Il trasferimento di Palestinesi è sempre stato l’idea fissa degli Israeliani.

Ago 27, 2019 | Riflessioni

I media possono esprimere tutto lo shock che vogliono alla notizia che il governo ha discusso della possibilità che Israele finanzi il trasferimento di Palestinesi dalla Striscia, ma in realtà questo è sempre avvenuto, dalla creazione dello stato nel 1948, con il Primo Ministro Levi Eshkol, dopo il 1967 con il ministro della Difesa Moshe Dayan e fino ad oggi con Netanyahu, Smotrich e Gantz.

di Hagai El-Ad  

ybetnews, 27 luglio 2019.

Qualche anno fa, quando fu rivelato il “Piano di sottomissione” del Vice-Presidente della Knesset Bezalel Smotrich, le reazioni andarono dallo stupore allo shock.

Dopotutto, non capita tutti i giorni che, nel 21° secolo, gli ideologi politici cerchino di basare le loro teorie sulle tre lettere inviate dal biblico Joshua Bin Nun agli abitanti della Terra di Canaan in cui era appena entrato: coloro che vogliono accettare (lo stato inferiore che verrà loro assegnato) lo accettino; quelli che vogliono andar via (migrazione volontaria, presumibilmente) se ne vadano; e quelli che vogliono combattere combattano.

Rifugiati arabi del 1948 in Galilea (Foto: Fred Csasznik)

Riguardo alla terza alternativa, quando al Vice-Presidente della Knesset fu chiesto se intendeva dire di uccidere intere famiglie, donne e bambini, la risposta fu: “Alla guerra come alla guerra.”

Ma la politica delle istituzioni israeliane, che pure nessuno disprezza, è poi così distante da questa esibizione di nazionalismo religioso da parte di un leader del partito Yamina (“A destra”)?

A questa domanda si può rispondere pensando, ad esempio, al destino dei due milioni di esseri umani imprigionati nella Striscia di Gaza.

L’immagine brutale –“chi vuole andar via se ne vada”– è tornata recentemente sulle prime pagine, per esser stata citata da un anonimo personaggio politico di spicco che parlava ai giornalisti durante la visita del nostro primo ministro in Ucraina.

Proteste del Nakba Day nella Striscia di Gaza (Foto: AFP)

Il “personaggio di spicco” –che tutti sanno essere lo stesso primo ministro Benjamin Netanyahu– ha affermato che Israele è disposto, generosamente, a consentire agli abitanti di Gaza di emigrare, se solo si trovi un paese disposto ad assorbirli. E se ciò non bastasse, Israele è persino disposto a pagare per questo, incluso portarli all’aeroporto, da cui possono decollare e sparire dalla nostra vista una volta per tutte.

È solo una sciocchezza? Stiamo parlando del primo ministro, che si dice abbia effettivamente tenuto una serie di riunioni del governo su questo argomento. E non è l’unico: la persona che vorrebbe succedere a Netanyahu, Ayelet Shaked, fino a poco tempo fa ministra della giustizia, sostiene la stessa cosa. In un’intervista con IDF Radio, Shaked ha spiegato: “si chiama incoraggiamento dell’emigrazione”.

In effetti, “l’incoraggiamento” consiste nella politica israeliana di trattenere due milioni di persone in un territorio affollato e assediato, senza libertà di movimento, con solo poche ore di elettricità al giorno, con tassi di disoccupazione alle stelle e acqua inquinata.

E la terza alternativa, “alla guerra come alla guerra”? Su questo punto il consenso israeliano include almeno i due principali partiti della Knesset, con le loro leadership misurate e moderate.

Dimentichiamo Smotrich, guardiamo al Likud e al Blue and White. Questo è ciò che Netanyahu ha detto un mese fa: “Ci stiamo preparando per una campagna, un’operazione militare di vasta portata che assesterà un duro colpo a Hamas e alla Jihad islamica. Un’offensiva militare come non hanno mai visto”. Nel frattempo, l’ex capo di stato maggiore dell’esercito di Netanyahu, il presidente di Blue and White e membro della Knesset Benny Gantz ha promesso che “la prossima volta che qui succede qualcosa, ci assicureremo che sia l’ultima volta”.

I leader del partito Blue and White. Da sinistra a destra: Gabi Ashkenazi, Yair Lapid, Benny Gantz e Moshe Ya’alon al confine di Gaza, agosto 2019 (Foto: Gadi Kablo)

Di fronte a queste parole, ricordiamoci cosa è accaduto quando Gaza ha subìto quello che viene ora  definito retroattivamente come il penultimo “colpo militare” di Israele, nell’estate del 2014. Tra i risultati di quel colpo c’erano più di 500 bambini palestinesi morti. Ce lo ricordiamo? Alla guerra come alla guerra. E si trattava di Netanyahu e Gantz, non di Smotrich.

Forse avremmo potuto archiviare le dichiarazioni degli ultimi giorni nella categoria dell’escalation verbale ai fini della propaganda elettorale. Ma dobbiamo avere la scomoda memoria storica che in realtà non c’è nulla di nuovo in ciò che dicono.

Come dimostrano i protocolli delle discussioni del governo emersi dagli archivi di stato, già nel 1967 Moshe Dayan cercava di “incoraggiare” i Palestinesi ad emigrare, e il Primo Ministro Levi Eshkol esprimeva la speranza che “forse gli Arabi si sarebbero mossi dalla Striscia di Gaza”, che lui stesso definiva “una gabbia”.

Eshkol non citava il fatto che Israele aveva già “mosso gli Arabi”, sovraffollando così la Striscia di Gaza con i Palestinesi che aveva trasformato in rifugiati, ma aggiungeva che “forse, se non diamo loro abbastanza acqua, non avranno altra scelta che andarsene“.

Ariel Sharon (a sin.), Levi Eshkol (3° da sin.) e Moshe Dayan (centro), nel 1967 (Foto: GPO)

E se non si fosse avverata la terza alternativa (“chi vuole andar via se ne vada”)? Eshkol pensava che “forse ci sarà un’altra guerra e quel problema sarà risolto”.

Tre alternative: accettare di essere sudditi senza status né diritti, sotto il nostro controllo per sempre; essere costretti a lasciare la terra natale; o arrendersi alla nostra potenza militare. Smotrich non ha inventato nulla: sta semplicemente usando le parole di Dayan ed Eshkol, Gantz e Netanyahu e sta mostrando a tutti le generose offerte di Israele ai Palestinesi: arrendersi, diventare rifugiati o morire.

A proposito, c’è una quarta alternativa. Non appare nel Libro di Giosuè e non include gli spot elettorali in cui i leader israeliani moderati contano i corpi palestinesi.

Non sarà facile da realizzare, ma i suoi principi sono chiari: diritti umani uguali e completi per tutte le persone tra il fiume e il mare. A voi la scelta.

Hagai El-Ad è il direttore generale di B’Tselem-

https://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-5573633,00.html

Traduzione di Donato Cioli

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