La grande truffa

Feb 11, 2020 | Riflessioni

di Luisa Morgantini

Adista, 15 febbraio 2020

Il muro di separazione e la Cupola della Roccia a Gerusalemme, 2 febbraio 2020. (Olivier Fitoussi/Flash90)

La grande truffa, o forse farsa, ma certamente tragedia, del tanto annunciato “accordo del secolo” che dovrebbe portare la pace tra Israele e Palestina, è stata presentata alla Casa Bianca con musiche solenni e alla presenza di molti milionari cristiani evangelici ed ebrei, tutti grandi donatori e sostenitori delle colonie ebraiche in Palestina, tutti tronfi ad applaudire e a sorridere mentre veniva definitivamente sotterrato il diritto internazionale e la possibilità per il popolo palestinese di vivere libero in un proprio Stato.

“Una visione di pace e di prosperità”, si ripete continuamente, visione di pace è scritto anche sulla cartina all’interno del piano presentato, un testo di 181 pagine, molte delle quali scritte interamente da esperti israeliani, soprattutto nelle parti riguardanti gli insediamenti o le strade, le bypass road. Sulla cartina non vi è nemmeno scritto il nome Palestina o Territori Occupati, compare per due volte solo Israele, e poi a bei colori si vedono i territori palestinesi che dovrebbero essere lo Stato di Palestina tagliati a pezzetti, enclave o bantustan per ricordare il Sudafrica dell’apartheid.

Ma non è una sorpresa: Trump, a partire dal trasferimento dell’Ambasciata a Gerusalemme, dalla chiusura degli uffici dell’OLP negli Stati Uniti, dalla guerra economica e politica contro l’UNRWA (organizzazione ONU per i rifugiati palestinesi), dal ritiro degli aiuti di US Aid (che ha lasciato sul lastrico migliaia di palestinesi, imprenditori compresi), dalla conferenza nel Bahrein, aveva dimostrato che lui è il più grande amico di Israele e, a dispetto di tutte le risoluzioni ONU e della posizione degli Stati, lui, novello imperatore, si arroga il diritto di decidere per tutti.

Il piano non fa che legittimare tutte le violazioni compiute da Israele in questi oltre cinquant’anni di occupazione militare e di colonizzazione dei territori palestinesi: assume le richieste della destra nazionalista, messianica e non, con alla testa i ministri Lieberman e Bennett, i quali da anni propongono il trasferimento della popolazione palestinese di cittadinanza israeliana del “Triangolo” nella Bassa Galilea (più di 10 villaggi con 260mila persone) nello Stato palestinese; il trasferimento consacrerebbe l’attuazione di Israele come Stato ebraico, per cui bisogna disfarsi della presenza di palestinesi; lo pseudo Stato (Netanyahu non nasconde la sua contrarietà anche all’uso della

parola Stato) non avrebbe naturalmente sovranità né sullo spazio aereo né sulle falde acquifere; i confini della Cisgiordania con la Giordania sarebbero di Israele con l’annessione della Valle del Giordano, per cui i palestinesi che volessero uscire dalla Palestina dovrebbero sottostare come oggi al controllo israeliano. Tutte le colonie, piccole e grandi, più di 150 con circa 600mila coloni, vengono annesse a Israele e insieme a queste ovviamente le terre coltivabili palestinesi poste al di là del Muro (ricordiamo che la corte dell’Aia lo aveva ritenuto illegale e da smantellare perché non costruito sulla linea verde del ‘67); Gerusalemme rimane capitale unica e indivisibile e i palestinesi, a parte l’affermazione della libertà di culto per le tre religioni nella città vecchia, avranno come loro capitale Abu Dis, che con grande magnanimità il piano dice possa essere chiamata al Quds (nome arabo di Gerusalemme); le fazioni palestinesi devono deporre le armi; Hamas sciolto; i prigionieri nel caso abbiano commesso azioni militari restino in carcere, gli altri liberati a scaglioni, per primi quelli superiori ai 50 anni, gli ammalati e le donne, ma molti dovrebbero accettare l’esilio; l’autorità palestinese deve sospendere i sussidi che vengono erogati alle famiglie dei martiri e dei prigionieri.

Il piano è dettagliato e non si possono trattare qui tutte le sue nefandezze; basta però dire che la questione dei profughi viene cancellata, nessun ritorno è previsto, se non a piccole dosi, in quello che sarebbe lo Stato di Palestina. Nessuna scusa da parte di Israele per la Nakba (“catastrofe”, l’esodo forzato) del ‘47 e la Nakba del ‘67. Dice Gideon Levy, giornalista israeliano, che questo piano è una terza Nakba per la popolazione palestinese.

Che tutto ciò venisse rifiutato dai palestinesi era del tutto ovvio, ed è quello che Netanyahu si aspettava, in modo da poter ripetere la propaganda secondo cui, di fronte a ogni proposta, i palestinesi dicono no e perdono tutte le opportunità. La verità è che i palestinesi sono sempre messi di fronte al fatto compiuto, prendere o lasciare, e ogni volta purtroppo questo comporta un’accelerazione della colonizzazione israeliana.

Mahmoud Abbas ha chiesto l’aiuto della Lega Araba, che come al solito a parole conferma il sostegno e ripropone il piano arabo del 2002, ma gli Stati arabi sono divisi. L’Arabia Saudita, ad esempio, come già fece con Balfour nel 1917, quando abbandonò la Palestina per avere un regno, ha dato il suo consenso a Trump. L’Unione Europea ha ribadito stancamente che la legalità internazionale va rispettata. I movimenti della società civile favorevoli all’autodeterminazione dei palestinesi sono deboli. In Israele vi sono state manifestazioni unitarie tra arabi ed ebrei con il resto di quella che era la sinistra, per dire no all’apartheid del piano Trump. In Palestina ogni giorno ci sono manifestazioni, ma non si può chiedere troppo ai palestinesi: in questi anni sono stati massacrati e umiliati, le loro manifestazioni nonviolente represse, i militanti messi in carcere.

Forse la leadership palestinese, pur mantenendo il rifiuto totale del piano Trump, dovrebbe osare una proposta: lo Stato palestinese sui territori del ‘67, Gerusalemme capitale condivisa; le colonie possono restare in Palestina e i coloni diventare cittadini palestinesi in totale parità di diritti. I coloni e Israele non accetteranno mai, ma la proposta mostrerebbe che non si sentono il popolo eletto e che la terra è per tutti quelli che la abitano.

Anche noi dovremmo mobilitarci, perché questo gettare sotto i piedi il diritto internazionale non riguarda solo i palestinesi, ma anche il nostro futuro. 

 Luisa Morgantini

Presidente di AssopacePalestina, già vicepresidente del Parlamento europeo

Da ADISTA, anno LIV, n° 6, 15 febbraio 2020

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