Tra l’incudine dell’occupazione e il martello del coronavirus

Apr 29, 2020 | Riflessioni

Il coronavirus e la condizione dei lavoratori palestinesi

di G.N. Nithya

SP The Bullet, 19 aprile 2020

“Il colonialismo non è una macchina pensante,

non è un corpo dotato di ragione.

È la violenza allo stato di natura …”

Frantz Fanon, Les damnés de la terre, 1961

Lo scorso mese i soldati israeliani hanno scaricato un lavoratore palestinese a un posto di blocco al confine della Cisgiordania, tremante per la febbre e a malapena in grado di respirare. Secondo il Middle East Eye, “negli ultimi quattro giorni ha mostrato sintomi da coronavirus ed è stato recentemente sottoposto al test per il virus. Ma prima che l’uomo, secondo quanto riportato residente a Nablus, potesse ricevere i risultati del test, il suo datore di lavoro israeliano avrebbe chiamato le autorità, che lo hanno prelevato e l’hanno lasciato dall’altra parte del posto di blocco di Beit Sira, che collega la parte centrale di Israele alla Cisgiordania occupata”. “È come se fossimo i loro schiavi”, dice un Palestinese del posto, “Ci usano quando hanno bisogno di noi e quando hanno finito ci gettano via come spazzatura.” Da quando la crisi è iniziata i soldati israeliani hanno attivamente ostacolato la risposta all’emergenza per i Palestinesi, chiudendo molte cliniche e continuando le loro pratiche di arbitrarie demolizioni di abitazioni.

Posto di blocco a Betlemme. [Foto: Anne Paq]

L’elogio per la risposta militarizzata di Israele, “pronta per la battaglia“, alla pandemia di coronavirus ha fatto sorvolare sul modo in cui Israele ha anche trasformato il caos del coronavirus in una battaglia contro i Palestinesi. Mentre Gaza è stata strangolata da un blocco di 13 anni e da ripetute invasioni militari che hanno reso i suoi due milioni di abitanti particolarmente vulnerabili alle pandemie, in Cisgiordania i Palestinesi lottano contro una brutale occupazione che cerca di negare loro i mezzi più basilari per sopravvivere e prender cura di se stessi. Dal 9 aprile 2020, in Cisgiordania sono stati segnalati 250 casi di coronavirus. Tuttavia, questi numeri sono destinati presto ad aumentare a causa del ritorno di molti lavoratori palestinesi da Israele dopo la Pasqua ebraica e per il Ramadan. Mentre la gente in Italia e nel Regno Unito si affaccia ai balconi per applaudire i lavoratori del “settore essenziale”, i Palestinesi che lavorano nelle “industrie essenziali” israeliane si trovano schiacciati “tra l’incudine dell’occupazione e il martello del coronavirus.”1

Le organizzazioni della società civile palestinese stanno chiedendo un immediato intervento internazionale. Anche se la crisi da COVID può essere considerata un momento “eccezionale” nella recente storia mondiale, le condizioni alle quali i Palestinesi sono soggetti ci ricordano che la Nakba (l’espulsione, la spoliazione e la disumanizzazione dei Palestinesi nel 1948) non è un episodio del passato, ma è tuttora in corso. I lavoratori palestinesi sopportano il peso di questa violenza. È imperativo per la sinistra internazionale riconoscere lo scenario eccezionale della pandemia che colpisce i Palestinesi e intraprendere azioni politiche a sostegno di soccorsi immediati per l’emergenza medica e per la fine dell’occupazione israeliana.

