I prigionieri palestinesi tra la minaccia di COVID-19 e le politiche arbitrarie di Israele

Apr 16, 2020 | Notizie

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Nota dell’OLP, 15 aprile 2020

Introduzione

Fin dall’inizio di questa occupazione israeliana lunga più di mezzo secolo, la detenzione e il maltrattamento di prigionieri palestinesi non si sono limitati a incidenti concreti e specifiche violazioni. In qualunque caso, indipendentemente dalla situazione e dalle circostanze, le autorità di occupazione hanno permesso il continuo, sistematico e generalizzato arresto dei Palestinesi. Tale comportamento si basa su un sistema distorto di leggi militari e legislazione razzista che pretende di imporsi come fosse al di sopra del diritto internazionale. La potenza occupante, Israele, ha anche adottato politiche di repressione, privazione e persecuzione contro i prigionieri palestinesi, in violazione di tutte le leggi internazionali e umanitarie. Di conseguenza, i prigionieri palestinesi hanno pagato un prezzo elevato in difesa della propria dignità e del proprio popolo.

Mentre celebriamo, il 17 aprile, la Giornata dei Prigionieri Palestinesi, questo breve riassunto vuole evidenziare gravi violazioni israeliane contro i prigionieri palestinesi, poiché la loro salute e la loro vita sono attualmente in pericolo per la mancanza di provvedimenti e materiali di base per contrastare la diffusione del coronavirus ( COVID-19). Questo è un rinnovato invito alla comunità internazionale ad agire immediatamente prima che sia troppo tardi, per garantire la sicurezza dei prigionieri palestinesi e chieder conto alla potenza occupante delle sue violazioni dei diritti dei prigionieri.

Le politiche arbitrarie di Israele continuano nonostante la diffusione di COVID-19

Per frenare la diffusione della pandemia di COVID-19, lo Stato della Palestina ha dichiarato lo stato di emergenza per proteggere i suoi cittadini. Tuttavia, Israele ha cercato di rafforzare le sue politiche repressive contro il popolo palestinese, soprattutto con le sue pratiche di arresti e molestie nei confronti dei prigionieri palestinesi all’interno delle carceri. Durante l’epidemia di COVID-19, Israele ha finora messo in atto quanto segue:

• Una campagna di detenzioni sistematiche e arresti di cittadini palestinesi nelle città, nei villaggi e nei campi profughi della Cisgiordania, compresa Gerusalemme est e la Striscia di Gaza. Da marzo ad oggi, le forze di occupazione israeliane hanno arrestato 357 Palestinesi, tra cui 48 minori e 4 donne. E dall’inizio del 2020, sono stati arrestati quasi 1324 Palestinesi, tra cui 210 minori e 31 donne.1

• Il 26 marzo 2020, le forze di occupazione israeliane hanno arrestato 8 volontari palestinesi mentre stavano disinfettando strade e servizi in vari quartieri di Gerusalemme occupata. Per lo stesso motivo, il 23 marzo, hanno arrestato altri 4 volontari alla Porta del Leone nella Città Vecchia di Gerusalemme e hanno confiscato le loro attrezzature di sterilizzazione. Il 24 marzo, ad altri volontari nella città vecchia di Hebron è stato impedito di svolgere la stessa attività e di dare istruzioni per la prevenzione del virus; le forze israeliane hanno ordinato ai volontari di andarsene con la minaccia delle armi.

• Le forze di occupazione israeliane hanno anche preso di mira e fatto irruzione nel quartier generale dei comitati di emergenza palestinesi. Il 30 marzo hanno aggredito i membri del comitato e le squadre che operavano nel villaggio di Hizma. E il 31 marzo hanno fatto lo stesso nel villaggio di Sur Baher a Gerusalemme, dove hanno arrestato 3 Palestinesi dopo aver confiscato 300 pacchi di cibo che avrebbero dovuto essere distribuiti alle famiglie bisognose.

