Hamas, per il momento, è l’unico a comportarsi come un adulto responsabile nel conflitto tra Israele e Gaza

Nov 14, 2019 | Riflessioni

Hamas non si è unito alla Jihad Islamica nella campagna di rappresaglia con i razzi contro Israele. Ma se Netanyahu intensifica ulteriormente incursioni aeree o assassinii mirati, il partito al potere a Gaza sarà costretto a entrare nella mischia.

di Muhammad Shehada  

Haaretz, 13 novembre 2019-11-13

Un missile lanciato su Gaza City dal sistema israeliano di intercettazione Iron Dome. 12 novembre 2019. AFP

La maggior parte degli abitanti di Gaza non conosceva nemmeno il nome di Bahaa Abu Al-Ata prima che Israele ne parlasse come l’organizzatore degli occasionali attacchi di razzi che la Jihad Islamica lanciava su Israele. Azioni di questo tipo erano oggetto di generale disapprovazione in quanto intralciavano le intese di cessate il fuoco tra Hamas e Israele.

Tutto questo è cambiato martedì mattina quando Israele lo ha assassinato insieme a sua moglie nel quartiere densamente popolato di Shejaiya, proprio durante le trattative per il cessate il fuoco.

Ora Al-Ata è un martire, un eroe; la sua morte per mano di Israele lo ha trasformato in un’icona della resistenza palestinese. I suoi attacchi con i razzi sono ora rivisti come un necessario correttivo contro un “nemico che non rispetta mai gli accordi di cessate il fuoco.”

Anche se Netanyahu ha definito Al-Ata “una bomba a orologeria” e Benny Ganz ha affermato che la decisione era corretta “politicamente e operativamente,” il tipo di azione e la tempistica di questo assassinio di un comandante della Jihad Islamica erano del tutto sbagliate e riprovevoli in quanto mettevano in pericolo la vita di civili da ambedue le parti.

La scelta dei tempi è disastrosa, se non malevola; rappresenta un vero e proprio assalto agli ultimi sforzi fatti all’interno della Palestina per tenere elezioni nazionali, attese da tanto tempo e auspicabilmente trasparenti e democratiche, per la prima volta in 13 anni, nella direzione di una unità da ricostruire tra Cisgiordania e Gaza.

Non solo: Israele sta consapevolmente resuscitando una politica fallimentare e irresponsabile di assassinii, che in tutti i casi precedenti ha resuscitato solo violenza e militarismo jihadista senza produrre alcun cambiamento positivo: una politica totalmente cinica.

Israele ha un’infinità di alternative all’uso della forza bruta, ma che il suo primo ministro, impantanato in una lotta per la sua sopravvivenza politica, abbia ordinato il colpo “per il suo tornaconto…è un sospetto inevitabile e ineludibile.”

Israele avrebbe potuto semplicemente mantenere il suo impegno di rispettare il cessate il fuoco, smettendo di usare armi da guerra contro i dimostranti disarmati di Gaza. Azioni di questo tipo avrebbero intaccato le motivazioni accampate dalla Jihad Islamica per le sue rappresaglie con i razzi.

Israele avrebbe potuto anche allentare realmente il suo blocco su Gaza, in riconoscimento del lungo periodo di calma mantenuto sinora da Hamas. Questo avrebbe disincentivato azioni armate contro Israele e avrebbe trasformato ogni violenza in un atto di tradimento, anziché di eroismo, un atto che ostacolava il miglioramento delle condizioni della gente di Gaza.

Ma l’uccisione da parte di Israele di qualcuno che aveva etichettato come un “piantagrane” ha prodotto esattamente il risultato opposto.

Il primo ministro Netanyahu e il capo di stato maggiore dell’esercito Aviv Kochavi a una conferenza stampa dopo l’uccisione di un importante capo della Jihad Islamica. Tel Aviv, 12 novembre 2019. Oded Balilty,AP

Le azioni della Jihad Islamica, che era in una posizione periferica ed emarginata, sono ora in primo piano: richieste di “rappresaglie da far tremare la terra” arrivano da tutte le parti. Le azioni della Jihad Islamica sono ora legittimate dalla provocazione israeliana e sono sostenute, almeno a parole, da quasi tutte le altre fazioni armate a Gaza.

Ogni speranza di riportare la calma sta ora scomparendo. Sostenuta dalla sua nuova popolarità, la Jihad Islamica vedrebbe ora come una resa una sua eventuale disponibilità ad accettare la mediazione internazionale a così breve distanza dall’uccisione mirata israeliana. Per questo motivo ha respinto una mediazione internazionale a questo stadio, almeno fino a che non abbia ottenuto una sufficiente vendetta.

Ma anche un conflitto non è altro che politica con altri strumenti, e in politica niente è scolpito nella pietra, per cui una distensione rimane ancora una possibilità. Ma bisogna che i politici israeliani scelgano la ragione piuttosto che la convenienza elettorale.

