Alla Palestina non manca l’acqua, ma non ha il diritto di usarla

Giu 6, 2020 | Riflessioni

I Palestinesi hanno un tratto di costa, un fiume e un mare ma Israele li asseta.

Shaddad Attili

The National, 3 giugno 2020

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Turisti che fanno il bagno nel Mar Morto, nella Cisgiordania occupata da Israele. Reuters

Il controllo delle risorse naturali dei territori occupati, che siano le alture siriane del Golan o la Palestina, è sempre stato una delle più importanti linee guida della politica dello stato di Israele, oltre alla costruzione del muro illegale di annessione e alla decisione di dichiarare ampie zone nella Valle del Giordano zone militari chiuse.

Qualunque piano di pace deve tenere in considerazione la sovranità palestinese su queste risorse. Il cosiddetto piano, o “visione” presentato dagli Stati Uniti però, non solo ignora i diritti palestinesi, soprattutto per quanto riguarda l’acqua, ma promuove anche la concezione israeliana del furto e il rifiuto di una seria cooperazione.

Secondo i negoziati bilaterali che ci sono stati tra Israele e Palestina, l’acqua viene considerata una “questione di status permanente” il che significa che è essenziale per una soluzione duratura del conflitto. Il fatto che Israele fino ad oggi abbia sempre approfittato dei benefici che derivano dal suo controllo delle risorse naturali palestinesi non è compatibile con l’idea di uno stato sovrano palestinese.

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Uno striscione esposto da un’attivista israeliana davanti alla residenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Gerusalemme, durante una protesta contro il piano americano per il Medio Oriente il 15 maggio 2020, data in cui i Palestinesi commemorano il 72° anniversario della Nakba (1948) che rese centinaia di migliaia di Palestinesi profughi di quella guerra che accompagnò la nascita dello stato di Israele. AFP

Per definire una strategia legale e politica coerente, noi come parte palestinese abbiamo coinvolto alcuni dei più autorevoli esperti al mondo in materia di acqua, tra cui il Professor Stephen McCaffrey, uno degli architetti della “Convenzione sul diritto relativo all’utilizzo dei corsi d’acqua internazionali e transfrontalieri per scopi diversi dalla navigazione”, una convenzione delle Nazioni Unite del 1997, il principale riferimento legale che disciplina questa materia a livello internazionale.

Spiegare la posizione palestinese a questo proposito non è difficile: stiamo chiedendo quello che ci appartiene di diritto.

La Palestina e Israele condividono tre bacini acquiferi che si trovano in Cisgiordania e un acquifero costiero sotto a Gaza. Condividiamo anche il bacino del fiume Giordano con la Giordania, la Siria e il Libano. I quattro paesi arabi che hanno diritti su quest’ultimo bacino, inclusa la Palestina, sono tra i firmatari della convenzione delle Nazioni Unite del 1997.

Qualunque soluzione deve essere in linea con un principio di base: quello che si può condividere va condiviso e le quote per ogni paese devono essere stabilite in base alle regole e ai principi su cui si fondano le relazioni pacifiche tra gli stati.

Il quasi-monopolio di Israele sulle risorse idriche palestinesi ha avuto effetti catastrofici sulla nostra economia e soprattutto sulla nostra popolazione. Pochi sanno che dobbiamo avere il permesso di Israele per poter scavare un pozzo o anche per rimetterne in funzione uno che già esisteva. Questo fatto ha portato al risultato che i Palestinesi hanno il consumo d’acqua pro capite più basso della regione.

Inoltre l’acqua disponibile per noi a Gaza non è neppure potabile. Questo è stato ben documentato in un rapporto delle Nazioni Unite dal titolo: “Gaza 2020: un posto vivibile?” L’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari è un diritto dell’uomo, sicuramente incontestabile.

Il gruppo di Washington che ha elaborato la proposta fatta dagli Stati Uniti aveva accesso a tutte queste informazioni, ma il suo scopo non era quello di redigere un piano di pace. Era piuttosto quello di definire una visione che regolarizzasse il controllo israeliano sul popolo, sulla terra e sulle risorse palestinesi mediante l’annessione.

Benché avessi capito che Washington sarebbe stata ideologicamente irremovibile sul dare a Israele tutta Gerusalemme e i suoi insediamenti illegali, non mi sarei aspettato che avrebbe ignorato completamente i diritti palestinesi sull’acqua, regolati dal diritto internazionale.

L’annessione della valle del Giordano e della parte palestinese del fiume non dovrebbe essere considerata una semplice “procedura di sicurezza,” ma un colpo mortale ai diritti dei Palestinesi sull’acqua e alla possibilità di raggiungere tutto il nostro potenziale sviluppo, cosa che richiede il controllo sovrano di tutti gli aspetti della nostra economia.

L’acqua, come è stato dimostrato nei vari negoziati, è un problema che richiede la cooperazione tra Israele, i Palestinesi e gli Arabi.

In molti forum multilaterali, inclusi i negoziati sul progetto per collegare il bacino del Mar Morto al Mar Rosso, un’iniziativa a livello internazionale per salvare dal prosciugamento il Mar Morto, i Palestinesi sono riusciti ad assicurare i nostri diritti rivieraschi lungo il fiume Giordano e attorno al Mar Morto. A Israele è stato chiesto di riconoscerli per poter diventare parte del progetto.

Oggi il signor Trump ci dice “ Scordateveli”.

Il suo piano prevede che ogni parte debba riconoscere il diritto dell’altra al “resto delle sue acque”. Ma se anche i confini marittimi della Palestina sono sotto il controllo israeliano, quale acqua ci resta? Inoltre prevede che Israele e la Palestina esplorino la possibilità di desalinizzare e trattare le acque reflue, ma intanto Israele utilizza le nostre legittime risorse idriche.

Il piano Trump ignora l’importanza che ha il fiume Giordano su qualunque aspetto dell’economia palestinese, inclusa la possibilità di sfruttare i nostri siti di interesse storico e culturale. Ci nega Al Maghtas, un’importante meta cristiana di pellegrinaggi, così come ci nega il Mar Morto e i suoi minerali.

L’accordo sul progetto Mar Rosso-Mar Morto tra Giordania, Israele e Palestina che ho negoziato personalmente e firmato nel dicembre 2013 è destinato a diventare, secondo la visione del signor Trump, un accordo bilaterale votato al fallimento.

Il rispetto dei diritti palestinesi sull’acqua è il requisito che sta alla base di una pace giusta e duratura. Come firmatari della convenzione delle Nazioni Unite del 1997, crediamo che la  principale linea guida di un accordo di pace tra Israele e Palestina non dovrebbe essere quella presentata dall’amministrazione Trump, ovvero la legittimazione del furto, ma piuttosto un’assegnazione equa e ragionevole delle risorse idriche. Chiediamo troppo?

Shaddad Attili è l’ex ministro palestinese dell’acqua

https://www.thenational.ae/opinion/palestine-is-not-short-on-water-just-the-right-to-use-it-1.1028024#1

Traduzione di Alice Censi – AssopacePalestina

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