• Per dare un giro di vite alla città, Israele ha continuato a detenere i leader palestinesi nella Gerusalemme occupata. Il 3 aprile, la polizia israeliana e i servizi di intelligence, usando cani poliziotti, hanno arrestato il ministro degli Affari di Gerusalemme, Fadi Al-Hidmi, dopo aver distrutto le porte esterne e interne della sua casa. Lo hanno anche aggredito durante le indagini e l’hanno costretto a indossare una mascherina usata e macchiata di sangue. Il 5 aprile hanno inoltre arrestato nuovamente il governatore di Gerusalemme Adnan Ghaith. Lo stesso è accaduto in altre parti della Palestina occupata, tra cui Nablus, dove hanno arrestato un membro della polizia civile palestinese, Ibrahim Abu Ghosh, durante il raid delle forze israeliane sulla città del 2 aprile.

• Tra le sue varie decisioni razziste, l’Israeli Prison Service (IPS) ha recentemente interrotto la fornitura di 140 articoli essenziali, tra cui cibo, prodotti per la pulizia e strumenti di sterilizzazione. Ha conservato negli spacci delle carceri solo i prodotti costosi. Questo fa seguito ad altre misure punitive, tra cui: il ritiro delle mattonelle utilizzate per cucinare, la riduzione da dieci a sette del numero di stazioni TV consentite e la diminuzione del numero di pagnotte per ciascun prigioniero. Nonostante le difficili condizioni globali causate dalla diffusione di COVID-19, l’IPS ha anche bloccato i soldi pagati dall’Autorità Nazionale Palestinese per i prigionieri, impedito l’entrata in carcere delle cose a loro necessarie e impedito di comunicare telefonicamente con le famiglie dopo aver interrotto le visite.

• Israele rifiuta ancora di rilasciare i prigionieri più vulnerabili, inclusi malati, anziani, minori, donne, detenuti amministrativi e altri le cui condanne stanno per essere completate. Israele trascura anche di prendere le misure precauzionali e preventive all’interno delle sue prigioni, misure che sarebbero necessarie per proteggere i prigionieri palestinesi dal COVID-19. Ha del tutto sospeso il sistema di “detrazioni dai termini di pena” utilizzate per ridurre il sovraffollamento nelle carceri.

Israele come tipico regime coloniale di controllo e repressione

Alla luce della diffusione della pandemia COVID-19, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite (OHCHR) hanno pubblicato una guida provvisoria che riguarda le persone private della libertà. Le Nazioni Unite hanno anche lanciato urgenti appelli per il rilascio dei prigionieri e hanno invitato i paesi ad adottare le misure necessarie per proteggerli durante la pandemia. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha sottolineato la necessità per i governi di rilasciare “ogni persona detenuta senza una base giuridica sufficiente, compresi i prigionieri politici, e quelle detenute per opinioni critiche e dissenzienti”. Sono state rilasciate diverse altre dichiarazioni, tra cui il Sottocomitato delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura (SPT) e gli inviati del Segretario generale delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, che hanno chiesto “un’attenzione speciale alla situazione difficile dei detenuti, dei rapiti e dei dispersi, raccomandando liberazioni umanitarie, l’accesso per le organizzazioni umanitarie e misure urgenti per garantire adeguate cure mediche e misure di protezione in tutti i luoghi di detenzione”.

Sulla base di queste direttive per contenere la diffusione del virus, alcuni paesi europei hanno adottato misure specifiche per garantire la sicurezza dei detenuti in previsione delle conseguenze della pandemia sulle condizioni di vita all’interno delle carceri. In Belgio, “l’Amministrazione penitenziaria belga ha adottato diverse misure per proteggere i prigionieri e il personale carcerario” ed ha anche prodotto e distribuito diverse migliaia di mascherine mediche in molte prigioni del paese. In Francia, “il ministero della Giustizia ha annunciato che nei prossimi giorni saranno rilasciate circa 5.000 persone che stanno per finire la loro pena detentiva e hanno seguito il loro percorso correttivo”. Inoltre, è stato annunciato che ogni detenuto avrebbe “potuto beneficiare di un credito di € 40 al mese sul suo conto telefonico”. L’Olanda “ha modificato le norme sull’arresto e sulla detenzione nel caso di reati ‘minori’ per ridurre il numero di nuovi detenuti”. In Germania, diversi stati federali hanno annunciato che “le sentenze minorili sono sospese e i minorenni saranno rilasciati”. E in Lussemburgo, uno dei due principali istituti penitenziari per adulti ha deciso di aumentare le sale di visita dedicate alle chiamate su Skype.