L’occupazione e la pandemia

Molti Palestinesi si vedono negare l’accesso ai servizi sanitari di base a causa delle confische di terre e dei posti di blocco israeliani. Le comunità palestinesi nell’area C, che comprende circa il 60% della Cisgiordania, sono particolarmente a rischio 2 . Nell’area del Naqab (Negev), per esempio, oltre 80.000 Palestinesi non hanno accesso all’assistenza sanitaria di emergenza. I casi di coronavirus si stanno rapidamente diffondendo a Gerusalemme Est, dove i Palestinesi sono soggetti ai criteri discriminatori “di residenza” di Israele e ai finanziamenti del tutto insufficienti dei servizi pubblici 3. Gli ospedali palestinesi di Gerusalemme Est hanno solo 22 ventilatori polmonari per circa 350.000 persone. L’accesso ai servizi sanitari in Cisgiordania per molti lavoratori e poveri palestinesi è in calo perché le infrastrutture della sanità pubblica sono indebolite dal fatto che Israele trattiene le tasse doganali che dovrebbe versare all’Autorità Palestinese (AP), dai tagli ai finanziamenti americani sotto l’amministrazione Trump e dalle misure di austerità imposte all’AP dalla Banca Mondiale e dal FMI. In Cisgiordania sono disponibili solo 256 ventilatori polmonari per adulti per una popolazione di tre milioni di Palestinesi, e il 90% di questi è già in uso. La diffusione del virus avrà conseguenze catastrofiche per i Palestinesi.

Eppure gli sforzi dei Palestinesi per sviluppare sistemi di sostegno comunitari sono sistematicamente sabotati dall’occupazione israeliana. A marzo sono stati arrestati dei Palestinesi impegnati nella disinfezione degli spazi pubblici e nella distribuzione di pacchi di aiuti nella Città Vecchia di Gerusalemme. All’inizio di aprile, l’esercito israeliano ha arrestato il ministro degli Affari di Gerusalemme dell’Autorità Palestinese Fadi Hidmi, che cercava di assistere i Palestinesi a Gerusalemme per la pandemia COVID 4. Il 15 aprile, nonostante i quaranta casi confermati nel quartiere palestinese di Silwan a Gerusalemme Est, l’esercito israeliano ha fatto irruzione nella clinica per i test del coronavirus nella moschea locale e ha arrestato i suoi organizzatori. I residenti palestinesi di Silwan sono stati ripetutamente oggetto di sfratti ed espulsioni, così come i Palestinesi in tutta l’Area C. Analogamente, nella frazione di Khirbet Ibziq nella Valle del Giordano, l’esercito israeliano sta sabotando i tentativi di soccorso contro il coronavirus confiscando le attrezzature per la costruzione di una clinica da campo e di alloggi di emergenza per i residenti, alcuni dei quali hanno subito la demolizione delle proprie abitazioni5. Anche se le Nazioni Unite hanno chiesto il cessate il fuoco in tutte le zone di conflitto e si dice alle popolazioni di tutto il mondo di rimanere al chiuso, Israele caccia i Palestinesi dalle loro case.

Ogni giorno i Palestinesi sperimentano la segregazione istituzionalizzata attraverso il controllo israeliano sulla loro acqua, l’accesso alla quale è una necessità fondamentale durante questa pandemia. L’appropriazione e lo sfruttamento dell’acqua da parte di Israele delle falde acquifere costiere e montane nella Palestina e nella Valle del Giordano è stata una delle principali armi di guerra. Dopo l’occupazione nel 1967 della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno emanato ordini militari per consolidare il loro controllo sui bacini idrici sotterranei e sulle infrastrutture idriche, un controllo che hanno salvaguardato negli Accordi di Oslo del 1994. Decine di migliaia di Palestinesi sono costretti ad acquistare acqua (trasportata su camion o proveniente dalla società statale israeliana Mekorot) a prezzi esorbitanti. Secondo l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, più di 180 comunità rurali in Cisgiordania non hanno accesso all’acqua corrente. Nei villaggi “non riconosciuti” della Cisgiordania oltre 56.000 persone sono nella stessa situazione. Secondo Amnesty International, le spese per l’acqua possono ammontare alla metà del reddito mensile familiare in alcune delle comunità più povere. Il risultato è una discriminazione manifestamente razzista; il colono israeliano medio che vive in Cisgiordania consuma da tre a otto volte la quantità di acqua rispetto ai Palestinesi6. Questo sistema di “apartheid dell’acqua” rende impossibile per i Palestinesi, specialmente per la classe operaia e i poveri, mantenere le più elementari condizioni igieniche, necessarie per sopravvivere a questa pandemia. Secondo la Quarta Convenzione di Ginevra, Israele in quanto potenza occupante deve garantire almeno le condizioni igienico-sanitarie di base, inclusi l’acqua e i servizi igienici.

