lungo a seguire l’ampio consenso che designava il Territorio Palestinese Occupato (OPT) come un regime di apartheid, lasciando impregiudicata la descrizione giuridica del regime all’interno della Linea Verde. Tuttavia, facendo ricerche per una lunga appendice giuridica al mio libro “Gaza: An Inquest into Its Martyrdom“, mi sono convinto che l’intera regione “dal fiume al mare” deve essere definita un regime di apartheid. La base di questa conclusione era semplice e diretta: A) la caratteristica distintiva di un’occupazione secondo il diritto internazionale è che è temporanea; se non è temporanea, costituisce un’annessione illegale; B) dopo più di mezzo secolo di “occupazione” israeliana, e dopo ripetute dichiarazioni del governo israeliano che non intendeva ritirarsi dall’OPT come prescrive il diritto internazionale, l’unica deduzione ragionevole era che l’OPT era stato di fatto annesso, indipendentemente dall’etichetta legale formale che Israele gli ha apposto; C) Israele “dal fiume al mare” costituiva così un’unica entità; se il regime che lo presiedeva privava del diritto di voto o restringeva gravemente i diritti di cittadinanza della sua popolazione non ebrea, allora costituiva un regime di apartheid.

La rispettata organizzazione israeliana per i diritti umani, B’Tselem, è ora ufficialmente giunta a questa conclusione: “L’intera area tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano è organizzata secondo un unico principio: promuovere e cementare la supremazia di un gruppo -gli Ebrei- sopra un altro -i Palestinesi-”; “Un regime che usa leggi, pratiche e violenza organizzata per cementare la supremazia di un gruppo su un altro è un regime di apartheid”.

Il documento di B’Tselem si concentra su quattro aspetti dell’apartheid israeliano. Due aspetti -l’immigrazione per soli Ebrei e lo sviluppo della terra per soli Ebrei- si ritrovano in tutto questo stato suprematista ebraico, e due aspetti -gli ostacoli alla libertà di movimento e alla partecipazione politica- sono qualitativamente più pronunciati in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est e Gaza.

È opinione di chi scrive, tuttavia, che, per quanto repellenti siano queste caratteristiche del regime israeliano, l’aspetto che più manifesta il suo carattere di supremazia ebraica è la mancanza di valore che attribuisce alla vita dei Palestinesi. Come B’Tselem e altre importanti organizzazioni per i diritti umani hanno documentato letteralmente su base giornaliera, i Palestinesi vengono regolarmente assassinati impunemente da privati ​​cittadini israeliani, polizia civile e personale militare. Questi omicidi non suscitano interesse, e tantomeno protesta, da parte del pubblico ebraico-israeliano.

L’insignificanza attribuita alla vita palestinese è stata messa chiaramente in mostra durante la Grande Marcia del Ritorno a Gaza. Una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha rilevato che “manifestanti che si trovavano a centinaia di metri di distanza dalle forze israeliane ed erano visibilmente impegnati in attività civili sono stati uccisi intenzionalmente. Giornalisti e operatori sanitari chiaramente contrassegnati come tali sono stati bersaglio degli spari, così come bambini, donne e persone con disabilità”. La commissione ha anche trovato “ragionevoli motivi per credere che le forze di sicurezza israeliane abbiano ucciso e mutilato manifestanti palestinesi che non rappresentavano una minaccia imminente di morte o di lesioni gravi agli altri quando sono stati uccisi”. L’ex ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, ha dichiarato durante la prolungata follia omicida: “I soldati israeliani hanno fatto ciò che era necessario. Penso che tutti i nostri soldati meritino una medaglia.”