In altri paesi, come il Regno Unito, è stata concessa una liberatoria temporanea alle donne recluse incinte e alle madri detenute con i loro bambini piccoli. Il Ministero della Giustizia del Regno Unito ha anche annunciato che avrebbe rilasciato oltre 4.000 prigionieri in tutto il regno. E in Canada, i giudici hanno rilasciato un gruppo di prigionieri in base alla costatazione che COVID-19 rappresenta una minaccia per chi sta dietro le sbarre.

In Israele, secondo l’associazione Addameer per il Sostegno e i Diritti Umani dei Prigionieri, l’autorità carceraria ha emesso una decisione di rilascio di 500 prigionieri criminali israeliani, la cui pena sta per essere completata, che verranno trasferiti in isolamento domiciliare e saranno rilasciati alla fine della pena. Inoltre, l’autorità ha aumentato di centinaia di shekel la cifra che i prigionieri israeliani possono spendere allo spaccio e ha concesso loro un pagamento aggiuntivo di 200 shekel durante le festività della Pasqua ebraica.

Israele ha scelto semplicemente di applicare le direttive internazionali relative a COVID-19 a beneficio dei suoi prigionieri criminali. Sebbene i prigionieri palestinesi siano prigionieri politici e non criminali, invece di prendere misure immediate per liberare i più vulnerabili tra loro, o almeno adottare misure decisive per frenare la diffusione del virus, il potere occupante ha sospeso tutte le visite familiari ai prigionieri palestinesi e qualsiasi contatto diretto con i loro avvocati, senza peraltro fornire soluzioni alternative.

Israele ha rafforzato il suo controllo su circa 5.000 prigionieri palestinesi, tra cui 180 minori, 41 donne, 430 detenuti amministrativi e 700 detenuti malati, di cui oltre 200 con malattie croniche che necessitano di cure estensive. Tra i prigionieri più gravi, 16 soffrono di deficienza immunitaria, cancro e altre malattie cardiache e renali. Va notato che dall’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967, almeno 222 prigionieri palestinesi sono stati uccisi nelle carceri israeliane, 67 dei quali sono morti per la politica di deliberata negligenza medica e tortura. Solo nel 2019, 5 prigionieri palestinesi hanno perso la vita per le stesse ragioni.2

Queste misure costituiscono una chiara dimostrazione di quanto sia discriminatoria la mentalità di questo regime coloniale autocratico. La repressione sistematica della polizia israeliana nei confronti del popolo palestinese mira in definitiva a distruggere e smantellare il tessuto sociale e strutturale palestinese, rafforzando l’isolamento dei nostri fratelli dall’ambiente esterno e dalle famiglie in particolare.

Il piano Trump e i prigionieri palestinesi

Gli schemi di Israele sono in linea con il Piano Trump che dedica una sezione apposita ai prigionieri palestinesi, in cui propone clausole impossibili ma studiate in modo da rispettare pienamente le condizioni israeliane. Il piano dà a Israele l’autorità assoluta per controllare il rilascio dei prigionieri, compresi i termini entro cui ciò dovrebbe avvenire. Stabilisce inoltre, violando tutti i principi dei diritti umani, che ogni prigioniero rilasciato dovrebbe firmare un impegno ideologicamente ambiguo a migliorare la convivenza tra Israeliani e Palestinesi; dovrebbero cioè comportarsi in modo da rappresentare un modello di convivenza. Se i prigionieri si rifiutassero di firmare questo impegno, rimarrebbero in prigione.

Il piano Trump prevede anche il rilascio di prigionieri e detenuti amministrativi palestinesi che sono nelle carceri israeliane, ad eccezione (secondo la descrizione del piano) di condannati per: 1- omicidio e tentato omicidio, o 2- cospirazione per commettere omicidio (“terroristi”) e 3- detenuti dei casi 1 e 2 con cittadinanza israeliana. Dato che il principio di base in tutti i conflitti è la liberazione totale dei prigionieri alla fine del conflitto e alla firma di un accordo, il Piano Trump applica questo principio solo ai detenuti israeliani arrestati dai Palestinesi.