Hamas si è comportato in modo responsabile in questa ondata di violenza. Si è astenuto dall’unirsi al campo che chiede rappresaglie contro Israele, anche se ha rispettato la formalità di esprimere la sua simpatia per la Jihad Islamica. Tuttavia, se Israele continua a colpire Gaza e anzi lo fa sempre più duramente, se i feriti continuano ad accumularsi negli ospedali di Gaza, la pressione popolare crescerà fino al punto in cui Hamas non potrà più tenere una via di mezzo.

Il portavoce di Hamas Fawzi Barhoum ha esplicitato questa evenienza dicendo: “Se l’occupazione va avanti con i suoi crimini, la resistenza [di Hamas] non rimarrà con le mani in mano.” Ma allo stesso tempo ha sollecitato un cessate il fuoco: “Non siamo contrari se qualcuno interviene per frenare l’aggressione israeliana.”

Palestinesi in lutto cantano slogan rabbiosi mentre trasportano il corpo del militante della Jihad Islamica Abdullah Al-Belbesi, ucciso nelle incursioni israeliane. Beit Lahiya, Gaza,13 novembre 2019. Khalil Hamra, AP

Al tempo stesso, la Jihad Islamica non vuole essere vista come quella che spezza l’unità dei Palestinesi. Nonostante il continuo lancio di razzi e la retorica della rappresaglia dura, anche la Jihad Islamica tende a contenere la situazione, in modo da non essere considerata l’unica colpevole di aver interrotto le trattative per le elezioni [in Palestina]. I suoi toni altisonanti hanno lo scopo di contentare la sua base arrabbiata. Anche discorsi del tipo “stiamo andando alla guerra” con Israele possono essere tirati indietro.

Per esempio, la Jihad Islamica possiede razzi avanzati con testate esplosive –anche se ancora privi di guida– che potrebbero fare danni molto più gravi sugli obiettivi israeliani, eppure fino ad ora ha scelto di lanciare razzi ordinari con piccole testate, che hanno una lunga gittata ma producono piccoli danni.

Ora dipende tutto dal governo di Netanyahu: vorrà arrivare fino alla guerra, colpendo ulteriormente Gaza ed espandendo il suo raggio di offesa fino a costringere Hamas a scendere in campo? Oppure Israele allenterà la pressione prima che altre vite vengano perdute?

L’attuale tattica di Israele –rispondere al fuoco con un fuoco molto maggiore– è la ricetta fondamentale per il disastro. Scatenerebbe inevitabilmente una quarta guerra, le cui conseguenze sarebbero irrimediabili.

Quanto più Israele continua i suoi attacchi, tanto più la situazione si avvicina a un punto di non ritorno. Se Israele riprende la sua tattica di colpire quartieri residenziali civili di Gaza –come fece nell’ultima escalation dell’agosto 2018 per far pressione su Hamas– scatenerà una reazione immediata da parte di Hamas, che si sentirà obbligato a dimostrare la sua capacità e la sua volontà di difendere i civili.

Un ragazzo palestinese di fronte ai resti di una casa distrutta in un attacco aereo israeliano nel sud della Striscia di Gaza. 13 novembre 2019. IBRAHEEM ABU MUSTAFA/ REUTERS

E si può ben immaginare quanto sarebbero disastrose le conseguenze se Israele mettesse in atto la sua ultima minaccia: quella di far fuori il leader della Jihad Islamica, Ziad Nakhala, che sta a Damasco.

Per evitare un’altra guerra disastrosa che nessuna delle due parti vuole, Israele dovrebbe usare la massima moderazione nei confronti della rappresaglia della Jihad Islamica. Dovrebbe tornare al cessate il fuoco.

E c’è un precedente non lontano nel tempo, giacché questa è stata esattamente la politica seguita in agosto da Israele nei confronti di Hezbollah: Israele assassinò due dei suoi comandanti in Siria, Hezbollah rispose lanciando razzi sul nord di Israele, ma non ci fu un’ulteriore escalation.

Israele potrebbe anche annunciare immediatamente un cessate il fuoco unilaterale –come fece durante l’operazione Piombo Fuso del 2008 per non disturbare l’inaugurazione presidenziale di Obama– e promettere un ulteriore, più significativo e deciso allentamento del suo blocco decennale, se Gaza decidesse di contraccambiare.

Dopo ogni escalation tra Gaza e Israele c’è sempre un altro Bahaa Abu Al-Ata che emerge dalle rovine. C’è solo un modo per prevenire che sempre nuovi e sempre più militanti jihadisti acquistino immeritata importanza: togliere l’assedio a Gaza e dare al suo popolo una possibilità di vivere, ma vivere davvero e non sopravvivere a malapena.

Muhammad Shehada è uno scrittore, un attivista della società civile della Striscia di Gaza e uno studente di Studi sullo Sviluppo all’Università di Lund, Svezia. È stato addetto alle pubbliche relazioni per l’ufficio di Gaza dell’Euro-Med Monitor for Human Rights. Twitter: @muhammadshehad2

https://www.haaretz.com/middle-east-news/.premium-hamas-is-for-now-the-only-responsible-adult-in-the-israel-gaza-conflict-1.8123757

Traduzione di Donato Cioli

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