La presa di posizione di B’Tselem e le reazioni che ha suscitato aprono spiragli interessanti riguardo ai procedimenti in corso (o, più esattamente, non in corso) presso la Corte Penale Internazionale (CPI). Il punto attualmente in fase di giudizio alla CPI è se la “Palestina” costituisca uno stato. Infatti, solo uno stato può presentare un reclamo alla Corte. Il documento B’Tselem afferma correttamente che “l’Autorità Palestinese è ancora subordinata a Israele e può esercitare il suo potere limitato solo con il consenso di Israele”, e che Israele mantiene sui Palestinesi il “controllo di immigrazione, registro della popolazione, pianificazione e politiche territoriali, acqua, infrastrutture di comunicazione, importazione ed esportazione e controllo militare su terra, mare e spazio aereo,”

Un avvocato che sostiene la supremazia ebraica, Eugene Kontorovich, sostiene, in opposizione a queste affermazioni di B’Tselem, che i Palestinesi hanno il loro governo, il che renderebbe “inapplicabile” qualsiasi discorso di apartheid. Ma è evidente che non ce l’hanno [un vero governo], il che rende tutti i discorsi di apartheid totalmente applicabili. È divertente che illustri avvocati di tutto il mondo hanno presentato opinioni di amicus curiae [pareri legali volontari di esperti esterni, NdT] alla CPI in cui sostengono che l’AP è impotente e quindi non si qualifica come uno stato in grado di sporgere denuncia. Ora, di fronte alla presa di posizione di B’Tselem, questi sostenitori della supremazia ebraica sono costretti a sostenere che i Palestinesi possiedono il proprio governo, quindi Israele non può essere uno stato di apartheid!

D’altra parte, le dichiarazioni amicus curiae da parte palestinese sostenevano che l’AP esercitava una gamma di poteri solidi e quindi si qualificava come uno stato ai sensi del diritto internazionale. Questo, ovviamente, era ridicolo. Un argomento migliore sarebbe stato che, se la Palestina non è uno stato, è perché Israele ha brutalmente negato ai Palestinesi il loro diritto all’autodeterminazione internazionalmente sancito, e quindi la CPI non dovrebbe ricompensare le violazioni israeliane della legge rigettando la denuncia palestinese. In ogni caso, un alto funzionario dell’Autorità Palestinese, il corrotto Nabil Shaath, ha reagito al documento di B’Tselem affermando con sicurezza: “Non c’è paese al mondo che sia più chiaro nelle sue politiche di apartheid di Israele”. Ma se Israele è uno stato di apartheid, cosa sono lui e la sua Autorità Palestinese se non un subagente collaboratore (Bantustan) di esso?

Sul piano pratico-politico, è discutibile se denotare Israele come regime di apartheid porterà avanti la causa davanti al grande pubblico. L’apartheid in Sud Africa si è estinto tre decenni fa. La memoria storica della maggior parte delle persone è breve. È vero, l’apartheid è un crimine definito ai sensi del diritto internazionale, ma Israele ha commesso così tanti crimini internazionalmente riconosciuti, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che l’aggiunta di uno in più al conto dell’accusa non farà molta differenza.

Definire Israele uno stato suprematista ebraico, tuttavia, suonerà convincente nel discorso pubblico e preoccuperà i rappresentanti della supremazia ebraica e i sostenitori di questo stato. Questa definizione ha ora l’imprimatur di B’Tselem. I media dell’establishment invariabilmente mettono in guardia: “Hamas, che chiede la distruzione dello stato di Israele …” D’ora in poi, i sostenitori dei diritti dei Palestinesi dovrebbero in ogni occasione ribadire il punto: “Israele, che è uno stato suprematista ebraico …” “Benjamin Netanyahu, il primo ministro suprematista ebraico di Israele …”, “l’Anti-Defamation League e il Consiglio dei deputati britannico, che sostengono lo stato suprematista ebraico di Israele …” Se criticati su questo punto, la risposta dovrebbe essere semplicemente: “Ma una delle principali organizzazioni israeliane per i diritti umani ha concluso che Israele è organizzato attorno al principio della supremazia ebraica.

Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina

1 commento

  1. sebastiano comis

    Norman Finkelstein, lucido e coraggioso come sempre. Un articolo così almeno il Manifesto potrebbe pubblicarlo.

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