È importante notare che le condanne sopra menzionate sono state sentenziate dai tribunali militari israeliani che non soddisfano gli standard minimi richiesti a livello internazionale per un processo equo. I tribunali militari israeliani violano anche il diritto internazionale perché operano nello Stato di Israele, piuttosto che nella Palestina occupata. Per quanto riguarda il resto dei prigionieri palestinesi, il loro rilascio non sarebbe possibile prima del ritorno in Israele dei soldati israeliani o dei loro resti. Non solo, la liberazione dei prigionieri palestinesi non avverrebbe immediatamente, come avviene quando si firma un accordo di pace, ma verrebbe effettuata in più fasi.

In molte occasioni, la leadership palestinese ha ribadito di non riconoscere questo piano. Ha espresso il rifiuto assoluto di tutti i suoi diktat e condizioni che il popolo palestinese non accetterà mai. Il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi è un pilastro centrale per una soluzione equa e completa che porti alla realizzazione della sovranità dello stato di Palestina entro i confini del 1967 e con Gerusalemme est come capitale.

Un pericolo imminente per i prigionieri palestinesi nelle carceri dell’occupazione

I prigionieri palestinesi hanno espresso profonda preoccupazione e paura per la diffusione di COVID-19 all’interno delle carceri in conseguenza della sua rapida diffusione in Israele, in particolare dopo che alcuni carcerieri e investigatori israeliani hanno contratto il virus. I prigionieri palestinesi hanno chiesto al mondo libero di non lasciarli morire sui loro letti mentre l’infezione si sta diffondendo senza che nessuno la fermi. Hanno esortato la comunità internazionale ad intervenire urgentemente per salvare le loro vite, in modo che le carceri non si trasformino in fosse comuni.

Alla luce del rifiuto del Servizio penitenziario israeliano di esaminare i prigionieri e adottare altre misure necessarie per frenare la diffusione di COVID-19, i prigionieri palestinesi hanno inviato numerosi messaggi e appelli alle organizzazioni palestinesi per i diritti umani e alla comunità internazionale per salvare le loro vite – specialmente dopo il rilascio avvenuto il 1° aprile dalla prigione di Ofer del prigioniero palestinese Nour Eddin Sarsour, che è stato trovato positivo al test per il virus.

Le condizioni subite dai prigionieri palestinesi in situazioni ordinarie sono gravi, e in gran parte equivalgono a reati contro il diritto internazionale umanitario. I prigionieri palestinesi di solito soffrono per negligenza medica deliberata, torture, abusi, isolamento carcerario, trattamenti inumani e degradanti, percosse e imposizione di sanzioni. Sono privati ​​sia della libertà che del contatto umano.

Alla luce della mancanza di igiene e ventilazione generale nelle carceri israeliane, di un elevato aumento dell’umidità, di una grave carenza di materiali per la pulizia generale e di pesticidi, resta da chiedersi: cosa accadrà nelle carceri israeliane se i prigionieri palestinesi contrarranno il virus?

Focus: Testimonianze in diretta dalle prigioni in Israele 3

(1) Mahmoud, 25 anni, di Nablus e rinchiuso nel carcere di ‘Nafha’ 4 , dichiara:

“In questa sezione, notoriamente vecchia, in cui sono io, ci sono 54 prigionieri, tra cui più di 7 malati e anziani, la cui vita, in ogni momento, è assai minacciata. Dopo che l’autorità penitenziaria ha smesso di fornire oltre 140 generi alimentari di base e prodotti per la pulizia di cui abbiamo disperatamente bisogno, gestiamo la nostra vita quotidiana con grande cura. All’inizio hanno ritirato la candeggina, ma l’hanno restituita quando abbiamo protestato. C’è penuria di denaro contante e noi, a differenza di tutti gli altri prigionieri del mondo, dobbiamo spendere i nostri soldi. Paghiamo per il cibo, le sigarette, i vestiti, ecc., ma a causa della sospensione delle visite di avvocati e familiari, ci troviamo in difficoltà finanziarie. Purtroppo il mondo non presta attenzione alle pratiche dell’occupazione contro di noi nel contesto dell’epidemia di coronavirus.”

Riferendosi ai prodotti costosi dello spaccio del carcere, Mahmoud ha aggiunto: “I prezzi dello spaccio sono il doppio dei prezzi di mercato, e sappiamo che l’autorità penitenziaria e l’azienda Dadash rubano i nostri soldi alzando i prezzi e approfittando della nostra presenza in carcere. Sono personalmente pronto a sporgere denuncia contro di loro in tribunale.”

