Sfrattando i Palestinesi di Gerusalemme Est, i tribunali israeliani nascondono sotto il tappeto un’ingiustizia storica.

Gen 24, 2020 | Riflessioni

I giudici che hanno deciso di sfrattare intere famiglie a seguito della petizione di un’organizzazione di destra si sentivano a disagio nel cacciare le persone dalle loro case dopo tanti anni, ma così facendo hanno spianato la strada a ulteriori evacuazioni.

Nir Hasson

Haaretz, 21 gennaio 2020.

Una donna palestinese cammina nel quartiere Silwan a Gerusalemme Est, 2018. Credit: Emil Salman

Ogni volta che gli sforzi dell’organizzazione di destra Ateret Cohanim di sfrattare i residenti di Batan al-Hawa nel quartiere Silwan di Gerusalemme Est conquistano i titoli dei giornali, è doveroso ricordare alcuni fatti fondamentali indiscutibili. Durante la Guerra arabo-israeliana del 1948, Ebrei e Arabi furono obbligati ad abbandonare le loro proprietà e a fuggire dall’altra parte del confine appena creato. Numerosi Arabi lasciarono quasi tutti i loro beni nelle zone che divennero lo Stato di Israele, mentre un piccolo numero di Ebrei lasciarono alcune proprietà in quelle zone che sarebbero poi rimaste sotto il controllo giordano. Immediatamente dopo la guerra, sia Israele che la Giordania presero le loro decisioni su come gestire le proprietà lasciate.

Israele confiscò e nazionalizzò tutte le proprietà abbandonate dagli Arabi, avvalendosi della Legge del 1950 sulle Proprietà degli Assenti. Di contro, il custode giordano dei beni degli assenti si premurò di preservare le proprietà degli Ebrei. Di conseguenza, dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, solo i cittadini Ebrei Israeliani o i loro eredi  – o, come più spesso accadeva, organizzazioni di coloni che agivano al posto degli eredi –  potevano chiedere di recuperare le loro proprietà. Queste sono state restituite anche se nel corso degli anni alcune terre sono state innocentemente acquistate da Palestinesi che vi hanno poi vissuto per decenni.

Il quartiere di Batan al-Hawa è un esempio estremo che mette in risalto la differenza tra come sono state gestite le proprietà arabe rispetto a quelle ebraiche. Fino al 1938, nell’area di Batan al-Hawa si trovava un quartiere ebraico che era stato costruito per immigrati dallo Yemen con fondi raccolti dall’organizzazione filantropica Ezrat Nidahim. Le case del quartiere appartenevano a un fondo fiduciario di epoca ottomana registrato a nome del rabbino Moshe Benvenisti.

Nel 2001, più di un secolo dopo la creazione del fondo fiduciario, la Corte Distrettuale di Gerusalemme approvò la richiesta di tre membri di Ateret Cohanim di divenire amministratori fiduciari della proprietà. Con questa concisa decisione, che occupa mezza pagina, e una successiva decisione del Custodian General, lo Stato ha posto 700 Palestinesi, insieme ai loro beni, sotto il controllo di Ateret Cohanim che cerca di aumentare la presenza ebraica nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Da allora il gruppo di coloni è riuscito a sfrattare due famiglie che vivevano nell’edificio adibito in passato a sinagoga, la sola struttura superstite del quartiere ebraico. Un anno e mezzo fa, il governo israeliano annunciò che vi avrebbe costruito un centro della tradizione ebraica yemenita, al costo di 4,5 milioni di shekel (1,25 milioni di dollari). Nel corso di una cerimonia che celebrava l’istituzione del centro, il ministro Zeev Elkin ha adeguatamente illustrato la natura del rapporto che intercorre tra lo Stato e Ateret Cohanim quando ha descritto il leader del gruppo, Matti Dan, come “Il migliore di tutti, il nostro amico Matti Dan, per il quale tutti noi del governo e della Knesset lavoriamo volentieri ogni qualvolta ci sia la necessità di impegnarsi in questo importante processo di restituzione di questi luoghi al popolo ebraico”.

Tre mesi dopo, tre giudici della Corte Suprema si sono pronunciati su una petizione presentata da 104 residenti di Batan al-Hawa che sollevava un gran numero di questioni di principio riguardanti il trasferimento della proprietà ad Ateret Cohanim. Nella sentenza, pronunciata dalla giudice Daphne Barak-Erez, la Corte riconosceva che c’era stato errore nella condotta dello Stato.

Il quartiere di Batan al-Hava a Silwan

Secondo la sentenza della Corte, lo Stato ha omesso di informare i residenti Palestinesi che la proprietà delle loro case era stata trasferita ai coloni e che l’Ufficio del Custodian General del Ministero della Giustizia non aveva neanche controllato lo stato giuridico della terra secondo la legge ottomana. Ciò nonostante, Barak-Erez osservava che ciò che è stato fatto non può essere disfatto, permettendo così ad Ateret Cohanim di procedere con le sue azioni legali volte allo sfratto dei residenti Palestinesi. Forse Barak-Erez sperava che i tribunali locali e distrettuali prendessero in considerazione le sue riserve e riesaminassero il caso.

Ma è difficile aspettarsi che tribunali locali si pronuncino contro Ateret Cohanim quando la Corte  Suprema non ha osato farlo. Come atteso, il tribunale di Gerusalemme, udita la causa contro la famiglia Rajbi, non ha riesaminato i problemi segnalati riguardo alle procedure dello Stato e domenica scorsa ha stabilito che la famiglia deve essere sfrattata. 

Ciò nonostante, i giudici che hanno esaminato il caso Batan al-Hawa hanno ritenuto importante comunicare il loro disagio nello sfrattare delle famiglie dalle case in cui vivevano da decenni. “Sfrattare persone che hanno occupato per decenni una proprietà – alcuni senza nemmeno sapere che la proprietà apparteneva ad altri – solleva problemi umanitari”, ha scritto Barak-Erez nella sua sentenza, suggerendo che lo Stato dovrebbe cercare “di trovare una soluzione per coloro che sono stati sfrattati dalle loro case”.

Il giudice Mordechai Burstyn, che si è pronunciato a favore di Ateret Cohanim, non ha imposto spese legali alla famiglia palestinese e ha suggerito all’organizzazione di risarcirla (cosa che l’avvocato dell’associazione, Avi Segal, aveva ripetutamente dichiarato di essere disposto a fare). Inoltre, Burstyn ha espresso la speranza che lo Stato trovi una soluzione per gli sfrattati.

Si potrebbe accusare i giudici di aver permesso che le minuzie legali offuscassero l’ingiustizia storica e la palese disuguaglianza; si potrebbe biasimarli di non prendersi la pena di andare a fondo delle cose e valutare se centinaia di bambini palestinesi debbano pagare il prezzo delle scandalose decisioni dello Stato. Si potrebbe persino sostenere che hanno paura di confrontarsi con organizzazioni forti e ammanicate come Ateret Cohanim. Ma non si può negare il senso dell’umorismo mostrato quando suggeriscono che lo Stato di Israele crei un meccanismo per compensare e reinsediare i Palestinesi evacuati dai coloni.

Nir Hasson

https://www.haaretz.com/israel-news/.premium-by-evicting-palestinians-from-east-j-lem-courts-overlook-historic-injustice-1.8431583

Traduzione di Elisabetta Valento

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