Il caso Palestina all’ICC (Corte Criminale Internazionale) è di carattere legale, non politico

Dic 11, 2020 | Riflessioni

Per l’ICC è ora di aprire definitivamente l’indagine su Israele/Palestina 

Raji Sourani

Al Jazeera, 5 dicembre 2020. 

Ci sono voluti 5 anni alla Procuratrice Capo della Corte Criminale Internazionale Sig.ra Fatou Bensouda per terminare il suo esame preliminare della situazione in Palestina, concludendo che esistono “basi ragionevoli” per credere che “sono stati o sono tuttora perpetrati crimini di guerra in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza” e per dare quindi inizio all’inchiesta. La sua dichiarazione del 20 dicembre 2019 che annunciava la fine delle indagini è stata accolta col più ampio entusiasmo sia dalle vittime che dalle organizzazioni per i diritti umani. Ma i festeggiamenti sono cominciati troppo presto. 

La Procuratrice aveva appurato che lo standard delle prove per la commissione sui crimini di guerra era stato rispettato e che l’apertura dell’inchiesta era appropriata e nell’interesse della giustizia. Nonostante ciò, invece di procedere, essa attese conferma dalla Camera di Prima Istanza sulla estensione territoriale della competenza dell’ICC. Chiese che fosse presa una decisione entro 120 giorni. Circa 1 anno dopo, le vittime attendono ancora quella decisione. 

Quale avvocato palestinese a Gaza, ho trascorso 30 anni a difendere le vittime dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità su tutto il territorio palestinese occupato. Dal 2009, ho rappresentato le vittime palestinesi dei crimini israeliani a Gaza dinanzi all’ICC, nostra ultima risorsa per assicurare che i crimini più gravi che preoccupano la comunità internazionale non restino impuniti. 

Oggi sono sempre più frustrato a causa del procedere penosamente lento della corte. È vero che le cause penali internazionali sono normalmente più lunghe di quelle nazionali, ma è difficile comprendere perché le inchieste decisive sui crimini commessi in Palestina non siano cominciate nonostante le evidenze rivelate dall’esame preliminare della procuratrice. 

La decisione della procuratrice di chiedere alla Camera di Prima Istanza di confermare la giurisdizione territoriale in Palestina, con i conseguenti ritardi, rischiano di mettere a repentaglio l’efficacia dell’inchiesta. Questo tempo perduto ha fatto buon gioco nelle mani di certi personaggi politici che hanno cercato di sminuire la gravità dei risultati preliminari della corte sui crimini di guerra.

In particolare, il Ministro degli Affari Esteri israeliano ha pubblicato una documento che cerca di distogliere l’attenzione dalla gravità dei crimini indirizzandola sulla vecchia domanda: ma la Palestina è uno stato? Questa domanda sostiene un’assurdità morale e legale: non ci possono essere vittime di crimini di guerra in Palestina se la Palestina non è uno Stato. 

Nel mese di gennaio la Camera di Prima Istanza ha pubblicato una richiesta di opinioni sulla questione della giurisdizione dell’ICC. In risposta, 43 amici curiae [esperti esterni che offrono il loro parere], provenienti da stati terzi, organizzazioni internazionali, studiosi di legge e società civile, hanno sottoposto le loro opinioni entro la scadenza del 16 marzo.

In molte risposte, oltre alla questione tecnica della competenza territoriale, è stata colta l’occasione per riaffermare l’identità di stato della Palestina, la legittimità delle procedure e la loro correttezza politica. La Camera di Prima Istanza, tuttavia, non ha risposto con una sollecita decisione. 

La politicizzazione di questo caso ha sommerso fin dall’inizio le azioni legali dell’ICC, riecheggiando il destino di precedenti tentativi volti a punire le violazioni della legge internazionale in Palestina usando meccanismi e forum legali. Una campagna di delegittimazione è stata lanciata contro la corte, con accuse che andavano dall’insinuazione che essa stava prendendo una posizione politica fino alla denuncia di antisemitismo nei confronti delle sue azioni.

Gli Stati Uniti, riaffermando il loro incrollabile supporto a Israele, hanno preso posizioni radicali, rifiutando l’autorità dell’ICC sui propri cittadini e sul proprio territorio, hanno sospeso i visti al personale dell’ICC e loro famiglie, condannando le indagini in Palestina e “qualsiasi altra azione che tenti di colpire ingiustamente Israele”. Il Segretario di Stato Mike Pompeo ha definito ripetutamente la corte come: imbarazzante, politicizzata, rinunciataria, illegittima, “cosiddetta corte”, “veicolo per vendette politiche,” “mascherato da ente legale”. 

Per proteggere gli Americani e gli Israeliani che hanno commesso crimini di guerra, il presidente americano Donald Trump ha perfino emesso una ordinanza esecutiva che impone sanzioni alla procuratrice dell’ICC ed ai suoi investigatori. Alcuni commentatori hanno espresso dubbi sulla volontà e la possibilità del presidente eletto Joe Biden di cambiare questa linea di condotta e questa ostilità nei confronti della giustizia internazionale.

Investita da un diluvio di accuse di matrice politica, la ICC non deve abbassarsi al livello dei suoi detrattori. Il suo trattato istitutivo, lo Statuto di Roma, impone alla corte di operare per la giustizia “determinata a porre fine all’impunità dei responsabili” di crimini internazionali. 

Per la corte l’unico comportamento da adottare è quello strettamente legale. In questo senso, una volta concluso soddisfacentemente l’esame preliminare, la procuratrice avrebbe potuto aprire direttamente l’inchiesta. Non c’era nessun obbligo legale di chiedere un chiarimento sulla giurisdizione territoriale della corte. 

La sua richiesta ha causato un acceso dibattito politico nella corte stessa; una volta risolto definitivamente questo punto fin dagli stadi preliminari, si eviteranno incertezze ed ulteriori insopportabili ritardi della decisione. 

Questo approccio strettamente giuridico non è disgiunto dalla realtà sul territorio. Al contrario evidenzia la situazione critica delle vittime dell’occupazione israeliana per le quali questa corte rappresenta la sola ed ultima risorsa. 

Il destino del popolo palestinese, abbandonato dalla comunità internazionale, impossibilitato ad accedere a qualsiasi tribunale israeliano, straniero o internazionale e sottoposto a crudele occupazione, è adesso più che mai legato a quello dell’ICC. 

Oggi la corte si trova ad un crocevia: può cedere e crollare sotto la pressione d’Israele e degli Stati Uniti, oppure scegliere di agire in conformità col proprio compito, che è quello di assicurare che i crimini internazionali commessi sul territorio palestinese non restino impuniti. 

Raji Sourani è il direttore del Centro Palestinese per i Diritti Umani di Gaza. 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non rispecchiano necessariamente le posizioni editoriali di Al Jazeera. 

https://www.aljazeera.com/opinions/2020/12/5/the-palestinian-case-at-the-icc-is-legal-not-political/

Traduzione di Giuliana Bonosi – AssopacePalestina

1 commento

  1. Francesco Andreini

    Ma siamo sicuri che la Corte Penale Internazionale non abbia mai deliberato su crimini avvenuti in territori non definiti come Stati?

    Rispondi

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