Sulle misure prese dal Servizio Penitenziario Israeliano per limitare la diffusione di COVID-19, ha aggiunto: “Siamo molto preoccupati per la negligenza dell’autorità penitenziaria nell’affrontare seriamente la questione. Prendono misure di sicurezza per proteggere sé stessi usando sterilizzatori e indossando mascherine e guanti senza fornirci nulla di tutto questo. Siamo consapevoli che potremmo prima o poi contrarre il virus, specialmente dopo aver saputo che il vicedirettore del carcere di Ofer è stato infettato dal virus. Quindi, dipendiamo da noi stessi e abbiamo adottato misure di protezione utilizzando acqua calda, sapone, candeggina per sterilizzare i locali, le sezioni, e persino il cibo che riceviamo dalla mensa.” Continua: “Israele ci tiene in ostaggio. Dio non voglia, ma noi sappiamo che se un prigioniero politico palestinese entra in contatto con il virus, Israele non toglierà un respiratore da una bocca israeliana per metterlo sulla nostra, non toglierà un letto a un israeliano per darlo a noi. Non fornirà le necessarie cure mediche poiché non le fornisce neanche in circostanze normali e sappiamo che non si occuperà di noi come (cittadini) di seconda o terza classe, ma come di ultima categoria. Le procedure dell’amministrazione penitenziaria creano tensione e instabilità tra i detenuti”.

Mahmoud spiega lo stato di ansia e tensione che i prigionieri palestinesi generalmente sopportano perché sono sempre preoccupati per le loro famiglie, specialmente alla luce della diffusione di COVID-19 e dell’interruzione delle comunicazioni con loro: “Per la prima volta dal nostro arresto,  sentiamo che siamo noi a voler notizie della nostra famiglia e dei nostri amici, e non il contrario, come avviene di solito. In queste condizioni, è il diritto umano più elementare quello di sapere come stanno i nostri cari, viste le limitazioni di movimento a loro imposte e la quantità di persone infettate. È anche loro diritto l’essere assicurati che noi stiamo bene mentre il pericolo persiste. Ci troveremo di fronte a una situazione catastrofica se il mondo non si muove subito, prima del verificarsi di un massacro all’interno delle carceri”.

(2) Hussein, 42 anni, di Gerusalemme e rinchiuso nel carcere di al-Naqab 5, dichiara:

“Siamo una società piccola e pluralistica. Viviamo in condizioni terribili in queste tende che sono state allestite solo per opprimere e perseguitare. Abbiamo molti anziani e persone che soffrono di patologie croniche. Alcuni prigionieri detenuti hanno bisogno di sostegno perché ammalati di immunodeficienza. Mancano i più elementari diritti di accesso all’assistenza sanitaria, cure mediche e personale medico come si dice che esistono in tutte le prigioni del mondo. C’è solo una clinica che chiamiamo il mattatoio; perché sappiamo che l’ambiente carcerario è totalmente insalubre e inadeguato per la detenzione di esseri umani.”

Riguardo al loro essere deprivati di 140 varietà di cibo, ha aggiunto: “Malgrado queste difficili circostanze, l’autorità penitenziaria sta adottando una politica di ricatto e punizione privandoci delle principali provviste di cui abbiamo più bisogno. Inoltre, l’impossibilità di avere il nostro denaro ci causa una pressante crisi all’interno del carcere. A differenza di altri detenuti nel mondo che usufruiscono del diritto di ottenere le cose necessarie a spese dello stato che li detiene, noi paghiamo di tasca nostra vestiti, coperte, sigarette, ecc. […] i nostri diritti sono divenuti mere richieste che rivolgiamo all’autorità penitenziaria ma che sono poi accolte con un rifiuto. Recentemente hanno risposto che stanno vagliando le nostre richieste e che ci daranno una risposta dopo la Pasqua ebraica. Dalla nostra lunga esperienza con loro, sappiamo che non ci risponderanno perché non otteniamo alcun diritto in condizioni normali, figuriamoci durante una pandemia”

