L’Autorità Palestinese usa la nostra comunità LGBTQ+ come capro espiatorio, ma non può fermare i nostri progressi

Ago 28, 2019 | Riflessioni

In Palestina si sta aprendo uno spazio per discutere di questioni di genere e queer. Il tentativo dell’Autorità Palestinese di chiudere il dibattito è puramente politico e non può funzionare.

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di Falastine Saleh – 22 agosto 2019

Pubblicato il 24/08/2019 da Invicta Palestina

Ancora una volta, l’Autorità Palestinese (AP) sta puntando a un semplice obiettivo per distrarre dal suo totale fallimento nel governare e nell’ottenere un qualsiasi risultato sul campo. Questa volta, sta attaccando la comunità LGBTQ+ palestinese e ci sta usando come pedina nella sua mal giocata partita di scacchi politica.

Il 17 agosto, il portavoce della polizia dell’AP, Louai Izreqat, ha annunciato il divieto, nella Cisgiordania occupata,delle attività organizzate da al-Qaws, un’organizzazione locale che lavora per i diritti di genere e la diversità sessuale. La dichiarazione è stata rilasciata dopo che al-Qaws aveva pubblicizzato un dibattito che aveva tenuto nella città di Nablus il 4 agosto.

È stata la prima volta che la polizia dell’AP ha riconosciuto pubblicamente al-Qaws, che in arabo significa arcobaleno.

La dichiarazione di Izreqat, che è stata pubblicata online e poi rimossa, ha descritto il gruppo e coloro che vi sono affiliati come “agenti stranieri” che operano contro i”valori tradizionali palestinesi “.

La dichiarazione di Izreqat è arrivata al punto di chiedere la persecuzione del personale e degli attivisti di al-Qaws e di sollecitare i cittadini palestinesi a presentare denuncia contro qualsiasi “attività sospetta”.

Dopo il suo annuncio, una moltitudine di commenti che inneggiavano alla violenza contro la comunità LGBTQ+ sono stati pubblicati su Facebook sia sotto la dichiarazione del portavoce della polizia che sulla pagina di al-Qaws.

Sebbene la polizia abbia ritirato la sua dichiarazione, sta ancora prendendo di mira al-Qaws e i suoi attivisti insieme a diverse organizzazioni locali che lavorano su questioni relative all’educazione sessuale e ai diritti corporei, anche se non si occupano di tematiche queer. L’AP ha chiesto di incontrare i membri del consiglio di amministrazione di queste organizzazioni e ha consigliato loro di rimuovere al-Qaws dai loro siti Web.

L’AP sta usando la nostra comunità per guadagnare popolarità giocando la carta della “polizia morale”. È in bancarotta e si ritrova in un angolo. Non ha risultati da mostrare ed è sotto pressione politica, in particolare per l’”affare del secolo” di Trump. E il suo futuro e il nostro futuro appare poco chiaro e instabile. .

L’AP sta cercando di dimostrare che è ancora utile e rilevante e che è necessario “proteggere” la società palestinese sia a livello morale che sociale. Vuole essere in grado di inviare un messaggio dicendo: “Stiamo proteggendo le persone dalla corruzione” o “Stiamo proteggendo la società dall’essere infiltrata e rovinata dagli omosessuali e dagli agenti dell’Occidente”.

Ma alla fine, ciò che l’AP è riuscita a fare attraverso la sua polizia è stato scoraggiare un necessario dibattito sui diritti sessuali e corporei in Palestina. Non solo non sono riusciti a proteggerci dalle minacce dirette di morte e di violenza sessuale ma, peggio ancora, hanno dato via libera agli omofobi per colpire personalmente e individualmente i membri della comunità LGBTQ+.

Tra la polizia dell’AP e i troll israeliani

Dopo che Izreqat ha rilasciato la dichiarazione, al-Qaws ha denunciato di stare subendo un attacco alle sue pagine social sotto forma di commenti violenti. Vi sono state minacce molto chiare e dirette di stupro e di violenza sessuale pubblicate sia sulla pagina di al-Qaws che sugli account di personalità locali ben note, tra cui attivisti, giornalisti e persino ex prigionieri politici.

