Con il mondo pre-occupato dal Coronavirus, Israele spinge per la conquista della Cisgiordania

Apr 4, 2020 | Riflessioni

Spingere per l’annessione proprio in questo momento significherebbe giocare col fuoco. Porterebbe probabilmente Israeliani e Palestinesi ad una guerra su due fronti: un conflitto armato durante la battaglia, priva di coordinamento, contro COVID-19

Evan Gottesman

Haaretz, 2 aprile 2020

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Sanificazione di un’abitazione all’interno del campo profughi di al-Fari’ah, parte di una campagna di prevenzione dal coronavirus dell’UNRWA e del Comitato Popolare. 31 marzo 2020. RANEEN SAWAFTA/ REUTERS

Un governo unitario di emergenza per affrontare il coronavirus: questa è stata la proposta di Benjamin Netanyahu ai suoi rivali di Kahol Lavan [partito Blu e Bianco] dopo le elezioni della Knesset del 2 marzo in Israele. Benny Gantz, leader di Kahol Lavan, ha accettato quello che considerava un sincero invito da parte di Netanyahu a “mettere da parte la politica” per il bene del paese, causando per questo una spaccatura all’interno del proprio partito. Ed ora il primo ministro sta mostrando che affrontare la pandemia non è mai stata la sua unica priorità.

Con i negoziati per la coalizione di governo in corso a Gerusalemme, l’annessione della Cisgiordania resta in cima alle priorità nel programma della destra israeliana. Netanyahu intende ancora seguire il piano Trump, e Naftali Bennett, leader del partito Yamina ed attualmente Ministro della Difesa, pone l’annessione come condizione per la propria partecipazione al governo.

Questa svolta revanscista si scontra con il successo della cooperazione israelo-palestinese sul fronte del coronavirus, un risultato che non sarebbe scontato se gli annessionisti ottenessero quello che vogliono.

Israele è stato elogiato, cosa rara, dalle Nazioni Unite per la collaborazione con l’Autorità Palestinese sul fronte della pandemia da coronavirus. L’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, ha fatto notare “una cooperazione stretta, senza precedenti, finalizzata al contenimento dell’epidemia.” Parlando al Middle East Quartet alla fine della scorsa settimana, l’Inviato Speciale dell’ONU Nickolay Mladenov ha richiamato quella valutazione, dichiarando la coordinazione “eccellente“.

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Un uomo vende pane vicino a un posto di blocco controllato da Israele, presso Ramallah, a Palestinesi che si recano al lavoro in Israele. 19 marzo 2020. MOHAMAD TOROKMAN/ REUTERS

L’agevolazione del rientro sicuro dei lavoratori palestinesi ospiti in Israele (ed il pernottamento per coloro che vi restano), la creazione di un meccanismo unitario di comunicazione, la fornitura di kit per i test e di attrezzature protettive ai territori occupati (sebbene finora in quantità relativamente limitate), oltre al rafforzamento delle restrizioni per la salute pubblica dai due lati della Linea Verde sono tutte conquiste fondamentali nella lotta di Israele e dell’Autorità Palestinese contro il coronavirus.

L’impegno non è stato facile, con incidenti come l’evidente abbandono da parte della polizia israeliana di un lavoratore palestinese malato ad un posto di blocco in Cisgiordania. La Cisgiordania inoltre soffre ancora di penuria di ventilatori ed altra strumentazione essenziale. E Gaza, con il suo logoro sistema sanitario, sarebbe colpita in maniera particolarmente dura dal dilagare dell’infezione.

Ma, nel complesso, l’iniziativa congiunta è comunque importante, ed ha riscosso un sostegno senza precedenti da parte del pubblico palestinese. Israeliani e Palestinesi sono stati in grado di coordinarsi su aspetti fondamentali per la lotta al coronavirus, in gran parte perché l’Autorità Palestinese rappresenta un punto di contatto unico a Ramallah al quale Israele può rivolgere le proprie preoccupazioni.

L’annessione mette a rischio questa via di comunicazione. Molti prevedono che anche un’annessione di portata visibilmente limitata, come quella riguardante l’Area C (il 60% della Cisgiordania) o quel 30% circa assegnato a Israele secondo il piano Trump, potrebbe seriamente danneggiare l’Autorità Palestinese, o persino portare al suo crollo.

È importante ricordare che l’Autorità Palestinese non è arrivata alla pandemia da coronavirus su fondamenta molto solide. Lo scorso anno, Ramallah non è stata in grado di pagare completamente gli impiegati statali per un periodo di diversi mesi. Lasciare a casa i lavoratori palestinesi ospiti potrebbe essere un imperativo per la salute pubblica di Israeliani e Palestinesi nel periodo del coronavirus, ma potrebbe devastare l’economia della Cisgiordania, che è pesantemente basata sulle rimesse di questi lavoratori.

Washington ha tagliato del tutto il sostegno ai Palestinesi, inclusa l’assistenza umanitaria, enormemente necessaria in questo momento, ed i rapporti con gli Stati Uniti hanno toccato il fondo a fine gennaio, dopo la pubblicazione del piano Trump.

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Uno striscione ritrae Benny Gantz e il primo ministro Benjamin Netanyahu, parte della campagna elettorale di Kahol Lavan per le elezioni del 2 marzo in Israele. AMMAR AWAD/REUTERS

Spingere per l’annessione adesso, come sembrano intenzionati a fare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ed il Ministro della Difesa in carica Naftali Bennett durante le loro discussioni sulla coalizione di governo, vorrebbe dire veramente giocare con il fuoco per quanto riguarda la solidità dell’Autorità Palestinese e la sicurezza di Israele.