Questo momento della pandemia COVID viene sfruttato dalle autorità israeliane per intensificare ulteriormente le azioni militari, i meccanismi di sorveglianza elettronici o di altra natura, e creare nuovi “fatti sul terreno” nel processo di annessione della terra palestinese che è stato normalizzato dall’amministrazione Trump, dalle recenti decisioni della Knesset e dall'”accordo di coalizione” negoziato tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz7. Nell’ultimo mese, i principali blocchi di colonie israeliane, come Gush Etzion a sud di Gerusalemme, si stanno espandendo, tagliando ulteriormente la continuità territoriale della Cisgiordania8. Le infrastrutture stradali per soli coloni, ulteriore segno di apartheid, vengono estese nelle colonie più importanti come Ma’ale Adumim9. Mentre l’Autorità Palestinese ha imposto quarantene in Cisgiordania, l’esercito israeliano ha intensificato le incursioni notturne, gli arresti, le demolizioni di case, le evacuazioni in Cisgiordania e a Gerusalemme10. In un periodo di due settimane del mese di marzo, durante la pandemia, secondo Mondoweiss, “l’esercito israeliano ha ferito 200 Palestinesi, ne ha arrestati 100, ha demolito 16 strutture”. Le violazioni israeliane in Cisgiordania si sono nel frattempo intensificate, e recenti reportage dicono che gli attacchi dei coloni sono aumentati del 78%, con Palestinesi brutalmente aggrediti11, rapiti, ulivi sradicati, soldati israeliani che sputano sui loro beni e infine attaccati dalla gioventù colonialista che dovrebbe essere in regime di quarantena per il coronavirus.

Palestinesi che attraversano la Linea Verde e apartheid nel contenimento del virus

I Palestinesi che lavorano in Israele e nelle colonie sono particolarmente vulnerabili durante la pandemia. Dopo aver spogliato i Palestinesi della loro terra, la colonizzazione israeliana si è adoperata per trasformarli, sotto un regime militare, in lavoratori dipendenti, subordinati e sfruttabili incorporati nell’economia israeliana. Una politica di sistematico depauperamento ha soppresso lo sviluppo industriale palestinese post 1967 e, accompagnata dall’espropriazione delle terre coltivabili e dell’acqua nei Territori Occupati, ha costretto molti Palestinesi a lavorare come giornalieri in Israele e nelle stesse colonie edificate sulle loro terre confiscate. Questa politica è in piedi ancora oggi. Dato l’alto livello di disoccupazione, risultato di uno strangolamento della loro economia da parte di Israele, i Palestinesi che ora lavorano in Israele e nelle colonie sono stimati essere oltre 133.00012, mentre i loro stipendi sostengono una popolazione di oltre mezzo milione13.

Anche prima della pandemia, queste migliaia di lavoratori erano soggetti a molteplici strumenti di discriminazione razziale da parte delle autorità israeliane. Questi includono assoggettamento al sistema dei permessi ai posti di blocco, che è il principale strumento di ricatto per disciplinare politicamente i Palestinesi e costringerli alla collaborazione; condizioni disumane nei posti di blocco dove passano in migliaia nelle prime ore del mattino; umiliazioni e molestie da parte dei soldati; e discriminazione nella legge e sfruttamento nella pratica da parte dei datori di lavoro israeliani. I lavoratori palestinesi hanno scarsa o nulla protezione legale, sono pagati molto meno dei loro colleghi ebrei israeliani, senza i benefici dell’assicurazione sanitaria, pur essendo obbligati a pagare i contributi previdenziali e le quote sindacali al sindacato israeliano Histadrut senza essere rappresentati. Sono sfruttati dagli intermediari palestinesi e israeliani – sorta di mafie che li costringono a pagare tasse esorbitanti (oltre  $800 mensili) per acquistare sul mercato nero permessi solo per attraversare la Linea Verde, ma senza alcuna garanzia di reale impiego.