Il dovere nazionale della polizia è proteggere le persone. Invece, sta perseguitando attivisti che vogliono semplicemente aprire un dibattito, mentre con la propria dichiarazione incita gli altri a commettere – o almeno a minacciare di commettere – atti di violenza.

Negli ultimi due anni, l’AP ha stretto il cappio attorno agli attivisti e alle organizzazioni e ai movimenti che si occupano di diritti, compresi quelli incentrati sui diritti umani e sulle questioni politiche e sociali. L’attacco dell’AP contro al-Qaws è parte integrante di questa sistematica persecuzione.

Per finire, i troll israeliani e altri hanno colto l’opportunità di crescere politicamente etichettando i palestinesi come barbari che non possono accettare la comunità LGBTQ+ e riproponendo Israele come un paradiso gay rispetto alla società palestinese, specie ora che la nostra polizia sta attivamente mettendo a tacere e ricercando gli attivisti queer .

Al-Qaws è un obiettivo facile: lavora sui diritti sessuali e corporei e sulla diversità di genere in Palestina, tutti argomenti che sono ancora considerati tabù nella nostra società. Pertanto, quando l’AP si rivolge a un’organizzazione come al-Qaws, trova molto consenso e supporto da parte degli autoproclamati protettori dell’ “etica e della moralità” pubblica.

Israele è stato – e lo sarà sempre finché esisterà l’occupazione – l’oppressore numero uno del popolo palestinese, di qualsiasi estrazione politica, sessuale e sociale. L’occupazione israeliana in sé e per sé mira ai LGBTQ+ palestinesi, quindi non hanno il diritto di equiparare l’omofobia dell’AP alla continua oppressione dell’occupazione militare israeliana.

Un cambiamento progressivo

La questione non è esclusiva della società palestinese. Non siamo “arretrati” come ci raffigurano i media occidentali e israeliani. Ogni società affronta il proprio percorso e il proprio processo su questioni sociali in tempi che possono richiedere anni di discussioni e dibattiti.

La verità è che la discussione LGBTQ+ è in corso in tutto il mondo. Non è qualcosa che si è conclusa e la lotta per la liberazione queer è in corso in molti luoghi, non solo in Palestina.

In Palestina, questo dibattito è rimasto in sordina per decenni mentre affrontavamo il colonialismo e l’occupazione militare in corso. Fino a poco tempo fa, non abbiamo mai avuto l’opportunità di affrontare la questione LGBTQ+ nella sfera pubblica. Ma ora l’abbiamo ed è un dibattito salutare e significativo per il quale dovremmo poter avere lo spazio necessario.

Man mano che nella nostra società differenze e diversità, sessuali e non, diventeranno più visibili, questi problemi attireranno l’attenzione e, naturalmente, alcune persone scenderanno sul piede di guerra. Allo stesso tempo, si aprirà uno spazio per la discussione. Questo rende ancora più dannoso il silenzio degli attivisti queer che spingono per questo dibattito.

Tuttavia, il contraccolpo sociale causato da posizioni considerate oltraggiose accomuna molti movimenti per la parità e i diritti in molte parti del mondo. Nessun movimento è stato in grado di ottenere nulla senza contrastare e sfidare internamente la propria società.

Il movimento queer continuerà a crescere e la comunità, in Palestina e altrove, non scomparirà; maggiore è la visibilità, maggiore sarà il contraccolpo che sperimenteremo. Questo fa parte del processo.

Ma finché le basi proseguiranno, raggiungeremo un punto in cui questo tema avrà più spazio nella sfera pubblica. Le persone si abitueranno a sentirne parlare e alla fine si impegneranno in modo costruttivo. Dopodiché avremo onesti dibattiti interni che nessuno sarà in grado di fermare.

Falastine è una femminista queer, scrittrice, organizzatrice di comunità, sostenitrice del BDS e attivista anti pinkwashing che vive a Ramallah, in Palestina.

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org

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