Senza l’AP, Israele potrebbe trovarsi ad essere costretto a coordinare la lotta al coronavirus con diversi leader palestinesi da una parte all’altra della Cisgiordania. Se la porta della soluzione a due stati fosse definitivamente chiusa, i Palestinesi chiederebbero (comprensibilmente) di avere i diritti ed i privilegi legati alla cittadinanza israeliana; non solo libertà politiche e civili ma anche l’accesso ai servizi sociali, inclusa l’assistenza sanitaria. Ciò accelererebbe la tendenza a sostenere la soluzione ad un unico stato che esiste tra i Palestinesi più giovani.

In Cisgiordania, chiusure e coprifuoco finalizzati a contenere la diffusione della pandemia dovrebbero essere realizzati città per città, villaggio per villaggio. Le forze di sicurezza israeliane potrebbero essere dispiegate in Cisgiordania per riempire il vuoto lasciato dall’AP. Nonostante la leadership palestinese della Cisgiordania non sia particolarmente popolare tra il pubblico, i funzionari della AP hanno probabilità molto maggiori di riuscire ad imporre queste misure rispetto ai soldati dell’esercito israeliano che prenderebbero il loro posto in caso di crollo dell’AP.

La cooperazione Israele-AP contro il coronavirus è encomiabile. Ma il lancio della scorsa settimana di un razzo da Gaza, seguito poco dopo da una risposta militare da parte di Israele, ha chiarito che la comparsa improvvisa di una minaccia esterna non potrà cancellare semplicemente del tutto i vecchi antagonismi, come nel film Watchmen.

Dietro agli attacchi più recenti non c’era Hamas, che sta persino collaborando con Israele, anche se ufficiosamente, per affrontare la pandemia in alcune aree. Ma la relazione Israele-Hamas, ancora largamente caratterizzata da ostilità, non può reggere il confronto con la stretta coordinazione in termini di sicurezza tra Israele e l’AP. 

Palestinesi a Gaza danno fuoco ad una bandiera israeliana durante un evento per la Marcia per la Terra al confine tra Israele e Gaza. Le manifestazioni sono state ora cancellate. 30 marzo 2020. MOHAMMED SALEM/ REUTERS

Senza quella collaborazione, Israeliani e Palestinesi potrebbero trovarsi in una guerra su due fronti: uno un conflitto armato, e il secondo la battaglia contro il coronavirus. Questo è un conflitto che entrambe le parti possono difficilmente permettersi in questo momento.

Israele si basa sui militari per gestire una quarantena in casa ed ha sospeso l’arruolamento per alcune unità dell’esercito. Allo stesso tempo, feriti e distruzioni di infrastrutture dovute ad una intensificazione delle tensioni con Israele sovraccaricherebbero un sistema sanitario palestinese già messo a dura prova dal coronavirus.

Questi non sono elementi nuovi. La prevalenza del coronavirus nell’agenda politica globale non cancella tutti gli altri problemi; al contrario, li aggrava. Leader israeliani come Netanyahu e Bennett potrebbero valutare che questo sia un momento opportuno per l’annessione dei territori della Cisgiordania.

La minaccia di sanzioni imposte dai governi stranieri ha frenato a lungo la mano del primo ministro, anche mentre intensificava la sua retorica nel corso delle tre campagne elettorali. Ma l’attenzione del mondo oggi è rivolta altrove e l’opposizione in Israele è spaccata a causa della dissoluzione di Kahol Lavan e dell’alleanza Labor-Gesher-Meretz. 

Anche se è difficile immaginarlo, il coronavirus passerà. Quando lo farà, l’annessione condotta sotto la copertura di una pandemia potrebbe destare l’ira della comunità internazionale, dell’Unione Europea e persino dei leader politici degli Stati Uniti.

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Posto di blocco delle forze di sicurezza palestinesi all’entrata principale ad Hebron in Cisgiordania, parte delle misure finalizzate al contenimento della diffusione di COVID-19. 23 marzo 2020. AFP

Una recente lettera all’amministrazione Trump, promossa dai senatori statunitensi Elizabeth Warren e Chris Van Hollen, sollecitava la Casa Bianca, in considerazione del coronavirus, a sbloccare i fondi che il Congresso aveva stanziato per gli aiuti umanitari ai Palestinesi ed a prendere in considerazione di far pressioni su Israele per attenuare le restrizioni su Gaza, inquadrando queste iniziative come fatte “nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, nell’interesse del popolo palestinese e del nostro alleato Israele.” La lettera dimostra che i leader a Washington continuano a sentirsi coinvolti in Medio Oriente non malgrado l’emergenza sanitaria globale, ma a causa della stessa.

E nel breve termine ci sono ancora rischi diplomatici: l’annessione metterebbe seriamente a repentaglio il tentativo da parte di Israele di sollecitare il sostegno internazionale per la sua lotta contro il coronavirus e per l’impegno congiunto con l’AP.

Se l’annessione fosse portata avanti e messa in atto proprio adesso, i Palestinesi sarebbero in una posizione molto peggiore alla fine della pandemia. I politici opportunisti israeliani scoprirebbero che una crisi globale rappresenta una debole scusa per l’annessione. Israele potrebbe ritrovarsi ad essere obiettivo di critiche e pressioni internazionali proprio nel momento in cui sperava in una ricostruzione interna, e in un nuovo impegno con il mondo.

Evan Gottesman è Direttore Associato di Politica e Comunicazione presso il Forum Politico di Israele. Twitter: @EvanGottesman

https://www.haaretz.com/middle-east-news/.premium-with-the-world-pre-occupied-with-coronavirus-israel-pushes-a-west-bank-land-grab-1.8733880

Traduzione di Rosaria Brescia – Assopace Palestina

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