Gli Israeliani sono stati lodati per la loro efficacia “stile militare” nel rispondere al COVID, rafforzando l’isolamento del paese. Tuttavia, nel bel mezzo della pandemia, pur di mantenere attivi settori chiave dell’economia israeliana che rischiava di perdere 1,8 miliardi di dollari al mese solo per la cessazione delle costruzioni14, il governo israeliano ha permesso il continuo ingresso di lavoratori palestinesi in Israele. Così facendo, le autorità israeliane hanno usato la pandemia per intensificare la sorveglianza e la repressione di questi lavoratori. Ai Palestinesi che devono avere il permesso di soggiorno per stare in Israele viene ora “consigliato” di scaricare l’app per smartphone chiamata Al Munasiq” (“Il coordinatore”) che consente all’esercito israeliano di tracciare la posizione degli utenti e accedere ai loro dati personali e alla fotocamera del cellulare.

Le frontiere dell’apartheid israeliano non solo separano i Palestinesi dagli Ebrei Israeliani, ma anche gli stessi Palestinesi a seconda del loro fisico. Israele ha privilegiato i robusti lavoratori giovani palestinesi escludendo quelli più anziani. L’11 marzo, le autorità israeliane hanno annunciato nuove norme che impediscono ai lavoratori con più di 50 anni di età di attraversare il confine a partire dal 12 marzo; il 17 marzo hanno annunciato che, a partire dal 18 marzo, i lavoratori palestinesi sotto i 50 anni erano obbligati a rimanere in Israele per un periodo di uno o due mesi se volevano continuare a lavorare. Si calcola che tra i 40 e i 50mila lavoratori palestinesi siano entrati in Israele in questo modo. Tuttavia, il 25 marzo, a seguito delle pubbliche proteste per questo razzistico e disumano trattamento, il Primo Ministro palestinese ha lanciato un appello ai lavoratori palestinesi affinché rientrassero in Cisgiordania. I lavoratori sono stati obbligati a vivere in condizioni abiette nei loro luoghi di lavoro in Israele, condizioni considerate come “non adatte agli esseri umani”; inoltre Israele non ha fatto test per il coronavirus ai lavoratori. Invece di essere curati, i lavoratori che sviluppano sintomi o che sono sospettati di essere malati vengono scaricati in Cisgiordania ai posti di blocco lungo la Linea Verde, “come spazzatura“, spesso senza alcun coordinamento con le autorità palestinesi. 

In Cisgiordania si teme una possibile diffusione incontrollata del coronavirus a causa del ritorno degli oltre 40.000 lavoratori dopo l’inizio della Pasqua ebraica e del Ramadan. Inoltre il governo israeliano ha annunciato che ai lavoratori che ritornano in Cisgiordania durante questo periodo di vacanze sarà negato il permesso di rientrare in Israele per lavoro15. Questi lavoratori dipendono molto dal loro salario in Israele poiché è la sola fonte di reddito e molti hanno ancora debiti per via dei permessi acquistati per attraversare i posti di blocco16. Intanto in Israele rischiano una diretta esposizione al virus e non possono accedere a cure o test. Neanche al loro ritorno in Cisgiordania questi lavoratori possono sottoporsi ai test e far fronte alla recente ondata di casi17.