Rispetto alla minaccia COVID-19, Hussein dice: “L’orrore si è diffuso tra di noi appena saputo del rifiuto dell’autorità carceraria di esaminare campioni del carcere di Oferdopo il rilascio di un prigioniero infettato, Nour Eddine Sarsour, e il trasferimento e isolamento di quelli che erano in contatto con lui nella sezione. Questi prigionieri non sono in quarantena, ma in celle di isolamento, il che equivale a una punizione. L’autorità penitenziaria non ci ha fornito mascherine o sterilizzatori e non ha seguito le raccomandazioni dell’OMS. Ci sono superpotenze che non sono state in grado di affrontare il coronavirus, quindi cosa faremo se, Dio non voglia, la pandemia si diffonderà tra di noi? I posti dove dormiamo o mangiamo, così come i cortili non sono sanificati. Siamo in una situazione molto critica. Chiediamo quindi a tutte le organizzazioni palestinesi, arabe e internazionali, nonché ai membri della Knesset, di intervenire immediatamente. Quello che sta succedendo qui non può essere tollerato da nessun essere umano. Chiediamo anche di essere trattati secondo le condizioni stabilite dalle Convenzioni di Ginevra e dagli accordi internazionali, e quindi di godere di tutti i diritti dei prigionieri, così come di attivare un dossier dei prigionieri presso la Corte penale internazionale.”

Sia Mahmoud che Hussein hanno chiesto l’immediato rilascio, almeno in questa fase, dei detenuti malati, anziani, bambini e donne, mentre bisogna concentrarsi sull’aspetto medico e sulla deliberata negligenza del Servizio Penitenziario Israeliano.

 (3) Hazem Al-Shobaki, figlio di Fouad Shobaki, 81 anni, della Striscia di Gaza e detenuto nel carcere di al-Naqab 

Essendo il prigioniero più anziano, Shobaki è chiamato il nonno. Suo figlio Hazem Al-Shobaki dice:

“Mio padre soffre di una serie di malattie. Le sue condizioni di salute peggiorano costantemente a causa dell’età, delle difficili condizioni carcerarie e della negligenza medica. Ha il cancro alla prostata, il diabete, l’ipertensione arteriosa, le emorroidi, problemi a urinare, problemi alla vista e anemia. Dopo il peggioramento delle sue condizioni di salute, più di una volta, è stato trasferito all’ospedale di Ramla. Recentemente è stato sottoposto a un’operazione agli occhi che era stata preceduta da altre operazioni, in cui parte dei reni è stata asportata a causa di un tumore in quella zona.” Il figlio aggiunge: “Mio padre non riceve cure adeguate. Tutto quello che riceve, di tanto in tanto, sono antidolorifici ed esami. La sua salute è deteriorata al punto che non può camminare, muoversi o andare al bagno senza l’aiuto dei suoi compagni.”

Riguardo alla diffusione di COVID-19, Hazem ha aggiunto: “Non sappiamo come mio padre e il resto dei prigionieri stiano affrontando questa crisi che sta affliggendo il mondo intero. Come stanno gestendo l’ansia per la diffusione di questa infezione nelle prigioni, specialmente con la mancanza  di misure preventive e protettive da parte dell’amministrazione. Sarebbe ragionevole che Israele rilasciasse immediatamente mio padre e tutti i prigionieri malati e anziani. Che tipo di pericolo può rappresentare per Israele la liberazione di un prigioniero malato? Tutto quello che vogliamo è essere sicuri che mio padre stia bene; non sappiamo se è vivo o vicino alla morte. Vogliamo solo che egli passi il resto della sua vita tra i suoi figli e nipoti.”

La comunità internazionale ha l’obbligo di costringere Israele, in quanto autorità che ha proceduto agli arresti, a rispettare i suoi impegni e a salvare la vita dei prigionieri.

Viste le attuali straordinarie circostanze, tra grandi paure e preoccupazioni per la sorte dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, c’è stata una sollecita iniziativa da parte delle organizzazioni politiche e dei diritti umani palestinesi e internazionali a livello giuridico, politico e diplomatico. A oggi, Israele continua a non rispondere alle richieste palestinesi e internazionali, che chiedono la protezione e il rilascio dei prigionieri palestinesi, in particolare dei malati, degli anziani, dei bambini, delle donne, delle persone in detenzione amministrativa e di coloro le cui condanne sono in via di completamento.

Alla luce dell’inosservanza di Israele delle disposizioni del diritto umanitario internazionale, lo Stato di Palestina rinnova la richiesta agli organi delle Nazioni Unite, alle Parti contraenti le Convenzioni di Ginevra e ai Relatori Speciali delle Nazioni Unite, affinché si assumano immediatamente le loro responsabilità e facciano pressioni su Israele perché adempia ai suoi obblighi in quanto autorità che ha eseguito gli arresti. Chiede inoltre al Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) di comunicare in modo efficace con i prigionieri palestinesi per garantire loro il modo di comunicare con le famiglie e gli avvocati. La Palestina continuerà a sollecitare la comunità internazionale al fine di designare una commissione d’inchiesta per accertare la situazione all’interno delle carceri israeliane, così da garantire la protezione dei prigionieri palestinesi, soprattutto durante la diffusione di COVID-19. In questo contesto, la Palestina ribadisce la sua richiesta alla Corte Penale Internazionale (CPI) di accelerare l’apertura delle indagini sui crimini israeliani.

Conseguire la tanto attesa giustizia è esclusivamente un atto umano, legale e politico per ristabilire i diritti delle nostre vittime. È una lotta legittima che il popolo palestinese denunci le pratiche illegali della potenza occupante e dei suoi carcerieri nei forum internazionali perché vengano loro attribuite le responsabilità che meritano. È tempo di porre fine a quest’epoca buia nella storia del popolo della Palestina.

Note:

  1. Joint Report by the Palestinian Prisoners’ Club, the Commission of Detainees and Ex-Detainees Affairs, and Addameer (Issued on 7 April 2020).
  2. Ibid.
  3. La detenzione di prigionieri nelle carceri israeliane è una flagrante violazione dell’articolo 76 della Quarta Convenzione di Ginevra che stabilisce “Gli individui sotto occupazione accusati di reati saranno detenuti nel paese occupato e, se condannati, sconteranno la loro pena in quel paese. Essi saranno, se possibile, separati dagli altri detenuti e godranno di condizioni alimentari e igieniche sufficienti a mantenerli in buona salute, e che saranno almeno pari a quelle ottenute nelle carceri del paese occupato. Essi hanno anche il diritto di ricevere qualsiasi assistenza spirituale di cui possano avere bisogno.”
  4. Il carcere di Nafha si trova nella zona desertica meridionale di Israele, ad appena 100 km dalla città di Beer al-Sabe’ (Beersheba) e a 200 km dalla città di Gerusalemme. È noto per essere freddissimo in inverno e caldissimo in estate. Qui i prigionieri palestinesi affrontano le condizioni più dure e nuove sezioni sono state costruite per isolare i leader palestinesi dal resto dagli altri prigionieri. È circondato da fortificazioni di massima sicurezza e il nuovo edificio è composto da 3 sezioni, ognuna delle quali ospita circa 120 detenuti, e ogni sezione ha 10 celle. Ci sono circa 10 detenuti in ogni cella che comprende un vaso wc e un lavandino. Ogni cella ha un’area che non eccede i 3-5 metri quadrati [non è chiaro se si debba invece intendere celle quadrate di 3 o 5 m di lato, NdT], è alta circa 2,5 metri, e con una finestra di meno di un metro quadrato per la ventilazione.
  5. Il carcere di Al Naqab: aperto da Israele nel 1988 per accogliere le migliaia di Palestinesi arrestati in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza a seguito delle proteste della Prima Intifada. Nel 1996 l’occupazione israeliana chiuse questa prigione e l’ha riaperta nell’aprile 2002 per accogliere migliaia di Palestinesi arrestati per la loro partecipazione all’Intifada di Al-Aqsa. Il carcere si trova 180 km a sud di Gerusalemme e 10 km a est del confine egiziano; malgrado sia situato nel deserto, Israele ha aumentato il suo isolamento costruendo mura di cemento. Il carcere, vicino al reattore nucleare di Dimona, manca delle più elementari condizioni umane. 

https://www.nad.ps/en/media-room/media-briefs/palestine%E2%80%99s-prisoners-between-threat-covid-19-and-israel%E2%80%99s-arbitrary

Traduzione di Donato Cioli ed Elisabetta Valento – Assopace Palestina

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