L’International Labour Solidarity con i Palestinesi

Questo periodo di crisi offre un’opportunità storica di galvanizzare i movimenti di solidarietà tra i Palestinesi e altri popoli indigeni e i lavoratori di tutto il mondo. Il 7 aprile una coalizione di organizzazioni palestinesi di diritti umani e della società civile ha lanciato un nuovo appello alla solidarietà internazionale, chiedendo a Israele di permettere l’accesso alle infrastrutture sanitarie ai cittadini in difficoltà e di rilasciare i prigionieri politici palestinesi che sono illegalmente detenuti e a rischio di esposizione al virus nelle prigioni israeliane. Hanno anche chiesto di rompere l’assedio di Gaza con un’altra Freedom Flotilla e con l’aumento della campagna BDS18. Queste coalizioni tra organizzazioni della società civile hanno rilasciato una Dichiarazione Congiunta della Società Civile Palestinese sul COVID. Al-Haq, gruppo di difesa legale di lunga data, ha istituito regolari sistemi di segnalazione per monitorare le violenze alle quali i Palestinesi sono sottoposti durante l’attuale pandemia, nonché le condizioni di base di acqua, salute e strumentazione medica. Più recentemente, il 14 aprile 2020, una coalizione di organizzazioni per i diritti umani ha lanciato un appello urgente alle Procedure Legislative Speciali delle Nazioni Unite. Hanno chiesto all’ONU di denunciare le sistematiche pratiche israeliane di discriminazione razziale e sfruttamento dei lavoratori palestinesi, che sono costretti a rischiare la loro salute e la loro vita in questa crisi. Al di là del COVID, le iniziative per portare Israele in tribunale per crimini di guerra presso la Corte Penale Internazionale hanno un impatto diretto sulla realtà attuale.

Uno dei problemi della sinistra internazionale è come mobilitare urgentemente il sostegno per le campagne e per le dimostrazioni in corso nella e dalla Palestina. Il Giorno della Nakba, il 15 maggio 2020, segnerà il 72° anno delle incalcolabili ingiustizie contro cui il popolo palestinese continua a lottare. È imperativo per le forze della sinistra collegare le specifiche condizioni del colonialismo e dell’apartheid che i Palestinesi devono affrontare con gli attacchi neoliberisti contro le classi lavoratrici nell’universo mondo. La lotta dei lavoratori palestinesi non può essere interpretata solo come una lotta nazionale per l’autodeterminazione. Il COVID-19 arriva nel momento di un’intensa crisi del capitalismo in cui la classe operaia è stata sistematicamente attaccata da decenni di neoliberismo, di mercificazione della maggiore parte dei settori della vita sociale, di espropriazione di terre e di indebitamento. I lavoratori palestinesi sono pienamente inseriti in queste trasformazioni del capitale finanziario globale, nel peculiare contesto dell’attuale regime israeliano di insediamento coloniale. Quindi la lotta dei lavoratori in Palestina contro il COVID-19 deve essere intesa come una lotta anche contro il capitalismo. L’International Labour Network of Solidarity and Struggle, tra le varie azioni, ha fatto appello ad un’azione globale unitaria dei lavoratori, chiedendo solidarietà con i Palestinesi e con tutti i popoli colonizzati in questa pandemia19. Dobbiamo agire urgentemente in solidarietà, intesa, secondo le parole di Samora Machel, rivoluzionario del Mozambico, non come “un atto di carità ma come un atto di unità tra alleati che combattono su differenti terreni per gli stessi obiettivi”20.

Note

  1. Mahmoud Zawahreh, attivista palestinese, in “Coronavirus: Israeli settlers exploit lockdown to annex Palestinian land.”
  2. Joint statement, “Israeli Apartheid Undermines Palestinian Right to Health Amidst COVID-19 Pandemic,” 7 April 2020; World Health Organization, “Overcoming barriers to healthcare access in the West Bank with mobile clinics.”
  3. Nir Hasson, “After Weeks of Warning, Coronavirus Spreading Among Palestinians in East Jerusalem,” 14 April 2020; J. Ahmad, “Falling between the cracks in Jerusalem,” 30 March 2020.
  4. Daoud Kuttab, “Palestinian minister claims Israeli police physically abused him,” 4 April 2020; Dr. Ashrawi, “Israel deliberately undermining Palestinian efforts to combat COVID19 pandemic,” 3 April 2020.
  5. B’Tselem, “During the Coronavirus crisis, Israel confiscates tents designated for clinic in the Northern West Bank,” 26 March 2020; The New Arab, “Coronavirus under occupation: Israeli forces demolish emergency health clinic for Palestinians,” 27 March 2020.
  6. Adri Nieuwhof, “Israeli settlers use six times more water than Palestinians,” 8 April 2013; Al-Haq, “On World Water Day, Al-Haq Recalls Israeli Water-Apartheid Amidst a Global Pandemic,” 23 March 2020.
  7. Chaim Levinson, Jonathan Lis, “Netanyahu, Gantz Agree on West Bank Annexation Proposal as Unity Deal Nears,” 6 April 2020; Yaser Alashqar, “From Covid-19 to the ‘Deal of the Century’ – Palestine and international law,” 8 April 2020.
  8. “Israel exploiting coronavirus for settlement expansion,” 12 March 2020; Akram Al-Waara, “Coronavirus: Israeli settlers exploit lockdown to annex Palestinian land,” 27 March 2020.
  9. Haaretz editorial, “Israel’s Latest Highway to Apartheid,” 11 March 2020; for background: “The E1 plan and its implications for human rights in the West Bank,” 27 Nov. 2013.
  10. Ali Abunimah, “Israel attacks Palestinians as they fight COVID-19,” 31 March 2020; “Israel demolishes Palestinian homes amid coronavirus crisis,” 28 March 2020; “Since coronavirus pandemic outbreak: Israel kidnapped 292 Palestinian,” 3 April 2020.
  11. Tamara Nassar, “Settler attacks rise by 78 percent amid pandemic,” 11 April 2020; “Jewish Settlers Attack Palestinian Family Homes in Hebron,” 6 April 2020.
  12. Le stime includono Gisgiordania e Gaza, “The Labour Force Survey Results 2019,” Palestinian Central Bureau of Statistics.
  13. In una recente intervista ad Al-Jazeera, il direttore dell’International Labour Organization (ILO) a Gerusalemme ha stimato che i  lavoratori palestinesi siano 200.000, il che significa che il loro salario sostiene una popolazione di oltre un milione di persone (supponendo che ogni lavoratore abbia almeno cinque persone a carico). (“Palestinian labourers fear loss of income as well as coronavirus”).
  14. ll 6 marzo 2020 il quotidiano finanziario israeliano Calcalist ha stimato perdite significative pari a 1,8 miliardi di dollari al mese per il settore edile se i lavoratori palestinesi non fossero stati ammessi, vd. Ahmad Melhem, “Israel tightens grip on Palestinian workers to limit COVID-19,” 20 March 2020; Adam Rasgon, “PA urges Palestinian workers to return to West Bank as Israel’s virus cases grow,” 25 March 2020.
  15. Jack Khoury and Hagar Shezaf, “Palestinians fear coronavirus surge as workers return from Israel over passover,” 4 April 2020; Rania Zabaneh, “Palestinians brace coronavirus outbreak workers return,” 6 April 2020.
  16. Zeina Amro, “A Glimpse into the COVID-19 Crisis in the Context of Palestine,” 2 April 2020; Alex Lederman, “Palestinian labourers fear loss of income as well as coronavirus,” 28 March 2020.
  17. Palestinians brace for influx of workers as Covid-19 cases continue to rise; see video.
  18. Al-Haq, “In the face of potential COVID-19 outbreak in the Gaza Strip, Israel is obliged to take measures to save lives,” 7 April 2020; Palestinian Human Rights Organizations Council press release, “PHROC Calls the International Community & ICRC for an Urgent Intervention,” 23 March 2020; Samidoun, “Virtual call to action for Palestine: COVID-19, Gaza and the Struggle for Justice,” 16 March 2020; also see, internationally: Michael Arria, “Warren, Van Hollen lead Senators in demanding Trump admin send aid to Palestine amid COVID-19 crisis,” 27 March 2020; IfNotNow, “Demand Israel Protect Palestinians in Gaza.”
  19. Solidaires (CM), “Coronavirus: colonialism worsens the situation too,” 1 April 2020; Solidaires (CM), “Palestine in the Time of Covid-19,” 9 April 2020.
  20. Salim Vally, “From South Africa to Palestine, Lessons for the New Anti‐Apartheid Movement,” Left Turn, Notes from the Global Intifada, April 2008.

G.N. Nithya è un dottorando Ph.D. della York University.

Traduzione di Elisabetta Valento – Assopace Palestina

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